Nel mirino il Patto che prevede per i volontari pro life la possibilità di essere ascoltati
E’ il Patto per la vita e la famiglia, sottoscritto dal governatore Cota con Federvita Piemonte ed altre realtà del mondo del volontariato e della cultura il bersaglio degli epigoni di quel veterofemminismo che negli anni ’70 sfilava gridando “l’utero è mio” e che non ha esitato ad accanirsi stamattina contro la sede di Federvita Piemonte con il solito trito armamentario a base di prezzemolo, vernice rossa, vecchi slogan e altre sporcizie.
Nel mirino appunto il Patto che prevede per i volontari pro life la possibilità di essere ascoltati – d’accordo la donna – nei consultori e nei presidi sanitari dove si rilascia la certificazione per l’aborto, secondo il dettato della legge 194/78 (art.2).
Arroccate nelle posizioni di trent’anni fa, coloro che a ciò si oppongono altro non sanno che urlare la libertà della donna di abortire: del tutto fuori del loro campo di azione e persino dal loro immaginario la possibilità di ascoltare, tendere la mano, proporre un’alternativa, farsi carico di quel figlio che chiede di nascere. Una solidarietà femminile, la loro, esibita solo a parole e che viene meno quando si annunciano le difficoltà per una gravidanza per cui l’unico aiuto previsto è il certificato di aborto. Anche nei confronti delle immigrate verso le quali le attestazioni di solidarietà si sprecano, a parole.
Siamo tuttavia convinti che spezzare il cerchio della solitudine, della povertà, del bisogno è possibile se a ciò si impegnano tutti, rinunciando a contrapposizioni ideologiche ormai logore e superate e ci auguriamo vivamente che nella nostra Regione possa realizzarsi quella sinergia di intenti a favore della vita che alcune premesse lasciano sperare.
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