Mario Palmaro – Filosofo del diritto
Il cambiamento del senso del figlio
Nell’arco degli ultimi quarant’anni, la percezione del figlio da parte della società occidentale ha subito una trasformazione senza precedenti.
Per percezione del figlio si intende non tanto l’esistenza di un cambiamento antropologico della condizione di figlio e della condizione di padre e di madre, per quanto molte cose nella società siano cambiate, ci si riferisce piuttosto al fatto che il senso della paternità e della maternità, e più direttamente il significato dell’avvenimento di avere o di non avere un figlio si è progressivamente trasformato, orientandosi verso una molteplicità di interpretazioni soggettive o comunque riconducibili ad alcune correnti del pensiero emergente nella seconda parte del Ventesimo secolo.
Tenterò di operare una sintesi di queste principali tendenze per giungere a cogliere quali siano le radici culturali e filosofiche di alcuni “luoghi comuni”, oggi diffusi in materia di identificazione del significato del figlio, diffusi in senso esplicito, ma più spesso implicito.
Idee tanto diffuse quanto erronee, nel senso che travisano radicalmente il significato reale, antropologico della verità sul “figlio”.
Concezioni erronee che riverberano i propri effetti negativi sul dibattito bioetico e in particolare sulle questioni che attengono ai più laceranti dibattiti in materia di origine della vita: pensiamo, ad esempio, ai casi antipodici eppure strettamente connessi, della contraccezione e dell’aborto procurato da un lato; e della fecondazione artificiale dall’altro. Come è ovvio che sia, questi topoi (luoghi comuni) contemporanei sul figlio percepito generano anche cattive leggi e i presupposti per promulgarne di peggiori.
Utilizzeremo alcuni spunti interessanti messi a fuoco da Luisella Battaglia in un saggio sulle teorie femministe in relazione al tema del figlio.
I principali paradigmi della modernità
Vediamo dunque quali sono alcuni tra i principali paradigmi che riassumono il pensiero moderno intorno alla concezione del figlio e del suo significato:
1. Il figlio come “disgrazia della donna”
Il figlio è qui un impedimento insormontabile e drammatico: le donne devono battersi per la c.d. libertà dalla riproduzione, che le affranchi dal dovere di procreare. “La disgrazia delle donne – scrive Simone de Beauvoir nel 1961 – è che sono biologicamente destinate a riprodurre la vita”.
Qui il figlio è associato all’immagine (negativa e frustrante) di “dovere” inteso in senso oppressivo.
La donna è tanto più libera quanto più riesce a evitare la condizione di madre.
Chi afferma l’intrinseco legame tra femminilità e maternità (anche se intendendo un concetto di maternità non soltanto in senso biologico) è accusato di sessismo e maschilismo.
2. Il figlio prodotto artificialmente come “eliminazione definitiva del maschio”
In paradossale linea evolutiva con il pensiero della Beauvoir, l’atteggiamento di questo filone del femminismo, rispetto alle tecniche di fecondazione artificiale, è sostanzialmente positivo.
Secondo Shulamite Firestone (1971), lo sviluppo delle tecnologie riproduttive avrà un valore liberante per le donne. Infatti, la provetta può essere la soluzione alla “ineguaglianza fondamentale” per la quale – secondo questo punto di vista – metà della specie umana è destinata a partorire e ad allevare bambini, affinché l’altra metà possa dedicarsi liberamente agli affari del mondo. “Per la prima volta il fine ultimo della rivoluzione femminista è una società senza sessi, cioè in cui sia eliminata ogni distinzione tra ruoli sessuali, così come il fine ultimo della rivoluzione socialista è una società senza classi”.
3. Il figlio come diritto
La maternità viene recuperata e assunta come punto nevralgico della differenza tra i sessi, su cui si basano i rapporti di potere.
Dunque si enfatizza il diritto di riproduzione (=accesso illimitato alle tecniche di riproduzione artificiale come atto di esclusiva pertinenza femminile).
La donna che vuole (consapevolmente) provare l’esperienza della maternità, ed è frustrata in questa sua legittima aspettativa, non può essere lasciata senza risposta nel momento in cui la tecnologia offre strumenti idonei a riempire il suo desiderio.
4. Il figlio prodotto come “soluzione finale” nell’oppressione della donna da parte del maschio
Secondo questa tesi, altrimenti detta “teoria della congiura”, la riproduzione tecnologica permetterebbe agli uomini di controllare ogni aspetto della riproduzione, espropriando la donna di ogni ruolo. In quest’ottica, la donna verrebbe ridotta dalla tecnologia a semplice macchina da riproduzione, le parti del corpo femminile usate e vendute come in una nuova forma di prostituzione.
5. Il figlio come “frutto della scelta libera della donna”
Secondo questa prospettiva, cronologicamente ultima rispetto alle precedenti, bisogna superare sia le interpretazioni che vedono nelle tecnologie riproduttive un pericolo per la dignità della donna, sia le interpretazioni che accolgono le innovazioni scientifiche come qualche cosa di oggettivamente buono sempre e comunque (L. Battaglia, 1996). Infatti, occorre sfuggire a interpretazioni deterministiche, affidando ogni decisione autonoma e consapevole alla singola donna, che sa quello che deve fare nel caso singolo. E’ evidente in questo caso lo scivolamento verso un’etica della circostanza, relativista e individualista, dove l’unica regola sopravvissuta è riassumibile nel motto: fa ciò che vuoi e che ti senti di volere in quel momento.
Appare funzionale a questo disegno ideologico la riflessione sviluppata già negli anni Settanta sulla cosiddetta etica della cura (Adrienne Rich, 1977), che prende le mosse dall’idea che esistano due maternità: quella istituzionale, fonte di oppressione perché controllata dalla società patriarcale; e quella originaria, che è autenticamente femminile. Qui, l’etica della cura (femminile) si contrappone all’etica maschile basata sui diritti. Per cui ne deriva che le leggi non dovrebbero interferire intorno alle questioni che possono essere affidate alla cura femminile, attraverso il principio di autodeterminazione.
Il figlio nel senso comune
Gli esiti popolari e diffusi di queste tendenze elitarie, elaborato soprattutto nell’ambito del pensiero femminista, hanno prodotto alcuni luoghi comuni ostinatamente diffusi nel nostro tempo:
1. Il figlio è un diritto
2. Il figlio è indispensabile alla realizzazione della coppia (= figlio come strumento di autorealizzazione)
3. Il figlio risponde a un desiderio dei genitori che hanno bisogno di lui
4. Il figlio non desiderato è un non-valore
5. Il figlio viene accolto se corrisponde al figlio desiderato (problema dell’handicap; problema della accettazione della personalità autonoma del figlio; problema del fallimento educativo)
6. Poiché il figlio è il prodotto di un percorso interamente pilotato dalla coppia, l’adulto è totalmente impreparato agli eventi-imprevisti, che non possono essere evitati o controllati (ad es. fallimento ciclo di fecondazione; figlio imperfetto; figlio con un progetto di vita diverso da quello dei genitori)
Le conseguenze sulla società
Che cosa accade in una società dove si afferma diffusamente l’idea del “figlio ad ogni costo”? Si notano alcuni risultati paradossali, messi in luce da pensatori non personalisti:
a. Si rafforza l’idea del “figlio come possesso geloso”, che essendo costato così caro in termini di fatica, costi anche economici, mortificazioni fisiche, conflitti di coscienza, frustrazioni, assume spesso le caratteristiche di un bene di godimento. Se non addirittura di consumo.
b. Si ricorre alla artificialità mossi dal desiderio di realizzare una parvenza di famiglia la più naturale possibile.
Autori tutt’altro che schierati su posizioni pro life o pro family (L. Battaglia, 1996) hanno rilevato con onestà che la famiglia prodotta dalla società delle tecniche di fecondazione artificiale è tendenzialmente una famiglia chiusa in sé stessa. Per quale motivo?
Secondo questa interpretazione, la ricerca ossessiva del figlio in provetta nasconde un ritorno a concezioni arcaiche, quasi ancestrali, nelle quali il legame di sangue è l’unico legame significativo. In questo orizzonte, si comprenderebbe bene per quale motivo la soluzione della adozione di un figlio non potrebbe essere nemmeno presa in considerazione, come assolutamente insignificante e artificiosa; mentre sarebbe avvertita come la più naturale delle cose il ricorrere al concepimento in provetta. Meno comprensibile risulta, in questa interpretazione, come però si possano poi giustificare le tecniche eterologhe, nelle quali viene meno anche il legame di sangue con il padre ed eventualmente perfino con la madre.
Come giustamente scrive Antonio Lattuada “la generazione contiene un messaggio che contraddice molte parole d’ordine del linguaggio e del sentire comune (…) Il non poter scegliere i propri genitori, e nemmeno i propri figli, in ogni caso il rapporto di radicale dipendenza che lega il figlio ai genitori, smentiscono infatti lo spiccato individualismo che caratterizza l’uomo della civiltà dei consumi e del mercato, e la gelosa autonomia che egli rivendica a se stesso”
Il figlio a ogni costo e le tecniche di FIV
Il prodotto più terribile della “cultura” del figlio ad ogni costo è certamente rappresentata dalla diffusione nella prassi e dalla legalizzazione nei parlamenti delle tecniche di fecondazione artificiale.
E’ un grave errore prospettico pensare di contrastare l’avanzata del fronte del figlio in provetta, senza avere il coraggio e la profondità di affrontare prima criticamente la diffusione di un’idea sbagliata del figlio, di una sopravvalutazione del peso che il desiderio di maternità può e deve giocare nella vita individuale.
Vi è innanzitutto la grave lacuna contemporanea che rifugge in generale da qualsiasi ipotesi di frustrazione e fallimento delle proprie aspettative. Si tratta di un tipico sintomo della “cultura del godimento”, nella quale l’unico imperativo morale è rappresentato dalla necessità di perseguire il soddisfacimento di quelle azioni e di quei risultati che il soggetto ritiene – in maniera assolutamente relativa al suo esclusivo punto di vista – fonte di soddisfazione e appagamento del proprio esistenziale desiderio di godere qui e ora di una vita che esaurisce il suo senso in questo fenomeno.
Ne derivano un’etica sessuale disinibita e senza tabù, un’etica economico-finanziaria spregiudicata e disposta a chiudere più di un occhio pur di ottenere i risultati desiderati, una cultura politica machiavellica e perfino cinica basata sull’idea di utile di forza, e non sull’idea di bene comune e di verità nel rispetto della realtà.
È del tutto naturale – benché tragico – che questa cultura generi un approccio isterico ed egoistico in materia di paternità e maternità. Il figlio in provetta a tutti i costi è il prodotto coerente di una cultura che insegue e pretende qualsiasi cosa ad ogni costo.
Questa forza motrice della post modernità costituisce nello stesso tempo la sua intrinseca fallimentare debolezza, perché l’uomo si scopre quotidianamente limitato da ogni parte, e sperimenta l’inarrivabilità dei suoi desideri, o più tragicamente, la insoddisfacente soddisfazione degli obiettivi raggiunti.
Il figlio desiderato come figlio preteso
In questa dimensione si deve inserire necessariamente un’analisi critica molto attenta rispetto al tema originario del figlio come diritto: occorre in altre parole analizzare che cosa si intende dire oggi con l’espressione: il desiderio di un figlio. Ci aiuteranno in questa riflessione alcune considerazioni assai acute di Martin Rhonheimer.
a. Il sorgere della vita di un uomo “prodotto” tecnicamente anziché generato, viene considerato non come bene in sé – perché accade e basta – ma in quanto “desiderato” dai genitori.
b. Dunque l’essere la vita umana buona viene reso dipendente dalla decisione della coppia per la FIV e dalle procedure a essa necessarie, dal suo esser desiderata e riconosciuta come avente valore per altri
c. Ma un simile atto è immorale perché ingiusto. “Il bambino sorto dalla provetta è naturalmente, come ogni altro, una creatura a immagine di Dio e deve essere rispettato come uomo. Tuttavia, il modo di produrlo è ingiusto. Esso viola la fondamentale eguaglianza tra gli uomini che trova la sua espressione in questo: che ogni uomo – come pure i suoi genitori – deve la sua vita alla natura” (Robert Spaemann)
d. La frase: potessimo avere un figlio! È moralmente accettabile, a patto che essa significhi: “potessimo ricevere un figlio!” .
e. Nel senso di una speranza, non di una ordinazione (es vacanze ai Carabi: sono un bene solo se desiderate; un figlio è un bene anche se non desiderato)
f. Cioè:
1. essere disposti anche al fatto che questo desiderio non sia esaudito
2. essere disposti ad accettare in ogni tempo anche un figlio non esplicitamente desiderato o perfino indesiderato in quanto vita umana piena di valore in sè.
Le ambiguità di alcuni studiosi
Per altro, va detto che la cultura del figlio a ogni costo è alimentata non soltanto da quei settori della cultura e della filosofia che si riconoscono nel filone relativista e nichilista, ma è indirettamente sostenuta anche da alcuni settori del pensiero cattolico, che probabilmente sono animati da nobili intenzioni, ma non avvertono la pericolosità di una simile smagliatura concettuale. Mi riferisco a quei pensatori – siano essi opinionisti, moralisti, filosofi, giuristi – che, di fronte alla domanda di maternità di una coppia con problemi seri di sterilità o infecondità, si dichiarano smarriti e impotenti di fronte a una richiesta che percepiscono profondamente umana. E, sempre in questa logica che muove da una premessa inappuntabile – cioè che il desiderio di un figlio è cosa in sé non necessariamente cattiva –, questi stessi autori ritengono che una risposta di fermezza, cioè di esclusione al ricorso a tecniche di fecondazione artificiale, si configurerebbe come una vera e propria mancanza di carità, come la proposizione di un insegnamento troppo duro per essere accolto e seguito, come la chiusura di un pesante portone di piombo sulle speranze di una copia di sposi. Per questa ragione, da questi stessi ambienti si levano pressanti proposte di riconsiderare il magistero cattolico in materia di fecondazione artificiale omologa; si sostiene la bontà di leggi che approvino la fecondazione artificiale nella sola forma omologa; si additano ad esempio positivo da seguire quei centri e quegli ospedali nei quali la domanda di paternità e maternità trova una risposta tecnologica e artificiale, purchè “all’interno della coppia”.
Emblematica di questa posizione la tesi sostenuta da un valido e intelligente studioso di bioetica di area personalista come Massimo Reichlin, il quale da un lato esprime una condanna incondizionata nei confronti delle tecniche di FIV eterologhe, mentre propone una valutazione sostanzialmente assolutoria per la fecondazione artificiale omologa. “Sembra invece meno evidente – egli scrive – che la fecondazione in vitro attuata all’interno della coppia, e senza alcuno spreco di embrioni umani, debba costituire in ogni caso una violazione e una distorsione del senso della generazione, secondo quanto afferma Donum vitae. Molti autori si sono chiesti se davvero, in queste condizioni, si possa dire che il figlio derivi dal gesto tecnico degli scienziati e non possa dirsi espressione dell’amore coniugale (…) Pensare che l’amore coniugale e la fecondità matrimoniale possano esprimersi solo attraverso l’atto sessuale normalmente compiuto presenta il rischio di ricadere in una prospettiva naturalistica: l’unità dei due momenti, che pure è un criterio di ermeneutica fondamentale, non sembra doversi pensare come unità fisica o materiale, ma piuttosto come unità di tipo simbolico”. Date queste premesse, contenute in un testo pubblicato da una casa editrice cattolica organica a una diocesi italiana, sono abbastanza prevedibili le applicazioni del “principio” in ambito giuridico e politico: “Sembra perciò che, nella misura in cui si faccia il possibile per eliminare lo spreco di embrioni, la fecondazione in vitro debba essere giuridicamente consentita, e forse lo stesso potrebbe dirsi per l’inseminazione eterologa per coppie eterosessuali unite in matrimonio. Soluzioni legislative di questo tipo, pur rimanendo imperfette dal punto di vista morale, possono senz’altro rappresentare una soluzione migliore rispetto allo sperimentalismo privo di regole cui lascia spazio l’assenza di una legge”.
Appare evidente lo slittamento dottrinale e concettuale che, non avendo affatto chiarito quali aspetti delle tecniche siano in contrasto con la legge naturale, scivola in un atteggiamento conciliativo e compromissorio nell’ambito del quale non è però dato capire quale potrebbe essere il confine, la linea del Piave che permetta di riconoscere atti da considerare giuridicamente leciti e atti non giuridicamente leciti.
A riprova del totale caos etico-giuridico in cui si precipita una volta abbandonata la linea di demarcazione, che condanna ogni forma di fecondazione extracorporea, può essere citato il breve volume di Paolo Musso, ‘Convivere con la bomba, dalla bioetica alla biopolitica’, nel quale l’autore – cattolico e docente alla Pontificia università Urbaniana di Roma – sostiene che, in materia di FIV, dovrebbero essere legalizzata sia nella forma omologa che eterologa, e consentita alle coppie di fatto (ma non omosessuali). Il libro porta la prefazione del Cardinale Dionigi Tettamanzi, uno dei più autorevoli esperti di bioetica della Chiesa cattolica, che certo non condivide la posizione espressa da Musso. Una fra le molte incongruenze, che confermano l’esistenza di uno stato confusionale sul tema della procreazione umana, che richiede una urgente mobilitazione affinché la verità sia ristabilita in questa difficile e drammatica frontiera della bioetica.
- Luisella Battaglia, Il punto di vista della donna nelle pratiche di procreazione assistita, in Paolo Cattorini, Procreazione assistita e tutela del figlio, Europa scienze umane editrice, Milano 1996.Simone De Beauvoir, Il secondo sesso, Il Saggiatore, Milano 1961
- S. Firestone, La dialettica dei sessi, Guaraldi, Rimini Firenze 1971.
- L. Battaglia, p. 15, op. cit.
- Ibidem, p. 18.
- L. Battaglia, p. 20, op. cit.
- Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti, Milano 1977.
- L. Battaglia, p. 27-28, op. cit.
- Ibidem
- Si veda tutto l’interessante saggio Generazione assistita: la tecnica e l’atto libero del soggetto, in La nuova frontiera della bioetica, Centro Ambrosiano, Milano 2001, da pp. 81 a pp. 107. Anche se resta non condivisibile la parte in cui l’autore definisce le argomentazioni della Donum vitae contratte o addirittura ellittiche.
- Massimo Reichlin, Etica della generazione, pp. 148 e ss. In Mario Picozzi, Nodi e prospettive in bioetica, In dialogo, Milano 2002.
- Ibidem
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