Carlo Bellieni – UO Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena
Come comunicare una patologia neonatale alla famiglia? E’ un dilemma che interessa la pratica clinica e coinvolge tutte le figure professionali del reparto, tanto che taluni propongono corsi specifici per insegnarlo (1). Il problema del primo approccio riguarda soprattutto il medico (2,3), ma anche il personale infermieristico è al centro del problema: “Quando la diagnosi di malformazione è fatta alla nascita, sono le infermiere e le puericultrici, con le ostetriche e il ginecologo, i primi interlocutori della coppia”(4) Perché non si tratta di applicare una particolare “tecnica di comunicazione”, ma di realismo: sapere con chi si ha a che fare e cosa si vuole. Dunque non è interessato solo il medico, ma tutto il reparto è coinvolto nel far passare il “messaggio”. “Il modo in cui la notizia viene data, può alterare l’intero approccio del genitore alla condizione del bambino” (1). La letteratura scientifica si è interessata al problema e sono stati trattati tre ambiti della questione: come parlare della grande prematurità (5), di paralisi cerebrale (1) e di sindromi dismorfogenetiche ( 6).
La fatica del genitore è grande al momento della notizia di un qualunque problema del bambino appena nato (7-9). Questo vissuto doloroso si accompagna di frequente al desiderio di morte per sé e per il bambino (10,11), a sensi di colpa e di rimessa in gioco dell’unione di coppia (2,11,12). Allora tutto l’ambiente della neonatologia è il contenitore di queste attese e di quest’ansia (13). Addirittura, anche gli operatori hanno bisogno di chi si prende cura di loro (14).
Considereremo qui tre punti a questo scopo, facendoci aiutare dai dati della letteratura recente:
1. Il substrato familiare
2. La preparazione del personale
3. Il momento della comunicazione
IL SUBSTRATO FAMILIARE
Dopo mesi e mesi, alla nascita, la famiglia è piena di attese. La denatalità e il posticiparsi dell’età della prima (spesso unica) gravidanza ha fatto sì che il figlio sia diventato realmente un investimento (15), talora fragilissimo, perché spesso unico. E su di loro spesso si riversano tutte le frustrazioni, tutti i desideri insoddisfatti. Esistono fortunate eccezioni, comunque, determinate da un forte legame di coppia, da una forte appartenenza ad un gruppo; purtroppo per il momento sono eccezioni (16).
Dunque il figlio è di norma un investimento (17). Lo si definisce anche “prodotto (del concepimento)”, “diritto (della coppia)”. Ma può avvenire un intoppo. La costruzione ideale che si era creata durante la gravidanza non sempre corrisponde all’attesa. E il genitore è assolutamente impreparato.
Questo è il punto di partenza, il substrato che il medico deve considerare quando si trova a dare una notizia di patologia alla nascita ai genitori e col quale tutto il personale deve fare i conti per non improvvisare atteggiamenti pietistici o cinici: la gravidanza è stata vissuta continuamente esorcizzando la paura, tanto che la domanda che più di frequente viene posta appena il bambino nasce è: “E’ perfetto?”, “Ha tutto?”, “E’ normale?”. E ora si vede che l’esorcismo medico-diagnostico non è servito: “L’idea che la loro gravidanza possa finire con la nascita di un bambino le cui condizioni rendono questo ideale (maternità normale) impossibile, semplicemente non è loro permessa” (18). Dunque la ferita si fa sentire (19). Dunque la medicina non è onnipotente e la sorpresa amara si tramuta in ferita del proprio narcisismo.
Il primo impatto è dunque con l’ansia di una lunga paura, che può sfociare in angoscia e in sofferenza. Cos’è la sofferenza? E’ la mancata soddisfazione di un desiderio cui avevamo legato la nostra contentezza (20). In questo caso la sofferenza si fa sentire, col suo retroscena di attesa. Dunque la responsabilità del personale curante è grande. Ma qual è questa responsabilità? Cercheremo di spiegarlo qui di seguito.
LA PREPARAZIONE DEL PERSONALE
Il primo livello viene ancor prima di incontrare la famiglia. E’ lo sguardo con cui il personale, l’équipe, guarda il bambino malato. Non tutti guardano il bambino nello stesso modo. E anche la stessa persona lo guarderà in modo differente a seconda del proprio umore. Ma la prima certezza è che lo sguardo con cui i genitori guarderanno il bambino passa attraverso lo sguardo del personale su di esso.
“In ogni nascita c’è uno iato tra il bébé immaginato durante la gravidanza e il bébé reale presente alla nascita. Questo iato si colma nelle prime ore grazie allo sguardo degli altri sul bambino, alle felicitazioni che vengono a colmare il narcisismo dei genitori.” Talora però il bambino è diverso da quello che ci si aspetta. Allora ” come riflesso del personale curante e appoggiandosi sulla fiducia che questi hanno a proposito della vitalità di questi piccoli esseri, i genitori possono guardarli e rivolgersi loro considerandoli come dei bambini a tutti gli effetti. Bisogna sottolineare l’effetto di transizionalità delle parole di chi si rivolge al bambino. Questo permetterà ai genitori, quando potranno rivolgersi a lui, di prendere una certa distanza in rapporto all’emozione che suscita la sua vista, di rivolgersi a lui e considerarlo come una persona” ( 5). Ma se questo sguardo varia con l’umore, cosa resta da fare? Non è legato ad una variabile aleatoria? In parte sì. Ma quello che in fondo resterà di questo sguardo, quello che i genitori capteranno è se il medico guarda il bambino come una sua proprietà (cosa che può esprimersi in indifferenza o in onnipotenza) o come qualcuno che non è suo, qualcuno che ha una dignità in sé. (21). Questo vuol dire apprendere a guardare il bambino con rispetto. Cosa vuol dire “rispetto”? Vuol dire guardare una cosa, ma con la coda dell’occhio vedere anche un’altra, che è garante della prima: in pratica non scordarsi della certezza che chiunque, anche nelle peggiori condizioni, ha la possibilità e il diritto di non essere determinato, limitato, schiacciato dal suo stato: “Le madri descrivono spesso questo momento esatto in cui sono state aiutate a prendere contatto fisicamente col loro bambino come il vero inizio della loro accettazione… Il loro bambino è davvero umano, perché loro hanno potuto occuparsene come qualunque altro neonato. Diventano davvero madri soprattutto quando hanno potuto affrontare lo sguardo del bambino” (4) . Il valore della persona non equivale alla sua condizione. “Se il medico è incapace di elaborare da sé delle rappresentazioni positive di questo bambino, il rischio è di identificarsi con i genitori, di prendere posizioni estreme che vanno dalla presa di distanze scientifica alla fusione acritica, dal rigetto alla iperprotettività” (22). Il personale perde allora il suo ruolo di appoggio (23) che deve mettere in evidenza le potenzialità del bambino che oltre al suo handicap ha un umore, un temperamento che sin dai primi istanti devono essere sostenuti e incoraggiati (24).
IL MOMENTO DELLA COMUNICAZIONE
Il secondo livello è l’incontro con i genitori. Se il nostro sguardo sul bambino media il loro sguardo, è pur vero che la loro condizione non lascia indifferenti. Questo non vuol dire un generico sentimentalismo. In realtà significa dar loro la certezza che siamo dalla loro parte. E dalla parte del bambino. Amici e parenti li compiangeranno, li eviteranno ipocritamente per non metterli (mettersi) in imbarazzo; oppure li riempiranno della loro curiosità, non rispettandone la tristezza. Per questo sono state proposte delle linee-guida. Baird (25) propone nove punti che riassumiamo così:
Personale:
La notizia va data dal pediatra
In assenza di altre figure (specializzandi)
La notizia va data ai genitori insieme
Il bambino dovrebbe essere presente
Ambiente:
Parlare con i genitori in un locale separato
Possibilità di rimanere da soli (genitori) dopo la notizia
Stanza separata per la madre nel puerperio
Contenuti:
La notizia va data direttamente, chiaramente, permettendo tutte le domande
Il medico deve mostrare simpatia, onestà e apertura. I genitori vogliono un’opinione equilibrata, piuttosto che un catalogo di possibili problemi.
Queste linee-guida formulate per il caso di paralisi cerebrale sono state mutuate da quelle di Cunningham (6) per la notizia di sindrome Down .
L’atteggiamento più costruttivo con i genitori è, per il breve lasso di tempo in cui forse tra le lacrime stiamo con loro, lo stesso rimanere accanto. Far sentire che ci siamo, che non scappiamo, che non abbiamo delle “terribili cose urgenti e molto importanti” da fare. Spiegare tutto senza partire dalla patologia, ma dal bambino: non siamo davanti MAI ad una “sindrome”, ma ad “Andrea”, o “Marco”, o “Maria”. “Il rischio è veder scomparire il bambino dietro il suo handicap” (22) “I più alti livelli di soddisfazione sono stati dimostrati quando le madri sentivano che era stato loro dato abbastanza la possibilità di fare domande e di riparlare con il medico; quando ai genitori erano state date informazioni adeguate, comprensibili e facili da ricordare; quando il medico era stato simpatetico, comunicativo, diretto e avvicinabile”(26). Questo permette di partire dal positivo, cioè dal fatto che il bambino c’è e che merita affetto, anche se vivesse due giorni.
Abbiamo la certezza che nel momento della fatica quello che aiuta è sempre una presenza: è qui che entra la figura dell’infermiere. Una presenza che aiuta ad oggettivare senza farsi prendere dalle fantasie, una presenza che ricorda che il bambino è ben più della malattia, una presenza che insieme alla coppia affronta e studia il problema con decisione, garbo, sincerità.
Roy (22) conclude così: “Non possiamo evitare la sofferenza. Volerla cancellare può essere pericoloso. Ma si può ridare sicurezza, sapendo che questa sicurezza non si stabilirà che progressivamente.” E dà delle indicazioni valide per tutto il personale, medico e infermieristico:
- Mantenere la comunicazione,
tra personale e genitori e tra genitori e il loro ambiente
- Tener presente la differenza
Tra il problema del bambino, la ferita dei genitori, il sentimento di impotenza dell’équipe. Non essendo colpiti allo stesso livello (della loro identità) possono sostenersi a vicenda. - Accompagnare i genitori
Rispettando le loro difese per affrontare la loro sofferenza, non per fuggirla. Riconoscere la loro capacità di sostenere loro stessi il loro bambino a condizione di essere aiutati - Sostenere il bambino
Riconoscerlo come un essere umano, come un soggetto, animato da desiderio, soggetto di affettività, portatore di capacità da evidenziare e incoraggiare.
In conclusione possiamo dire che la fatica dell’impatto con una patologia alla nascita coinvolge tutti: medici, infermieri, genitori. Tutto il personale ha la responsabilità che questo momento non venga vissuto come crollo o come fuga (27), ma, pur spettando al medico la prima comunicazione, abbiamo visto come l’importanza dell’approccio infermieristico sia determinante. Le basi del passo della coppia per diventare genitori vengono messe qui, nei primi momenti. Questo sarà determinante per l’attaccamento al bambino, dunque il corretto approccio di tutto l’ambiente ha un significato preventivo e terapeutico per la coppia (28) e per il bambino (29,30).
BIBLIOGRAFIA:
1. Marlow N: A touch of cerebral palsy. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed 2001;84:F4-F5
2. Lambert JL: Problèmes liés à l’annonce du handicap chez les parents d’enfants mongoliens. Bull Psychol Sci Orien 1978;27:13-9
3. Pueschel SM, Murphy A: Assessment of counseling practices at the birth of a child with a Down’s syndrome. Am J Ment Defic 1977;81:325-30
4. Shlenker M: Lorsque l’enfant parait… anormal. Soins Pediatr Pueric 1998;185:30-2
5. Druon C: Devenir parent d’un bébé de moins de 1000 g: Le point de vue du psychanalyste. Progrès en Neonatol 1998;18:208-16
6. Cunningham CC, Morgan PA, Mc Gucken RB: Down’s syndrome: is dissatisfaction with disclosure of diagnosis inevitable? Develop Med Child Neurol 1984;26:33-9
7. Klein F: conclusions d’une recherche longitudinale sur les relations entre le vecu de la mère pendant la grossesse et l’organisation structurale du nourrisson. In: 2me congrès mondial de psychiatrie du nourrisson. Cannes Atti 1983:21-30
8. Liberman R: Réaction parentale et attitudes médicales à la naissance d’un enfant malformé. Est Med 1983;3:1115-7
9. Molenat F: Autour de la naissance d’un nouvceau-né “à risques”. Rev Fr Psychiatrie. 1983;1:44-7
10. Lucas PJ, Lucas AM: Down’s syndrome: telling the parents. Br J Mental Subnorm 1980:26;21-31
11. Rubin AL, Rubin L: the effects of physician counseling technique on parents reactions to mental retardation diagnosis. Child Psychiatry Hum Dev 1980;10:213-21
12. Holroyd J, Mc Arthur D: Mental retardation and stress on the parents a contrast between Down’s syndrome and childhood autism. Am J Ment Defic 1976;80:431-6
13. Bellieni CV: La “care” del prematuro in terapia intensiva neonatale. Educare Per: Problemi di sessualità e fecondità umana 2001;2:2-10
14. Beretta E, Groli C, Gatto A, Molin E: Proposte di linee guida per la comunicazione quando nasce un bambino in difficoltà. Il vissuto dei genitori e degli operatori. In La comunicazione nella perinatalità. Atti. Forlì 19 aprile 2002. 41-6
15. Pontiggia G: Genitori e insegnanti: due compiti diversi, un unico rischio. In: L’adulto alla prova. Ed la Carovana 2000:9-20
16. Cesana G: La famiglia: il primo soggetto educativo. In: L’adulto alla prova. Ed la Carovana 2000:21-31
17. Dolto F: Come allevare un bambino felice. Mondadori 1994
18. Hall M: But what do we tell the parents? Health Visitor 1987;60:110-2
19. Contri GB: Walt D. e altri: più generazioni educate dal grande schermo. In: L’adulto alla prova. Ed la Carovana 2000:33-45
20. Schopenhauer A: On the basis of morality, trans. Payne EFJ. Indianapolis: Bobbs-Merrill, 1965:196
21. Piccinini E: Tu sol pensando o ideal, sei vero. Ed Tracce 1999:7-18
22. Roy J, Guilleret M, Visier JP, Molenat F: Médecin et annonce du handicap chez un nouveau-né. Arch Fr Pediatr 1989;46:751-7
23. Caglar H: L’entretien psychologique avec les parents de débiles mentaux. De son importance et de sa difficulté. Psychol Scol 1974;11:15-31
24. Rethore MO: La révélation du handicap aux parents. Readaptation 1981;282:9-12
25. Baird G, McConachie H, Scrutton D: Parents’ perceptions of disclosure of the diagnosis of cerebral palsy. Arch Dis Child 2000;83:475-80
26. Sloper P, Turner S: Determinants of parental satisfaction with disclosure of disability. Develop Med Child Neurol 1993;35:816-25
27. Bellieni CV: Comunicazione di patologia al momento della nascita. In: La comunicazione nella perinatalità. Atti. Forlì 19 aprile 2002. 29-31
28. Bellieni CV: Bambini e violenza, dal feto all’adolescente. In: Atti congresso Il bambino, suoi diritti, nostri doveri. Siena, 6.9.1999. Eds Cantagalli 1999:36-44
29. Battin J: Empreinte génomique et environmentale précoce dans l’avenir de l’individu. In Progrés en néonatologie N°16, Ed Karger Paris 1996;241-55
30. Titran M: Le prématuré nous perçoit… percevons-nous le prématuré? In L’aube des Sens. Ed Stock, Paris 2000:393-400
Commenti recenti