Sandro Magister – Inviato dell’Espresso e vaticanista, curatore del sito www.chiesa.espressonline.it

La famiglia non gode sicuramente di buona stampa. Non farò un inventario di quello che i media dicono, trasmettono, scrivono, mostrano sulle sorti di questo istituto. Tenterò un’analisi interpretativa di un’onda avversa, che è sotto gli occhi di tutti. Come primo spunto prendo una lettera scritta ad “Avvenire” e pubblicata sul giornale della conferenza episcopale italiana:

“Caro direttore, vorrei segnalare quanto ho visto a Rai 3, in una trasmissione sulla posizione della Chiesa nei confronti degli omosessuali. Va detto che gli ospiti erano tutti appartenenti ad associazioni di omosessuali e che l’unico sacerdote in studio era dichiaratamente dissenziente dalla posizione ecclesiastica. Questo per far notare che non c’era nessuno che spiegasse le ragioni della Chiesa. Per un’ora ho ascoltato sbigottito una caterva di insulti rivolti al cosiddetto ‘popolino cattolico bigotto’ e ancor più alla gerarchia della Chiesa, citando sondaggi che attribuirebbero all’80 per cento del clero abitudini pedofilo-omosessuali. Il tutto, ripeto, senza alcuna controparte, e accompagnato da applausi scroscianti del pubblico. Alla fine, come in un circo, Corrado Augias, il conduttore, ha fatto alzare le mani a chi fra il pubblico si ritenesse cattolico, e fra questi ha chiesto di rimanere con le mani alzate a chi non fosse d’accordo con la Chiesa. Logicamente, tutti si sono dichiarati scandalizzati delle prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche, in un clima di vero e proprio tribunale giacobino. Augias ha concluso che non era finita, e che la sua redazione stava preparando una trasmissione sull’esclusione delle donne dal sacerdozio. Insomma, pronti a dare olio alla ghigliottina”.

Un secondo spunto lo traggo da un giornale di quelli puntualmente definiti “autorevoli”: il francese “Le Monde”. Prima pagina, titolo dominante: “Europa. Controversia sui valori cristiani”. Tutta la seconda pagina è dedicata al caso di Rocco Buttiglione, di cui si richiamano la denuncia dell’omosessualità come peccato e alcune affermazioni in difesa della famiglia. Il vaticanista principe di “Le Monde”, Henri Tincq, giustifica l’ostracismo caduto sul ministro italiano facendone risalire l’intera colpa alla Chiesa: “Sia Buttiglione che Giovanni Paolo II pagano per il discredito da loro gettato sulla società moderna, per molti anni. Martellare che la legge morale è superiore alla legge civile, che la legalità di un atto non lo rende con ciò forzatamente etico: questo è ciò che ha voluto dire Buttiglione. Questo è ciò che costantemente ripete Giovanni Paolo II. Essi non dovrebbero lamentarsi di ricevere questa mazzata di ritorno”.

Non sorprende che la presidente del Movimento per le Famiglie, Luisa Santolini, abbia scritto che c’è un quasi totale schierarsi contro la famiglia dei media e degli opinion-leaders.
Il fenomeno non è solanto mediatico, perché c’è anche una impetuosa corrente politica che spinge in questa direzione. Dalle libertà economiche ormai praticamente accettate dall’intera sinistra socialdemocratica europea, si è passati a una martellante rivendicazione di altre libertà definite civili, moderne, facili da trasformare in leggi, perché non costano niente, e che ridefiniscono automaticamente la Chiesa come arretrata, passatista, antimoderna. Il caso della Spagna è sotto gli occhi di tutti, con la sua road-map antifamiliare percorsa a tappe forzate dal governo Zapatero.

C’è in Italia un’offensiva contro la legge che difende la vita degli embrioni prodotti artificialmente. C’è in vista negli Stati Uniti un pronunciamento della corte suprema a proposito dell’unione omosessuale. All’ONU sono in discussione delibere sulla clonazione terapeutica in cui l’aggettivo terapeutico è usato, come spesso accade, in senso equivoco.

Quali sono le ragioni di questa grande ondata culturale, mediatica, politica, contro l’istituto familiare in tutti i suoi aspetti? E prima ancora: quali sono le modalità in cui si manifesta questa ondata?

C’è un elemento caratterizzante di questa campagna, che è la contraffazione del linguaggio. Ad esempio la parola “peccato”, che ha fatto tanto danno a Buttiglione, è una delle parole che in politica è vietato pronunciare. Lo stesso Buttiglione, in una lettera successiva all’incidente, riconosce che la parola “peccato” ha una carica emozionale che sconsiglierebbe di usarla nell’agone politico.

Quest’uso contraffatto del linguaggio non è un’invenzione dei nostri giorni. Nella Conferenza del Cairo del 1994 – quella famosa conferenza dell’ONU che, pur con il papa assente, fu una sorta di battaglia campale tra Giovanni PaoloII e il resto del mondo – una delle formule che più si usavano e che era anche nei documenti dell’ONU era: “assicurare i diritti riproduttivi”. Giovanni Paolo II reclamò di cambiare queste parole e tradurle in ciò che esse volevano dire davvero. E la sua traduzione era: “morte sistematica dei non nati”. Il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls, che era anche membro della delegazione della Santa Sede alla conferenza, disse ai microfoni della CNN: “Viviamo in un epoca disonesta: diciamo tutto dell’aborto, tranne quello che è vero. Il Santo Padre l’ha fatta finita con questo inganno di parole, e lo chiama male altrettanto odioso che l’uccisione di ogni altro essere umano”. E ancora: “Nel documento base della conferenza le formule ‘salute sessuale’ e ‘salute riproduttiva’ ricorrono un centinaio di volte. Ma tutti sanno che nel linguaggio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità esse includono il libero aborto”.

Va dato atto al Movimento per la Vita di fare anch’esso opera di controinformazione, di smascheramento delle contraffazioni della realtà, di rottura dei silenzi imperanti. Quando annualmente il parlamento italiano pubblica i suoi rapporti sulla prevenzione dell’aborto in Italia, come prescritto dalla legge 194, in questi rapporti non c’è nulla che documenti cosa si fa per prevenire l’aborto non prima del concepimento, ma dopo. Che è invece proprio ciò che fa e descrive – nei suoi rapporti – il Movimento per la Vita. Fosse per quanto scrivono la quasi totalità dei media, nessuno saprebbe dei 60.000 bambini nati in Italia grazie a questa mobilitazione pro vita.
Le formule equivoche non si contano. L’aggettivo “terapeutico”, ad esempio, fa pensare a una vita sanata, ma se questa vita è sanata a spese di un’altra vita soppressa, la logica non funziona più, eppure non lo si dice. La parola “sperimentazione” fa pensare a un asettico laboratorio dove si fanno delle ardite ricerche scientifiche sugli embrioni, ma non si dice che esse comportano la soppressione dell’embrione sperimentato.

Queste mascherature terminologiche hanno dato origine a una contromisura della Santa Sede: la pubblicazione di un Lexicon, un dizionario critico di tutto quello che si dice, a torto e a ragione, a proposito della famiglia. È un lexicon di 400-500 pagine, promosso dal pontificio consiglio per la famiglia, e scritto da una serie di esperti di molte nazioni.

Il cardinale Renato Martino, presidente del pontificio consiglio della giustizia e della pace, ha attribuito l’offensiva contro la famiglia a ricche lobby internazionali. E ha collegato questa offensiva a un’altra condotta per estromettere la Santa Sede dalle Nazioni Unite. In effetti, alla testa della campagna contro la presenza della Santa Sede all’ONU c’è una lobby che ha un nome: Catholics for Free Choice, cattolici per la libera scelta. È un’associazione nata negli Stati Uniti, che si autodichiara cattolica nonostante i vescovi l’abbiano sconfessata, ha una rivista intitolata “Conscience”, ha un sito web, e si è sempre battuta soprattutto per promuovere le pratiche abortive nel mondo. Ma è dubbio che l’ondata anti famiglia si possa ridurre a un complotto, o abbia bisogno di una regia più o meno occulta. Il fenomeno è molto più vasto e pervasivo. C’è una sorta di moto inerziale che ha invaso la cultura, non solo la cultura alta, ma anche quella di massa, e che nè si ferma nè si pilota facilmente, ma procede “motu proprio” come un volano a velocità crescente.

Per individuare i caratteri di questa cultura cito una studiosa norvegese, che è anche l’autrice di alcune voci del Lexicon di cui ho detto. Si chiama Janne Haaland Matlary, insegna all’università di Oslo ed è stata vice-ministro degli esteri della Norvegia. Si è convertita al cattolicesimo in età adulta, è sposata, ha quattro figli e ha scritto dei libri sulla condizione della donna, tradotti in italiano da Mondadori. Janne Haaland Matlary teorizza che all’origine della cultura contro la famiglia ci sia un pensiero “costruttivista”, il quale non riconosce una realtà oggettiva, ma sostiene che tutto è da costruirsi, da montarsi; quindi anche i generi sessuali sono qualcosa di non dato dalla natura, ma di prodotto dalla cultura, dalla politica, dal comune sentire. Il costruttivismo è qualcosa che si esprime in una formula enunciata dal leader spagnolo Zapatero e che è molto rappresentativa della sua filosofia politica: “Il mio socialismo consiste in questo: se la maggioranza dice una cosa, quella è la verità”. La verità si costruisce con le maggioranze, che possono essere labili, volubili, slegate dalla realtà oggettiva.
René Remond, studioso della storia della Chiesa e membro dell’Accademia di Francia, in un suo libro ha individuato uno dei caratteri della cultura dell’Europa contemporanea nel disprezzo del cattolicesimo. Questa del disprezzo non è soltanto una diagnosi che Remond fa a proposito della Francia; uno studioso degli Stati Uniti ha pubblicato un libro in cui l’anticattolicesimo figura con la stessa importanza. Questo autore, Philippe Jenkis, che non è nemmeno cattolico, ma anglicano, storico della Chiesa e delle religioni, individua questa tendenza in particolare nella cultura “liberal”, progressista.

In un’intervista ad “Avvenire”, Remond ha aggiunto qualcosa di più vicino al nostro tema. Ha detto: “La maggioranza dei media partecipa a una certa sensibilità che è legata alla loro prossimità con la cultura dello spettacolo, che esalta l’apparenza, e fa della liberalizzazione dei costumi un criterio fondante della modernità”.

Questa è una considerazione che coglie nel segno. Uno degli elementi caratterizzanti dell’odierna cultura dello spettacolo è la sua straordinaria capacità di giostrare su una serie infinita di variazioni, di citazioni, di cose apparentemente non assimilabili, mescolate però alla pari in una infinita girandola caleidoscopica, quasi fosse la cifra del reale. E anche il sacro entra in questo circuito della volubilità.
Emblema di questa girandola è da anni una fortunata trasmissione di Rai3, “Turisti per caso”, con Siusy Blady e Patrizio Roversi che girano il mondo e tutto registrano e mescolano, dal santone al guru, con quello stupore apparentemente ingenuo di chi sgrana gli occhi davanti ad ogni bizzarria. Lì tutto è uguagliato a tutto, non c’è più nulla di stabile, non c’è un’ancora che in qualche modo fissi qualcosa, c’è solo una girandola infinita di citazioni, che addirittura possono essere moltiplicate su loro stesse, in uno scambio di opinioni sulle opinioni ricavate dalle cose viste e riviste.
Questo caleidoscopio post-moderno è esattamente ciò che sgretola qualsiasi istituto stabile, e fa sì che la famiglia sia detta una bellissima cosa, ma naturalmente insieme a una fila di altre cose che vengono chiamate anch’esse “famiglia”, ma che le sono completamente aliene: famiglie di single, famiglie tra omosessuali, ecc. Quella della famiglia gay non è l’ultimo gradino, già si comincia a parlare di famiglie con più partner contemporaneamente. E dall’ammissione della poligamia non è lontano l’abbattimento di un altro tabù, quello dell’incesto…

Questo tipo di cultura come può essere definito? Cultura del desiderio. Il primato del desiderio è uno dei capisaldi della campagna contro la legge 40 sulla fecondazione artificiale: il desiderio non deve avere limiti, ed è sempre buono.

E chi fa da forza trainante di questa cultura? Analisi molto interessanti puntano l’attenzione su quelle che vengono chiamate “societés de pensée”, le società di pensiero, oppure “knowledge class”, la classe di quelli che sanno. Sono i ceti intellettuali che si identificano col pensiero dominante, e se ne fanno gli interpreti autodesignati. Quella egemonia propria della sinistra nella cultura del dopoguerra italiano, nel cinema, nella letteratura, nella scuola, nei media, è un fenomeno che perdura ancora oggi e che ha invaso anche altri aspetti del vivere comune. Le “societés de pensée” sono la rete che unifica influenti ceti intellettuali attorno a queste idee condivise. Un teorico che ha scritto cose eccellenti sulla “knowledge class” negli Stati Uniti è Peter Berger, un grande sociologo luterano che in anni lontani sosteneva la teoria della secolarizzazione, come prodotto della modernità – per cui con l’avanzare della modernità anche la secolarizzazione avanza e man mano il sacro esce di scena – e che poi invece ha fatto autocritica e ha sposato una lettura delle cose molto diversa, che non suppone affatto un’incompatibilità tra modernità e religione.

Berger ha individuato nella “knowledge class” un elemento caratterizzante della cultura post moderna. Essa è la classe formata dai produttori e dagli operatori di beni non materiali, che sono la conoscenza, la comunicazione, la psicologia, le pubbliche relazioni, beni che nel mondo di oggi hanno un peso formidabile. I giornalisti vi sono dentro in pieno. E vi sono dentro anche tanti uomini di Chiesa, perché anche loro, predicando, scrivendo, possono far parte di questa classe intellettuale. Berger ha scritto cose acute su come un intero ceto intellettuale “progressista” delle Chiese protestanti e cattoliche americane è entrato a far parte di questo processo. Su alcuni temi delicati come l’aborto o l’eutanasia gli uomini di Chiesa cattolici partecipano al coro con più disagio e con più riserve, sempre però beneficiando della simpatia accogliente del pensiero “liberal” trainante. In Italia un esempio lampante di questa benevola tolleranza è quella di cui gode un cardinale come Carlo Maria Martini. Non importa che le sue posizioni nel merito, sull’aborto, l’eutanasia, l’embrione, non si discostino troppo dalla dottrina cattolica ufficiale, anche se si fatica a leggerle in una prosa tutta intessuta di dubbi. Alle “societés de pensée” basta, per iscriverlo come loro socio onorario, che egli esalti la sua volontà di dialogo, le “zone grigie” delle sue indecisioni.
Un altro esempio illuminante, a proposito del rapporto tra “societés de pensée” e Chiesa italiana, è la settimana sociale tenuta a Bologna nel 2003. Se per classe intellettuale cattolica si intende quella che ha dominato in Italia per diversi decenni ed è tuttora ampiamente presente, fatta di riformismo ecclesiale spesso deluso e di collateralismo ideale a tutto ciò che è ritenuto progressista e moderno, e quindi di sinistra, se per classe intellettuale cattolica si intende questo, la settimana bolognese ne ha messo allo scoperto incertezze e debolezze.

Stefano Ceccanti, un costituzionalista di valore che è stato in gioventù presidente nazionale della FUCI e ora appoggia i Democratici di Sinistra, ha scritto sul quotidiano “il Riformista” che alla settimana sociale di Bologna i cattolici più bravi sono stati quelli che “hanno voluto cambiare l’agenda”. In che senso? Nel senso che, in presenza di una forte offensiva laicista contro la Chiesa e contro istituti come la famiglia, era questo il tema che la classe intellettuale cattolica avrebbe dovuto assumere come centrale dell’agenda? Niente affatto. Questo tema era già centrale. Ma lo era solo nelle parole introduttive del cardinale Ruini, il quale aveva detto che la questione antropologica, e l’interrogarsi sull’uomo, e il credere o no nella vita, sono veramente il cardine su cui si gioca il futuro della nostra società. Il seguito del dibattito è stato però di tutt’altro orientamento. Gran parte degli intervenuti si sono battuti proprio per “cambiare l’agenda”: per accantonare i temi antropologici e per sostituirvi, come temi centrali, perorati con forza tra gli applausi della platea, i mantra dell’attacco alla telecrazia, alla plutocrazia e simili. Anche il cardinale Dionigi Tettamanzi, nel discorso finale, ha insistito su questi tasti, come fossero essi i temi ultimi su cui la Chiesa e la società italiana giocano il loro presente e futuro.

L’obiezione viene naturale: come può una classe intellettuale cattolica emarginare un tema di tale portata, come quello antropologico, dalla sua riflessione e comunicazione? Stefano Ceccanti ha risposto all’obiezione citando un brano importante del Concilio Vaticano II:

“Nell’età contemporanea cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà mossi dalla coscienza del dovere, e non pressati da misure coercitive, con una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini di una onesta libertà”.

Questo brano è citato per sostenere che di fronte al desiderio e di fronte allo spazio della libertà personale dell’individuo non ci debbano essere troppi limiti, posti dalle leggi dello stato.

La legge 40 sulla fecondazione artificiale è esattamente un insieme di questi limiti, stabiliti a difesa della vita del concepito. La teoria cara a una certa sinistra, pure a parole molto attenta a questa vita, è che questi limiti siano eccessivi, e debba essere invece lasciato molto più spazio al libero esplicarsi delle scelte individuali.

C’è una classe intellettuale cattolica, ci sono degli ecclesiastici, che in vario modo sono vicini a questa tendenza di pensiero. E questo spiega anche l’incertezza che la Chiesa italiana ha mostrato – prima che il cardinale Ruini impugnasse con decisione il timone – di fronte all’incombere dei referendum contro la legge 40. I primi e i più decisi a richiamare l’attenzione sulla centralità della questione antropologica sono stati, paradossalmente, degli intellettuali non cattolici: Ernesto Della Loggia in alcuni editoriali consecutivi sul “Corriere della Sera”, Giuliano Ferrara col suo giornale “il Foglio”, l’ebreo Giorgio Israel, la femminista Eugenia Roccella… C’è in Italia un “altro” mondo laico, che di fatto è più attento di tanto mondo cattolico ad approfondire questi temi senza equivoci linguistici e concettuali. E senza complessi di inferiorità.