Padre Angelo Bellon O.P. – Docente di teologia morale

1. Il Vangelo della vita

Dobbiamo essere grati a Giovanni Paolo II dell’espressione “Vangelo della vita”, che rimanda alla buona novella portata da Gesù sulla vita umana. Quest’espressione egli l’aveva usata anche in altri casi. Nella sua prima enciclica di carattere sociale, la Laborem exercens del 1981 (nel 90° della Rerum Novarum), aveva svolto una riflessione sul Vangelo del lavoro.

Il titolo di questa relazione potrebbe sembrare un pò forzato e come stiracchiato per giustificare con una copertura biblica il tema del convegno.
Ma ogni dubbio svanisce se si pensa alle parole pronunciate da Gesù:

“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10),

parole che focalizzano l’obiettivo dell’incarnazione.

È vero che Cristo non allude qui semplicemente alla vita corporale, la quale continua anche dopo la sua risurrezione ad avere una parabola ascendente e una parabola discendente che si chiude con la morte.

Egli parla della vita eterna.

E perché non si pensi che la vita eterna consista semplicemente in una vita che non finisce mai, o anche in quel tipo di vita definita in maniera molto acuta da Severino Boezio come “interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio” (possesso pienamente perfetto e simultaneo di una vita interminabile), è opportuno ricordare le parole di Gesù: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17,4).
Da notare che nel vangelo secondo Giovanni l’espressione “vita eterna” non equivale semplicemente ad una vita interminabile, ma vuole significare la vita stessa di Dio. Si tratta della vita celeste e divina, propria di Dio, di ordine soprannaturale.

E il verbo conoscere sta al posto di amare, essere uniti, possedere, come si evince bene da quelle altre parole proferite dal Signore: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14).

Questa Vita eterna, propria di Dio, dalla Sacra Scrittura e dalla teologia della Chiesa viene chiamata Grazia.

Si capisce allora perché San Tommaso dica che

“la grazia non è altro che l’inizio della vita del Paradiso in noi” .

È l’inizio: perché nel momento in cui una persona viene innestata in Cristo questa vita divina non viene data nella sua pienezza, ma in germe, secondo la nota espressione di san Giovanni: “Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui” (1 Gv 3,9).

Il senso della vita presente dunque è quello di permettere a questo germe di svilupparsi e di giungere alla sua pienezza.

Le parole di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” stanno a significare che Egli è venuto perché gli uomini vivano per sempre la comunione di vita con Dio e che questa comunione la vivano in abbondanza.

Il tempo della vita presente è il tempo nel quale Dio ci ha messi perché la sua vita divina diventi sempre più nostra nel senso più vero di questo aggettivo possessivo. Siamo infatti esseri liberi. E una realtà diventa davvero nostra quando da noi è fatta “nostra”. Ed è fatta “nostra” quando da noi è conosciuta, amata, desiderata, cercata e posseduta.
Dunque, niente deve intralciare il processo che va dal germe alla pienezza di vita, alla maturazione. Ne va di mezzo la qualità del destino eterno dell’uomo: la sua salvezza o la sua perdizione e il suo grado di gloria.

2. La vita trascendente dà grandezza e preziosità alla vita immanente

Ci si potrebbe obiettare: se la vita di cui parla Gesù in Gv 10,10 è la vita soprannaturale e trascendente della grazia, perché far riferimento a queste parole per dire che in esse si trova il Vangelo o la buona notizia sulla vita presente, sulla vita corporale e biologica?
Giovanni Paolo II riconosce la pertinenza della domanda e dice: “In verità, Gesù si riferisce a quella vita “nuova” ed “eterna”, che consiste nella comunione con il Padre, a cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito Santificatore. Ma proprio in tale “vita” acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell’uomo.
L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (1 Gv 3,1-2)” .
Sì, proprio l’annuncio della vita trascendente svela la preziosità e la grandezza della vita immanente.
Senza la vita trascendente, la vita immanente rimane priva di senso. Essa è la condizione o la premessa indispensabile per accogliere e godere la vita trascendente.
E poi, ben diversamente dai vegetali e dagli animali, i quali conclusa la vita presente hanno concluso tutto, ogni uomo è chiamato ad una comunione di vita eterna con Dio.
Il Concilio dice che “l’aspetto più sublime della dignità umana consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio” . Aveva ragiona san Tommaso a dire che “la persona umana è quanto di più nobile si trova in tutto l’universo, cioè un essere destinato a sussistere (oltre il tempo) di natura razionale” .
Quest’annuncio nello stesso tempo rivela la relatività della vita terrena: “Essa, in verità, non è realtà “ultima”, ma “penultima”; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli” .
In Evangelium vitae il Papa dice anche che la vita dell’uomo è “diversa e originale” rispetto a quella di ogni altra creatura vivente. Essa “è ben più di un esistere nel tempo. È tensione verso una pienezza di vita; è germe di una esistenza che va oltre i limiti stessi del tempo: “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo fece a immagine della propria natura” (Sap 2,23)” .
Ci si può domandare quale grandezza abbiano conferito alla vita umana, alla vita di ogni uomo, quelli che negano l’esistenza di Dio e negano la chiamata alla vita eterna. Perché se l’uomo viene dal nulla ed è destinato al nulla, allora vale nulla.
Se invece viene da Dio ed è chiamato alla comunione di vita con Dio, allora la vita di ogni uomo ha un valore enorme e una dignità incommensurabile.

3. Il Vangelo della vita è una Persona

Il Vangelo della vita, poi, non è una pia riflessione, anche se originale e profonda, ma “è una realtà concreta e personale, perché consiste nella persona stessa di Gesù” . Gesù infatti identifica se stesso con la vita: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,15).
La vita presente è allora premessa indispensabile per incontrare Gesù e poterlo accogliere nella propria vita.
San Paolo dice che noi siamo il tempio di Dio (1 Cor 3,16). Ciò significa che la germinazione e la crescita della vita umana sono come la costruzione di un tempio nobilissimo, destinato ad essere eternamente dimora di Dio e della sua gloria.
Ma siamo tempio di Dio anche perché Lui ne è l’architetto e il principale costruttore. Gli uomini sono solo i suoi collaboratori. È “Lui che da a tutti la vita, il respiro e ogni cosa” (At 17,35). San Tommaso in termini più metafisici ma che portano al fondo della realtà: “I genitori sono il principio del nostro divenire; solo Dio è principio del nostro esistere”.
Infatti l’esistenza ci viene irrorata da Dio istante per istante. Siamo nei suoi confronti quello che il raggio è con la sua sorgente luminosa: da essa trae l’origine, la consistenza, il suo permanere nell’essere, il significato o fine del suo esistere. Se la sorgente luminosa cessasse di irrorare il raggio, questi all’istante svanirebbe nel nulla.
Parimenti anche noi veniamo da Dio, siamo irrorati nell’esistenza da lui e il senso della nostra vita è comunicare lui. Anche quest’ultimo aspetto è importante, sebbene non tocchi direttamente il nostro argomento. È sufficiente però osservare che se al prossimo non comunichiamo Dio, che è il bene sommo, e se non lo aiutiamo a vivere la comunione con Dio, in definitiva gli diamo sempre troppo poco rispetto a quello che potremmo e dovremmo dargli. Si potrebbe dire che se al nostro prossimo non diamo la comunione con Dio, non solo gli diamo poco, ma lo amiamo poco, troppo poco.

4. L’uomo appartiene a Dio in maniera diversa che le altre creature

La vita dell’uomo appartiene a Dio in un modo speciale, che supera di gran lunga l’appartenenza che gli è dovuta da parte di tutte le altre creature visibili. E per un doppio motivo.
Primo, perché Dio ha affidato le altre creature visibili all’uomo quando ai nostri progenitori ha detto: “Soggiogate la terra e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra” (Gn 1,28).
All’uomo invece ha detto: “Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo” (Gn 9,5-6).
In altri termini, le altre creature hanno valore strumentale perché sono state volute per essere messe nelle mani degli uomini.
Le persone umane invece non hanno valore strumentale. Esse hanno valore di fine e fra di loro sono di pari dignità. Nessuno è più persona di un altro.
In questo senso Giovanni Paolo II ha detto che “nel diritto alla vita, ogni essere umano innocente è assolutamente uguale a tutti gli altri” e che “di fronte alla norma morale che proibisce la soppressione diretta di un essere umano innocente non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo miserabile sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali”.
Il secondo motivo è il seguente: perché “la vita umana fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio” .
Per gli altri esseri viventi di questo mondo non si richiede un intervento di Dio per il loro cominciare ad esistere. È sufficiente quello ordinario per il quale egli continua ad irrorare l’esistenza in tutte le cose. Per l’uomo invece, a motivo della spiritualità dell’anima, che non può venire dal meno, e cioè dalla congiunzione biologica dei gameti, si richiede un suo intervento speciale. Vale a dire: la creazione dell’anima spirituale e immortale.
Perciò l’uomo “rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere un essere umano innocente” .
Di qui emerge il carattere sacro e inviolabile della vita umana. Essa appartiene a Dio in maniera esclusiva.
Ne segue che “l’uomo, diversamente dagli animali e dalle cose, non può essere sottomesso al dominio di nessuno” .
Il risvolto di questo principio è che “rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà” .

5. Carattere sacro e inviolabile della vita umana

Dio dichiara questa sua signoria quando dice: “Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt 32,39).
Giobbe la riconosce quando esclama: “Egli ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio d’ogni carne umana” (Gb12,10).
Anna, la madre di Samuele, che dopo tanto tempo ottiene la grazia di un figlio, dice: “Il Signore fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire” (1 Sam 2,6)”.
Per questo la vita umana ha un carattere sacro ed inviolabile.
Giovanni Paolo II dice che in questo carattere sacro ed inviolabile “si rispecchia l’inviolabilità stessa del Creatore” .
Del resto non ha detto Gesù: “Tutto ciò che farete ad ognuno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40)?
Soggiunge il Papa: “Proprio per questo sarà Dio a farsi giudice severo di ogni violazione del comandamento “non uccidere”, posto alle basi dell’intera convivenza sociale. Egli è il “goel”, ossia il difensore dell’innocente. Anche in questo modo Dio dimostra di non godere della rovina dei viventi. Solo Satana ne può godere: per la sua invidia la morte è entrata in questo mondo” .

6. La vita umana è sempre un bene.

Per tutti questi motivi (perchè richiede l’intervento creatore di Dio, perché ha valore di fine, perché è chiamata all’altissima comunione con Dio, perché è di Dio in modo tutto particolare e non è in potere di nessun altro) la vita umana è sempre un bene.
È “sempre un bene… perché è nel mondo manifestazione di Dio” . L’uomo infatti é fatto a sua immagine.
È sempre un bene perché è “segno della sua presenza” . L’uomo è chiamato ad essere tempio di Dio, tempio dello Spirito Santo. Gesù sottolinea questa sua presenza quando addirittura s’identifica col prossimo: “L’avete fatto a me” (Mt 25,40).
È sempre un bene perché è “orma della sua gloria” . L’uomo infatti è capace di conoscere e di amare Dio, di possederlo.
Per S. Tommaso la grazia santificante “dispone l’anima a possedere la Persona divina” . “E noi diciamo di avere o possedere solo quelle cose di cui possiamo usare e godere a nostro piacimento (uti et frui). E in questo modo una Persona divina non può essere posseduta che da una creatura ragionevole unita a Dio” .
Ugualmente il medesimo Santo dice che “chi ha la carità possiede Dio . E come possedere una realtà significa usarne e fruire come si vuole, così chi possiede Dio può usare e fruire di Lui come vuole .

7. L’omicidio è ripugnante in se stesso, non ha alcun aspetto di bontà

Tra i primi eventi della storia umana narrati dalla Bibbia vi è un omicidio (Gn 4,1-8). Il peccato originale, che si era espresso nel rifiuto dell’alleanza con Dio da parte della prima coppia umana, si ripresenta adesso come rifiuto del proprio fratello.
E “così l’uccisione del fratello, fin dagli albori della storia, è la triste testimonianza di come il male progredisca con rapidità impressionante: alla rivolta dell’uomo contro Dio nel paradiso terrestre si accompagna la lotta mortale dell’uomo contro l’uomo” . “Questa uccisione è presentata con una singolare eloquenza in una pagina paradigmatica del libro della Genesi: una pagina ritrascritta ogni giorno, senza sosta e con avvilente ripetizione, nel libro della storia dei popoli” .
L’omicidio in se stesso suscita orrore. Turba l’animo degli uomini ben diversamente da come può turbare l’uccisione degli animali per scopo alimentare o difensivo.
S. Tommaso dice che “l’omicidio di per sé è ripugnante, perché non ha in se stesso alcun aspetto di bontà” .
In se stesso è un evento di morte, ma non di morte fisica soltanto.
È stato detto giustamente che uccidere è come scomunicare, e cioè escludere dalla comunicazione con tutti. Con l’omicidio si intende negare non solo il diritto a vivere, ma anche il diritto di essere uomo, di essere amato, di poter amare, di poter comunicare, di poter farsi dono e di costituire qualcosa di prezioso per gli altri.
Se essere e bene si identificano, uccidere una persona significa dirle che non è bene che esista, che è giusto che venga annientata.
L’omicida ritiene che una persona sia meritevole del nulla.
Ma quale uomo può pronunciare un tale verdetto verso un altro uomo, chiamato allo stesso titolo che tutti gli altri uomini all’eterna comunione con Dio?

8. Riconoscere l’originaria evidenza di essere creature

Dice Giovanni Paolo II: “È essenziale allora che l’uomo riconosca l’originaria evidenza della sua condizione di creatura, che riceve da Dio l’essere e la vita come un dono e un compito: solo ammettendo questa sua nativa dipendenza nell’essere, l’uomo può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà e insieme rispettare fino in fondo la vita e la libertà di ogni altra persona” .
Non è necessario scomodare la fede per riconoscere questo.
Ogni uomo sa che non viene a questo mondo da se stesso, né sussiste in forza di se stesso. Perché se così fosse, sussisterebbe per sempre e nessuno potrebbe togliergli la vita.
Inoltre è necessario riconoscere che non è dallo stato che l’uomo riceve la vita, né sussiste in forza dello stato. Se così fosse, lo stato avrebbe la forza divina di farci esistere sempre e per sempre. Ma così non è.
È necessario riconoscere anche pubblicamente la dipendenza da Dio. Costa così tanto? Si può fingere o aver paura che questo non sia vero?
Per Giorgio La Pira si trattava di una verità lampante, tanto che al momento di votare la Costituzione della Repubblica italiana fece la proposta di mettere al principio della Costituzione la seguente affermazione: “Il popolo italiano, in nome di Dio, si dà una costituzione”. Si trattava di un’affermazione dal valore immensamente più ampio di una frase devota.
Benedetto XVI nell’omelia dell’inaugurazione del Sinodo dei Vescovi del 2005 ha detto che “laddove l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi” .
Nella stessa omelia, poco prima aveva detto: “Noi uomini, ai quali la creazione, per così dire, è affidata in gestione, la usurpiamo. Vogliamo esserne i padroni in prima persona e da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato. Dio ci è d’intralcio…
La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza, ma ipocrisia” .
Con questo non si vuole affatto dire che la Chiesa debba avere il dominio sull’ordinamento pubblico. No.
Ma ogni uomo, con le sole risorse della mente può e deve riconoscere il dominio di Dio.
Si tratta di un’affermazione che può essere sottoscritta anche da un indù, da un mussulmano, da un buddista, da chiunque riconosca onestamente di non essere lui il padrone del mondo, perché non lo ha fatto e non lo tiene in vita con le proprie forze.

9. Dio non toglie nulla, da tutto

Mi piace concludere con tre grandi affermazioni.
La prima è di Giovanni XXIII: “Qualunque sia il progresso tecnico ed economico, nel mondo non vi sarà né giustizia né pace finché gli uomini non ritornino al senso della dignità di creature e di figli di Dio, prima e ultima ragion d’essere di tutta la realtà da lui creata. L’uomo distaccato da Dio diventa disumano con se stesso e con i suoi simili, perché l’ordinato rapporto di convivenza presuppone l’ordinato rapporto della coscienza personale con Dio, fonte di verità, di giustizia e di amore” .
La seconda è di Giovanni Paolo II: “Al centro di ogni cultura sta l’atteggiamento che l’uomo assume davanti al mistero più grande: il mistero di Dio. Quando si nega Dio e si vive come se Egli non esistesse, o comunque non si tiene conto dei suoi comandamenti, si finisce facilmente per negare o compromettere anche la dignità della persona umana e l’inviolabilità della sua vita” .
La terza è del Concilio Vaticano II: “La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L’uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità…
Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d’oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione” .
In realtà “la creatura senza il Creatore svanisce… Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa” .
La dignità della vita umana, di ogni vita umana è intimamente collegata con il problema di Dio.
Il vangelo della vita che siamo chiamati a proclamare parte dunque di qui: dal riconoscere che solo Dio conferisce vera grandezza ad ogni persona umana.
Applicando espressioni che Benedetto XVI ha proferito in altro contesto, viene da dire: “Egli non toglie nulla, e dona tutto” .
Dio non toglie nulla all’uomo. Che interesse ne avrebbe? Dio vuole solo e sempre donare tutto, perché è Amore (1 Gv 4,8).

Note

1) boezio, De consolatione, V; s. tommaso, Somma teologica, I, 10, 1, ob 1.

2) s. tommaso, Somma teologica, II-II, 24, 3, ad 2.

3) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, nn. 1-2.

4) concilio ecumenico vaticano ii, Gaudium et spes, n. 19.

5) s. tommaso, Somma teologica, I, 29, 3.
B. Pascal riconosceva la trascendenza dell’uomo su tutto l’universo materiale quando diceva: “L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quando l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire e conosce il vantaggio che l’universo ha su di lui; mentre l’universo non sa nulla” (Pensieri, 264).
J. Maritain illustra bene il significato di persona: “Quando noi diciamo che un uomo è una persona, vogliamo dire che egli non è solamente un pezzo di materia, un elemento individuale nella natura, così come sono elementi individuali un atomo, una spiga di grano, una mosca, un elefante.
L’uomo è sì un animale e un individuo, ma non come gli altri.
L’uomo è un individuo che si guida da sé mediante l’intelligenza e la volontà; esiste non soltanto fisicamente, c’è in lui un essere più ricco e più elevato, una sopraesistenza spirituale nella conoscenza e nell’amore.
È così in qualche modo un tutto, e non soltanto una parte. È un universo a sé, un microcosmo, in cui il grande universo può, tutto intero, essere contenuto per mezzo della conoscenza; mediante l’amore può darsi liberamente ad altri esseri che per lui sono come altri se stesso, relazione questa, di cui non è possibile trovare l’equivalente in tutto l’universo fisico.
In termini filosofici vuol dire che nella sua carne e nelle ossa umane c’è un’anima che è uno spirito e che vale più dell’universo intero” (j. maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Milano 1977, pp. 4-5).

6) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, n. 2.

7) Ib., n. 34.

8) Ib., n. 29.

9) Ib., n. 57. Cfr. anche Veritatis splendor, n. 85.

10) giovanni xxiii, Mater et Magistra, n. 181.

11) congregazione per la dottrina della fede, Donum vitae, Introd., 5; Cfr. anche Evangelium vitae, n. 53.

12) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, n. 19.

13) Ib., n. 20.

14) Ib., n. 53.

15) Ib.

16) Ib., n. 34.

17) Ib.

18) Ib.

19) s. tommaso, Somma teologica, I, 43, 3, ad 2.

20) Ib., I, 38, 1.

21) s. tommaso, In duo praecepta caritatis et in decem legis praecepta expositio.

22) s. tommaso, Somma teologica, I, 43, 3.

23) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, n. 8.

24) Ib., n. 7.

25) s. tommaso, Somma teologica, II-II, 122, 6, ad 4.

26) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, n. 96.

27) benedetto xvi, 2 ottobre 2005.

28) Ib.

29) giovanni xxiii, Mater et Magistra, n. 227.

30) giovanni paolo ii, Evangelium vitae, n. 96.

31) concilio ecumenico vaticano ii, Gaudium et spes, n. 21.

32) Ib., n. 36.

33) benedetto xvi, 24 aprile 2005.