Elena Baldini – Assistente Pastorale per la Vita
1. Sono forse io il guardiano di mio fratello?
Annunciare, celebrare e servire: è un trinomio molto caro a Giovanni Paolo II, che lo ha utilizzato parlando del Vangelo della speranza, del Vangelo della famiglia, del Vangelo della Vita.
Non sto qui a esporre ciò che G.P. II ha scritto a questo proposito nella terza parte della Evangelium Vitae, nn. 78-101: vi invito a leggerli, meditarli, contemplarli e attualizzarli.
Voglio soffermarmi solo su un punto che ritengo di estrema importanza: il grande Papa ha sempre insistito sul fatto che la difesa della vita non è una questione ‘dei cattolici’ o ‘della Chiesa’;
“Il Vangelo della Vita non è esclusivamente per i credenti, è per tutti. La questione della vita e della sua difesa e promozione non è prerogativa dei soli cristiani … Quando la Chiesa dichiara che il rispetto incondizionato del diritto alla vita di ogni persona innocente — dal concepimento alla sua morte naturale — è uno dei pilastri su cui si regge ogni società civile, essa « vuole semplicemente promuovere uno Stato umano…. Il Vangelo della vita è per la città degli uomini” (EV 101).
Tuttavia, con altrettanta insistenza, G.P. II ribadisce che “Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili. Dobbiamo allora interrogarci, con grande lucidità e coraggio, su quale cultura della vita sia oggi diffusa tra i singoli cristiani, le famiglie, i gruppi e le comunità delle nostre Diocesi. Con altrettanta chiarezza e decisione, dobbiamo individuare quali passi siamo chiamati a compiere per servire la vita secondo la pienezza della sua verità” (EV 95).
Cominciamo con un semplice test: quanti di noi hanno letto almeno una volta per intero l’Evangelium Vitae? Lo sappiamo, siamo sommersi di documenti e comunicazioni, a livelli ecclesiali nazionali, diocesani, parrocchiali, e la carta stampata spesso si accumula senza che abbiamo il tempo di scorrerla tra le mani. Ma ci rendiamo conto di quanto sia “pressante” (EV 6) questo invito? Siamo “consapevoli che ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la « cultura della morte » e la « cultura della vita ». Ci troviamo non solo « di fronte », ma necessariamente « in mezzo » a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita”? (EV 28).
Ma – interroghiamoci francamente – quali sono le priorità delle nostre comunità cristiane? Quali le preoccupazioni, gli interessi pastorali e caritativi, le domande a cui diamo precedenza?
Ci preoccupiamo se, quando riceviamo l’Eucarestia nelle mani, qualche frammento del Corpo di Cristo può andare disperso: ma abbiamo altrettanta preoccupazione per i frammenti di quella carne di bimbo, stracciati dalla macchina inesorabile dell’aborto? Frammenti reali della Carne di Cristo, Sangue versato del Corpo del Signore! “Proprio attraverso l’aiuto all’affamato, all’assetato, al forestiero, all’ignudo, al malato, al carcerato — come pure al bambino non ancora nato, all’anziano sofferente o vicino alla morte — ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha dichiarato: « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 40). Per questo, non possiamo non sentirci interpellati e giudicati dalla pagina sempre attuale di san Giovanni Crisostomo: « Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità »” (EV 87).
Ci angustiamo per la mancanza di vocazioni, e facciamo veglie e preghiere: ma perché non ci angustiamo per la mancanza di figli? Se ci fossero più figli, ci sarebbero anche più vocazioni!
Ci rattristiamo di fronte ai tanti matrimoni che falliscono alle prime difficoltà: ma non pensiamo che questi ragazzi che affrontano il matrimonio sono quasi tutti figli unici che non hanno mai sperimentato le normali tensioni tra fratelli e sorelle e le ricchezze incalcolabili di una famiglia numerosa?
Spesso i sacerdoti non hanno il coraggio di parlare di aborto nelle loro omelie, perché hanno paura di ferire qualcuno tra i presenti che forse ha vissuto questa esperienza; e tacitamente approviamo questo modo di fare: ma non pensiamo che dietro alle migliaia di bambini uccisi ci sono migliaia di madri e di padri assetati di redenzione, bisognosi di perdono e di pace? E migliaia di medici, farmacisti, infermieri, psicologi, assistenti sanitari, assistenti sociali, che disonorano le loro categorie suggerendo, promuovendo o praticando direttamente l’aborto? È totalmente assente nella nostra chiesa il discorso di una pastorale per il post-aborto e oggi, purtroppo, anche per il post-fecondazione extracorporea.
Preghiamo con sincerità per le migliaia di morti e senza tetto delle catastrofi naturali, specialmente quando avvengono lontano da noi, e siamo anche disponibili a toglierci qualcosa dalle tasche per dare una mano: ma che facciamo di fronte allo sterminio di innocenti che ogni giorno si perpetua nei nostri ospedali?
E cosa dire quando tutti i movimenti ecclesiali si esprimono all’unisono in difesa di una legge iniqua, falsa e inapplicabile, come la legge 40 che permette la produzione artificiale dell’uomo? E cosa dire quando parlamentari cattolici si fanno promotori di una simile legge? E cosa dire quando nelle università cattoliche si insegna che “sì, la fecondazione extracorporea è immorale, anche quella omologa, però per fortuna che c’è la legge 40 che tutela la salute della donna e i diritti dei figli”? e questo, nel migliore dei casi: sì, perché purtroppo è passata nella mentalità comune che la fivet in fondo si può fare, purché sia omologa! in fondo è un atto d’amore, in fondo favorisce la vita, in fondo si fanno nascere più figli …
E quanto spazio si danno ai temi della vita nei mezzi di comunicazioni parrocchiali e diocesani? Sono problematiche che danno fastidio, meglio far spazio a notizie positive, al bene che si fa, alle sagre paesane, alle foto di cresime e prime comunioni …
E chi, un paio di anni fa, non ha comprato e appeso con orgoglio alla propria finestra la bandiera iridata della pace? “Pace, pace, ma pace non c’è” (Ger 6,14), si lamentava il profeta Geremia. Ma ci ricordiamo di quelle parole di G.P. II:
“Nessun movimento per la pace è degno di questo nome, se non condanna e non si oppone con la stessa forza alla battaglia contro la vita nascente”? . Ci interroghiamo sull’inquinamento, ci inteneriamo fino alle lacrime per i cani e i gatti abbandonati, ma ci dimentichiamo che – e cito ancora G.P. II nella stessa omelia – “Nessun movimento ecologico può essere preso sul serio, se ignora i maltrattamenti e la distruzione di innumerevoli bambini che nel seno materno potrebbero continuare a vivere” . Magari l’8 marzo distribuiamo rametti di mimosa, ma ci scordiamo che “Nessuna donna emancipata può rallegrarsi della sua maggiore autodeterminazione, se questa fosse ottenuta a discapito di una vita umana affidata alla sua tutela e che possedeva a sua volta il diritto all’autodeterminazione” .
Ancora, di fronte a fatti cruenti e inspiegabili – pensiamo, solo per citare un esempio piemontese, all’orribile delitto di Novi ligure, quando la giovanissima Erika, con l’aiuto di un coetaneo ha ucciso la madre e il fratellino – ci interroghiamo pieni di stupore e dolore. Ma in una società nella quale i genitori possono legalmente e senza motivo uccidere i propri figli, non abbiamo il diritto di meravigliarci se ci sono figli che senza motivo uccidono i genitori. In una società in cui si ritiene lecito e doveroso concepire i propri figli al di fuori di un naturale rapporto tra uomo e donna, non abbiamo il diritto di scandalizzarci se poi i naturali rapporti tra figli e genitori vengono stravolti. In una società in cui si invoca il diritto di uccidere un anziano o un malato con il pretesto di una falsa pietà che nasconde solo paura e fastidio di affrontare il dolore e la morte, non abbiamo il diritto di stupirci se i nostri ragazzi non sanno più distinguere tra la vita e la morte.
Infine, ci rendiamo conto che la missione di annunciare, celebrare e servire il Vangelo della Vita è non solo doverosa e prioritaria, ma anche urgente? La Madre di Gesù – come ha così ben esposto Padre Angelo dell’Annunciazione – ha accolto in sé tutta questa urgenza, e l’Evangelium Vitae incalza quasi affannosamente per stimolarci a questa missione:
“Oggi questo annuncio – scrive G.P. II – si fa particolarmente urgente per l’impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando essa è debole e indifesa” (EV 3).
“Il Vangelo della vita” ci spinge “ad andare alla scoperta dei bisogni delle persone iniziando — se necessario — nuovi cammini là dove più urgente è il bisogno e più deboli sono l’attenzione e il sostegno” (EV 90).
“E’ necessario e urgente che la famiglia stessa sia aiutata e sostenuta” (EV 94).
“Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti. L’urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa.” (EV 95).
“È urgente una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero.” (EV 100).
“Urge dunque, per l’avvenire della società e lo sviluppo di una sana democrazia, riscoprire l’esistenza di valori umani e morali essenziali e nativi, che scaturiscono dalla verità stessa dell’essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere, ma dovranno solo riconoscere, rispettare e promuovere” (EV 71).
“Urge anzitutto coltivare, in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo. Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio” (EV 83).
Ho intitolato questa prima parte con la citazione biblica della ‘scusa di Caino’: “Sono forse io il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9), che G.P. II riporta nella EV, aggiungendo: “Caino non vuole pensare al fratello e rifiuta di vivere quella responsabilità che ogni uomo ha verso l’altro” (EV 9). E insiste più volte: “sì, ogni uomo è guardiano di suo fratello, perché Dio affida l’uomo all’uomo” (EV 19).
Ancora:
“Difendere e promuovere, venerare e amare la vita è un compito che Dio affida ad ogni uomo” (EV 42);
e più avanti, parlando dell’aborto, afferma:
“Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare … è totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo” (EV 58). Al n. 76 approfondisce l’idea: “Il Creatore ha affidato la vita dell’uomo alla sua responsabile sollecitudine… Il Dio dell’Alleanza ha affidato la vita di ciascun uomo all’altro uomo suo fratello, secondo la legge della reciprocità del dare e del ricevere, del dono di sé e dell’accoglienza dell’altro. Nella pienezza dei tempi, incarnandosi e donando la sua vita per l’uomo, il Figlio di Dio ha mostrato a quale altezza e profondità possa giungere questa legge della reciprocità. Con il dono del suo Spirito, Cristo dà contenuti e significati nuovi alla legge della reciprocità, all’affidamento dell’uomo all’uomo” (EV 76).
Su questo punto mi fermo qui, ho voluto solo fornire una traccia di ‘esame di coscienza’.
2. Testimoni dell’Incarnazione
Annunciare, celebrare e servire il Vangelo della Vita: quelli che fra di voi mi conoscono, sanno cosa abbiano significato per me queste parole. Per quelli che non lo sanno, mi presento brevemente: sono stata monaca carmelitana al Carmelo di Ravenna, fino al 1992, anno in cui ho partecipato alla fondazione, in diocesi di Rimini, a Sogliano al Rubicone, del Carmelo Santa Maria della Vita, un monastero di clausura affiancato da una struttura di accoglienza nella quale si spera possa nascere un centro di spiritualità e cultura per la vita. Questo nuovo Carmelo ha le sue radici in quella ‘grande preghiera per la vita’ che è iniziata ancor prima dell’appello di G.P. II, e che si è poi concretizzata in questa piccola comunità sulle colline del riminese, comunità che dedica tutte le forze della preghiera, della lode divina, della contemplazione alla grande causa della vita. Preghiera che ha avuto i suoi timidi inizi già al Carmelo di Ravenna, in collaborazione con il Movimento per la Vita della stessa città, guidato allora dall’indimenticabile amico Achille Baravelli. Certo, non era questo l’unico luogo dal quale “si elevava una supplica appassionata a Dio, Creatore e amante della vita” (EV 100): ma qui ha rivestito un ruolo speciale proprio per la sua ‘materializzazione’ nel Carmelo Santa Maria della Vita.
E le radici si espandevano misteriosamente nel cuore di molti altri amici del popolo della vita, i quali poi, attraverso vie altrettanto misteriose, si sono trovati accomunati dalla ‘grande preghiera per la vita’ in una sua forma molto particolare: l’adorazione a Gesù Concepito nell’Eucarestia. È nata così – proprio a Sogliano – l’Associazione Progetto Gemma, tesa all’annuncio, alla celebrazione, al servizio del Vangelo della Vita, alla riflessione e rivisitazione del
Mistero dell’Incarnazione per una nuova cultura della vita.
Sarebbe troppo lungo raccontare il come e il perché sono uscita dal monastero; posso solo dirvi che sentivo incessantemente quel grido “assolutamente unico del Sangue di Cristo” (EV 25), continuamente versato nel sangue innocente dei più piccoli tra i miei fratelli, e ho voluto combattere per difendere in loro la Gloria di Dio. Ho resistito a lungo a questa voce, a questo grido, perché intuivo che mi avrebbe portato lontano dalla mia famiglia religiosa e mi avrebbe immesso in strade sconosciute, ancora tutte da percorrere.
La regola del Carmelo si conclude con queste parole:
“E se qualcuno ha cercato di dare di più, il Signore stesso, al suo ritorno, lo ricompenserà”. Non so se ho cercato di ‘dare di più’, non mi sento peggiore o migliore degli altri per questa scelta, ma so che ‘ho cercato’ il Volto di Cristo, e so in chi ho avuto fiducia. Quando giungerò davanti a Lui sarò ricoperta di polvere e fango, per i miei peccati e le mie debolezze, ma – lo spero – sarò attorniata da tanti piccoli fratelli, e potrò dire a Lui: Eccoci, io e i figli che mi hai dato. Ciò che più mi aveva attirato in monastero era il senso del deserto e la consapevolezza dell’universalità della missione claustrale; le ho ritrovate entrambe: il deserto della solitudine e la certezza che ‘chi salva una vita salva il mondo intero’.
3. Una proposta: la consacrazione per la Vita
Il progetto che avevo e ho ancora nel cuore, è quello di una nuova famiglia religiosa dedicata in modo esclusivo ad annunciare, celebrare e servire la vita. Non ho idea se questo si potrà realizzare: “Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore?” (Is 40,13). Ma in questi anni il progetto ha preso nuove forme e nuovi colori, anche se soltanto nella mia mente. Riflettendo sulla proposta che mi è stata fatta, di entrare a far parte dell’Ordo Virginum, per mantenere in qualche modo la mia consacrazione a Dio, ho maturato un’idea che chiamerò – tanto per darle un nome – “Ordo Incarnationis”. Ne ho parlato già con il vescovo di Casale, che quattro anni fa mi ha accolto con cuore davvero paterno nella sua diocesi, e so che porta nel cuore e nella mente questo piccolo embrione, in attesa che il Signore ci illumini e ci apra le strade. Ora voglio proporlo anche qui: mi rivolgo ai vescovi e ai sacerdoti presenti, e a tutti i fedeli, per gettare anche in voi questo seme desideroso di germogliare.
“Ordo Incarnationis” significa per me una famiglia di consacrati per la vita. Persone che, pur mantenendo il proprio stato di vita nel matrimonio, o nel celibato, o nel sacerdozio, o nella vita religiosa, o ancora nella ricerca, si consacrino a Dio per annunciare, celebrare e servire il Vangelo della vita. Come per l’antico Ordine delle Vergini, ognuno può mantenere e coltivare in piena libertà la propria spiritualità, l’appartenenza a gruppi ecclesiali o parrocchie, gli impegni relativi al proprio stato di vita, e se si vuole e se ne ha l’opportunità, si possono studiare forme di convivenza e condivisione più stretta. Tutti, però, sono impegnati nella grande missione per la vita, uniti da una consacrazione che non dovrebbe essere semplicemente ‘privata’, ma accolta pubblicamente dalla Chiesa nella persona del proprio vescovo.
Questo impegno comune si può sviluppare attraverso la creazione di centri diocesani – magari intitolati “Evangelium Vitae” – gestiti dai consacrati, per coordinare al meglio le forze di tutti all’interno e all’esterno delle comunità cristiane.
Conclusione
San Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, scrive:
“Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato” (1 Cor 1,27-28).
La parola tradotta normalmente con ‘ignobile’, significa alla lettera ‘senza nascita’. Certo, è inteso nel senso di persona senza nobili natali, e più di un biblista storcerà il naso per questa lettura così personale, ma trovo in questa parola una struggente icona delle preferenze di Dio: lui sceglie chi è senza nascita. E i primi posti nel suo regno, il suo primo paterno tenerissimo abbraccio sarà per i milioni di piccoli uomini uccisi nella totale indifferenza dei loro fratelli.
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