Don Giuseppe Beretta – fratello di Santa Gianna Beretta Molla

In piazza San Pietro, il 16 maggio c’ero anch’io, e ho avuto l’onore di celebrare con Sua Santità Giovanni Paolo II la santa Messa per la canonizzazione di sei nuovi santi della chiesa, e tra questi, Gianna: c’eri anche tu. Mi trovavo alla sinistra dell’altare pontificio, guardando la facciata di san Pietro, vedevo nell’ultima finestra a destra campeggiare il grande stendardo che ti raffigurava nello stupendo gesto materno di tenere in braccio, guancia a guancia, la tua bella Mariolina, che già ti ha raggiunto in cielo; e tutte e due avevate lo sguardo proteso verso un punto lontano, per contemplare la stupenda bellezza di Dio. Eri all’ultimo posto, ma l’importante è l’esserci sulla facciata di San Pietro in una simile occasione.

C’eri, e la tua presenza segna dei veri primati rispetto agli altri santi. Se non ce l’avesse sottolineato il cardinale di Milano, io non l’avrei mai creduto. Tu, Gianna, nella diocesi di Milano, sei la prima santa che viene canonizzata dopo san Carlo. Sono passati ben 396 anni da quel giorno, molte persone sono state elevate fino al grado di beati, anche due cardinali, ma si son fermati lì!

Tra i sei nuovi santi, sei quella che ha raggiunto la meta più in fretta: San Luigi Orione ha avuto un processo che è durato 68 anni, e tutti gli altri hanno processi che sono durati più di cento anni. Il tuo processo è iniziato nel 1980 e si è chiuso nel 2004, felicemente.

E qual è il titolo per il quale la chiesa ti ha proposta come santa? Mamma di famiglia!

Sei la prima mamma di famiglia fiorita nella santità proprio come ‘mamma di famiglia’, nel pieno della fecondità della tua maternità, coronata quasi con l’aureola del martirio per la tua ultima gravidanza, che hai saputo vivere nella misura dell’amore più grande, insegnato e vissuto da Gesù, avendo dato la tua vita per salvare quella della tua creatura. Per questo la chiesa ti propone a modello di tutte le mamme del mondo.

E qual è il segreto di questa tua splendida riuscita? Mons. Morstabilini, allora vescovo di Brescia, era stato il mio professore di morale in seminario, quando è morta Gianna mi ha scritto una lettera molto importante per me. I gesti come quelli di Gianna non sono casuali: mettono in risalto la bella figura dei nostri genitori, due persone innamorate di Dio. La fede noi l’abbiamo respirata in casa, prima di apprenderla sui libri o nella predicazione, l’abbiamo respirata in casa, l’abbiamo toccata con mano, vedendo come i nostri genitori ci parlavano, si volevano bene, vivevano il Vangelo, ce lo praticavano dinanzi agli occhi, giudicavano gli avvenimenti alla luce del Vangelo. Persone straordinarie, che avevano una grande fede nella provvidenza. Ah, questa sì, una grande fede: se no, non avrebbero avuto tredici figli!

Persone che han dato tutto, sono morte giovani: la mamma 51 anni, papà 62. Il bello di vedere i figli andare avanti ed affermarsi nella vita. Han fatto tantissimi sacrifici che è difficile enumerare. Pensate, hanno fatto studiare tutti i loro figlioli: quattro medici, due ingegneri, una farmacista, una diplomata in piano, e gli altri cinque volati in paradiso troppo presto a causa della spagnola. E papà soleva dirci: vi abbiamo messo in mano un mestiere, un’attività, ora tocca a voi.

Un papà e una mamma stupendi! Ma la cosa più bella non è stata tanto la professione che ci hanno messo nelle mani, quanto gli esempi di vita cristiana, di santità di vita che ci hanno dato.
Gianna è vissuta fino a 15 anni alla loro ombra; tutti noi siamo vissuti alla loro scuola, ma per Gianna c’è stato un momento importante: a 15 anni ha avuto la fortuna di vivere un corso di santi esercizi. Non è neanche stato tanto lungo, tre giorni solamente, però sono stati tre giorni nei quali Gianna ha messo le basi di tutta quella che sarà la sua vita spirituale. Il padre Avedano – era un gesuita – ha parlato loro del mistero della grazia, e ha detto cose bellissime che hanno impressionato molto Gianna. A fare tutto è stato lo Spirito Santo, perchè sappiamo che è Lui che opera: Egli ti ha fatto conoscere come nel giorno del battesimo era iniziata la più straordinaria e fantastica avventura che possa accadere a una creatura umana: Gesù ti aveva resa partecipe della sua stessa vita divina, accogliendoti come membro nel suo Corpo Mistico. Egli è il Capo, noi siamo le membra. La vita divina, dal Capo passa nelle membra, e noi così viviamo la vita stessa di Dio, siamo suoi figli adottivi, siamo oggetto del Suo infinito Amore. È sempre stato desiderio dell’uomo mettersi in comunione con Dio, in dialogo con Dio, è la storia di tutte le religioni, vere o sbagliate, è la prova di tutti questi tentativi. Ma qui, credetelo, c’è più di un dialogo con Dio, qui c’è comunione di vita con Lui, c’è un preludio di Paradiso, io direi: è già Paradiso. È quella realtà che Gesù chiamava ‘il regno dei cieli’, e che già nella Sua predicazione aveva proposto come una realtà, che si sarebbe iniziata qui su questa terra per completarsi poi nei cieli.

Nel Vangelo noi leggiamo queste parole di Gesù:

“Se uno mi ama, io e il Padre mio veniamo presso di Lui e vi facciamo dimora”.

E lo Spirito Santo? È già in noi, perchè il Padre e il Figlio ce lo hanno donato, perchè resti sempre con noi e ci aiuti a vivere questo stupendo rapporto d’amore. È lui che fa gli onori di casa alle altre due persone della SS.ma Trinità, che vengono in noi per farvi dimora. Che stupenda bellezza!
Ecco, Gianna intuisce questa verità e la vive con una gioia meravigliosa. Ringrazia il Signore di avergliela fatta gustare, questa realtà, ella la provava, ma non riusciva a capirne tutta la bellezza, la profondità, ora finalmente la conosce. E in quei santi esercizi chiede a Dio due cose: vivere ogni giorno della vita, ogni istante della sua vita, in grazia di Dio. ‘Signore – sembra una frase fatta che si legge sui libri dei santi – Signore, se vedi che mi sto incamminando su una strada sbagliata, fammi morire prima che questo accada, perchè io non mi voglio mai staccare da te’. È un suo proposito fermo, deciso. E poi chiede al Signore un’altra cosa bella: guidami tu nella vita, fammi capire quello che tu vuoi da me; io ti assicuro che farò di tutto per realizzare quella che è la tua volontà.

E sarà l’esperienza di questi esercizi che ella cercherà di comunicare alle socie dell’Azione Cattolica, siano esse aspiranti, giovanissime, socie adulte, perchè ella ha percorso un po’ tutti i gradi delle responsabilità nell’Azione Cattolica, come pure nella San Vincenzo. Il Signore poi le ha ispirato di scegliere una facoltà, è la grande scelta che papà ci permetteva di fare, ha scelto medicina. Non perchè ci fossero già due fratelli che l’avevano preceduta, ma perchè sapeva avrebbe potuto essere il buon samaritano, che si china sulle sofferenze dei fratelli, nei quali tu sapevi vedere Gesù sofferente.
E quando poi il Signore ti farà capire che la tua vocazione definitiva sarà quella della famiglia, ancora da fidanzata scriverai al tuo Pietro una lettera di fondamentale importanza, nella quale gli dici:

Pietro, voglio formare con te una famiglia veramente cristiana, che sia un piccolo cenacolo dove il Signore si senta di casa e ci ispiri ogni decisione e ci aiuti a realizzarla”.

Qui per me c’è tutta la teologia del sacramento dell’amore, che già insegnava alle socie dell’Azione Cattolica, vuol far capire al suo fidanzato che ella vuol vivere in grazia di Dio il suo matrimonio, aperta alla vita secondo il comando di Dio ‘crescete e moltiplicatevi e riempite la terra’. In un’altra lettera dice a Pietro una cosa bellissima:

Pietro, vivendo il nostro amore coniugale secondo il disegno di Dio, noi giorno dopo giorno realizziamo quella santità coniugale che Dio si attende da noi”.

Quindi il matrimonio è una chiamata alla santità, se inteso così. In un’altra lettera:

“Pietro, voglio formare con te una famiglia ricca di figli, come son state le famiglie nelle quali siamo nati e cresciuti”.

È stato chiesto a Pietro, durante il processo rogazionale, come Gianna abbia vissuto l’amore coniugale, e Pietro non ha avuto alcuna difficoltà ad affermare sotto giuramento:

sempre secondo il disegno di Dio”.

E questo lo deduciamo con grande evidenza dal fatto che Gianna pregava per avere i figlioli, ci faceva pregare per questo scopo, lo capite? Pregava! E quando sentiva i primi sintomi di una iniziata gravidanza, ce ne dava festosa la notizia, e dopo che il bimbo era venuto alla luce, per dimostrare in modo concreto la sua riconoscenza al Signore, prendeva una bella fetta dei suoi risparmi e la spediva al fratello padre Alberto, missionario, perchè in Brasile potesse continuare la costruzione del suo ospedale. E così, come per incanto, sono venuti alla luce Pierluigi, Mariolina, Lauretta, i tuoi ‘popi’ i tuoi tesori, la gioia della tua vita, la gioia della vita di Pietro. Eccolo qui, il bel quadro che li raffigura: Pierluigi, Mariolina, che ha già raggiunto in cielo la mamma, e in grembo Lauretta. Una fotografia della maternità stupenda, nella quale si legge tutta la gioia di Gianna di essere mamma.
Oh, le tue lettere scritte di notte, quando loro dormivano, sognando, per far conoscere al tuo affezionatissimo Pietro, che era rimasto a dirigere lo stabilimento, le loro gustose trovate, così da fargli sentire, anche se lontano, la gioia e il calore della famiglia. Leggetele quelle lettere, sono stupende. Sono edite dalla San Paolo . L’amore è una realtà che va coltivata, va alimentata, studiando infiniti modi per dimostrarselo vicendevolmente, altrimenti l’amore diventa una cosa stantia, non lo si sente più. Bisogna tenerlo vivo. Ecco quelle lettere sono fantasticamente belle!
Le biografie di Gianna parlano solo di quattro gravidanze, ma nei suoi sei anni, sette mesi e una manciata di giorni che è durata la tua vita di sposa, tu ne hai avuto sei: la quarta e la quinta, con tuo grande dispiacere, si sono interrotte spontaneamente al secondo mese, senza che tu, come medico, ne sapessi dare una ragione. Ti sei sottoposta a esami, hai consultato medici di valore, ma nessuno ha saputo trovare la ragione di quelle interruzioni. E, sapendo quanto tu desiderassi i bambini e li avessi chiesti al Signore, possiamo pensare quanto tu abbia sofferto per la perdita di questi tuoi due angioletti.
Non ti sei persa d’animo: hai chiesto al Signore – e noi con te – di dare un fratellino a Pierluigi, e come al solito, dopo una ventina di giorni, ci hai dato la lieta notizia di essere di nuovo in attesa. Ma anche qui, al secondo mese, ti accorgi che qualcosa non va: accanto all’utero è apparso un gonfiore sospetto. Ne fai parola al fratello, dott. Ferdinando, e insieme a lui decidi di sentire il parere del prof. Vitali, tuo cattedratico a Pavia, il quale ha diagnosticato la presenza di un fibroma. Il fibroma è un tumore benigno, ma lì, in quel posto e in quel momento, non ci voleva proprio. Il professore, parlandoti da medico a medico, ti dice: ‘Gianna, bisogna operare, però, per mettere al sicuro la tua vita, devo interrompere la gravidanza’.

A queste parole Gianna scatta:

Professore, non lo permetterò mai! È peccato uccidere nel seno!

Tu non vuoi prendere nemmeno in considerazione una simile soluzione. Il professore, che è di religione ebraica, sussurra al mio fratello Ferdinando, che era lì vicino, con ammirazione: “Questa sì che è una mamma cristiana!”
Sei preoccupata, come medico e come mamma, di salvare il bambino, la tua creatura, e sai che bisogna togliere ciò che la minaccia, ma sai anche che – dopo una simile operazione – per te e per il bambino, la gravidanza proseguirà a grave rischio . La ferita si rimarginerà, ma in quel tessuto che, con il crescere del bimbo, si sottende sempre di più, si può riaprire; e allora è tutto il grembo materno che si sfascia, con la conseguente morte della mamma e del bambino.

E se tutto andrà bene sino alla conclusione della gravidanza, è al momento del parto che la mamma corre il rischio più grave: sono molte le mamme che perdono la vita, qualcuna però si salva. Gianna, che vuol far tutto il possibile, perché la sua creatura possa nascere e vivere, decide:

Anche se devo rischiare, io voglio che il mio bambino viva. Professore, operi in modo che la gravidanza possa continuare”.

L’operazione è riuscita bene, e dopo alcuni giorni ti ho veduta a casa, in mezzo ai tuoi bambini che facevano una grande festa. E anch’io ho ringraziato il cielo, perché tutto era andato bene, e tu sottovoce mi dicesti: “Eh, tu don Giuseppe, non te ne intendi di queste cose! Quando sarà il momento, o io o lui”. E qui per me sta l’eroismo di Gianna: è andata avanti ancora sette mesi, sostenuta da una grande forza d’animo, e, pensate, non ha detto nulla neanche al suo Pietro, del grave rischio che ogni giorno poteva essere in agguato, per non farlo soffrire.
Solo dieci giorni prima dell’ultimo ricovero, mentre Pietro sta infilando il cappotto per andare nello stabilimento, lo ragguaglia sulla sua decisione:

Se dovrete scegliere se salvare me o il bambino, lo esigo: salvate lui, salvate il bambino!

È il venerdì santo del ’62, e Pietro conduce Gianna nel reparto di maternità del vecchio ospedale di Monza, dove è primario il prof. Vitali; ed a suor Eugenia (ndr. Sorella), che le viene incontro, dirà: “Son qui a compiere il mio dovere di mamma, sono pronta a tutto pur di salvare la mia creatura”. Sono parole dinanzi alle quali c’è da inginocchiarsi! Non ha creduto di fare un atto eroico: il suo dovere di mamma.
Il sabato santo, con taglio cesareo, nasce una bella bambina di quattro chili e mezzo, ma per lei, la mamma, inizia la dolorosissima agonia, dovuta ad una setticemia al peritoneo, intrattabile alla penicillina, da poco scoperta. Dolori insopportabile all’addome le faranno invocare continuamente la sua mamma, perché la porti in cielo. Ma vi è un dolore morale che supera quello fisico ed è il pensiero di dover lasciare i suoi bambini così piccoli. Nella notte tra il lunedì e il martedì di Pasqua entra in coma, si teme il tracollo. Invece al mattino si risveglia, e al marito dice:

Pensa, sono arrivata fino alla porta del paradiso, ma mi hanno rimandata indietro, perché non si può apparire davanti al Signore senza aver molto sofferto”.

Le mancavano ancora quattro giorni di agonia. A questo punto, il Signore interviene con un fatto che per me ha del prodigioso, del miracoloso. La sorella, madre Virginia, canossiana e medico, era da cinque anni in India, a Pratav-Gar, a dirigere un piccolo ospedale; ha poche medicine, strumenti vecchi e inadatti, scrive alla sua Madre Generale chiedendo di poter rientrare per qualche tempo in Italia, per raccogliere, insieme a Gianna, quanto necessita per il suo ospedale. Ma la lettera rimane per diverso tempo senza risposta. Poi arriva un telegramma: a Bombay una nave inglese sta per partire, preparati! In fretta e furia fa i suoi preparativi, raggiunge la nave inglese che parte per l’Italia. Sulla nave non c’è il cappellano, ed è la settimana santa, il tempo della Pasqua, e madre Virginia supplisce meditando sul suo crocifisso di missionaria la passione, morte e risurrezione di Gesù, lontana dal pensiero che anche per Gianna quelli siano i giorni della sua passione. Quando entra nel Mediterraneo, invia un cablogramma ai fratelli, annunciando il suo arrivo a Napoli. Il fratello Francesco la raggiunge in macchina, la ragguaglia sulle condizioni gravissime di Gianna e la porta al suo capezzale.

Vedendola sulla porta della stanza, Gianna le manifesta tutto il suo grande dolore di dover lasciare le sue creature ancora in così tenera età. Questo arrivo inaspettato, però, le ispira una possibile soluzione per i suoi bambini, e sussurra a Madre Virginia:

“Dì alla nostra sorella Zita di mettere Pierluigi accanto a Pietro nel letto grande, e a lei di dormire nella camera delle bambine per poterle assistere. Tu poi dì alla tua madre generale, che non ti mandi più in India, e rimani qui a curare insieme a Zita i miei bambini”.

La passione di Gianna continua come quella di Gesù, che si sente abbandonato dal Padre Suo. Anche Gianna si accorge che con lei c’è solo madre Virginia: ‘ma dove sono andati tutti? Mi hanno abbandonato’ … e madre Virginia le spiega che è ordine del medico che rimanga con lei solo una persona. Sono tutti fuori che stanno pregando …

“Ho sete – dice Gesù – e gli porgono una spugna imbevuta di acqua e aceto. Ma Gesù non volle bere”.

Nella cartella clinica di Gianna è detto che non ha voluto che le venissero dati dei calmanti, per poter essere sempre cosciente ad offrire a Dio la sua sofferenza per la sua famiglia.
Poi Gianna capisce che tutto è inutile, e che per lei non ci sono più speranze. Dice a Pietro:

Portami a casa, voglio morire nel mio letto di sposa”.

Sono le prime ore del sabato in albis , e la portiamo a casa appena in tempo per udire ancora una volta la voce dei suoi bambini, che nella stanza accanto per il trambusto si erano svegliati.
Due lacrime le rigano il volto, e poi il respiro si fa sempre più lieve, ma si percepiscono ancora con chiarezza le sue ultime parole di conformità alla volontà di Dio:

Gesù, ti amo … Gesù ti amo”.

E dicendo questo è volata in cielo. E’ Pasqua di Risurrezione.
Ecco, questa è la nostra grande Gianna, santa Gianna, mamma di famiglia, che la Chiesa propone come modello per le mamme di tutto il mondo, perché amino e rispettino la vita delle loro creature. Gianna, più di così non so cosa avrebbe potuto fare come mamma! Il suo gesto finale è un inno alla vita che ha coronato tutta la sua esistenza, e ha saputo amare nella misura dell’amore più grande, insegnato e vissuto da Gesù:

Non c’è amore più grande di chi dà la vita per la persona che ama”.

Ora è più che manifesto il perchè il Signore abbia riservato a Gianna la precedenza anche davanti ai cardinali e beati di Milano. Tu, Gianna, porti al mondo un messaggio che preme molto a Dio, specialmente oggi: la tua vita di mamma è veramente Parola di Dio a tutte le mamme del mondo, perché si convincano che la vita è sacra e va rispettata, sempre, ma soprattutto quando è indifesa nel grembo materno. È un messaggio diretto a tutte le mamme del mondo, a prescindere dal loro credo. E vi dico una curiosità: un mese dopo la canonizzazione di Gianna, ricevo una telefonata; è una signora di Bergamo che io non conosco, e mi ha detto:

“Ero a Londra in questi giorni, e di domenica ho voluto entrare per curiosità nella cattedrale anglicana; era in corso una liturgia; a un certo punto il pastore anglicano fece la sua omelia, e tra le sue prime parole ho sentito “Gianna Beretta Molla” – oh, questa la conosco! E ho allargato bene le orecchie per ascoltare bene tutto. E dice che ha sentito una stupenda omelia sulla figura di Gianna, sul suo stupendo esempio di mamma e sul suo gesto eroico. E ha terminato ringraziando il papa di Roma per aver messo in luce una così stupenda mamma.”