INTERVISTA A S. E. MONSIGMOR CARLO CAFFARRA
ARCIVESCOVO DI FERRARA
d) Cosa pensa della sostituzione dell’atto d’amore che dona la vita con un tecnico che la produce in vitro? E qual è secondo lei l’impatto sulla sacralità della famiglia?
r) Penso che sIa uno dei segni più chiari della degradazione della persona umana e dell’oscurarsi nella coscienza morale del nostro popolo della dignità della persona umana. Perché non dobbiamo mai dimenticare che la sostanza della procreazione artificiale è che si producono delle persone, mentre fino ad un certo periodo della storia si producevano solo le cose, ora si producono anche le persone. E qui sta l’intrinseca malizia, la grave malizia, di questo procedimento. La persona degradata ad essere una cosa, viene cioè distrutta quella differenza sulla quale ho lungamente meditato con i giovani a Collevalenza nel luglio 2000, in occasione del Seminario ‘Vttoria Quarenghi’, viene cioè annullata e negata la diversità essenziale fra l’essere qualcuno e l’essere qualcosa. Questo che cosa significa in ordine all’affermazione, non solo teorica, ma pratica: la sacralità della vita? Se io introduco nella origine, nel dare origine alla vita, un procedimento produttivo, introduco una logica che è quella della efficacia, che inevitabilmente finisce, e sempre, per distruggere le persone umane. Mi spiego meglio: quando io produco qualcosa devo preoccuparmi: primo che vale la spesa, quindi che il procedimento che metto in atto abbia una sua efficacia; secondo, avendo prodotto l’oggetto, per ciò stesso ho diritto a dare un giudizio sull’oggetto prodotto; quindi – terzo – in base a questo giudizio tenermelo o non tenermelo. Ora, se lei osserva, nel modo con cui si sta agendo nel campo della procreazione artificiale, queste tre fondamentali leggi della produzione vengono spietatamente osservate. Non è per caso questo, perché è nella logica stessa di questo tipo di attività che, comincio con dire qual è il modo più sicuro e più efficace per avere un concepito? Secondo, l’ho ottenuto, verifico subito se è – tra virgolette – ‘normale’ o ‘non normale’, e se non è normale non lo impianto, lo elimino. Io credo che non ci sia una cosa più drammatica, più tragica di questa, nella nostra società di oggi. E non credo che tutti ne abbiano coscienza, purtroppo.
d)Sappiamo che per ogni bimbo che nasce nella fecondazione in vitro ci sono almeno 25 fratelli che muoiono. Qual è, secondo Sua Eccellenza, la responsabilità morale di chi provoca di fatto questo eccidio? Responsabilità morale che purtroppo oggi è attutita se non addirittura eliminata.
r) Io credo che qualunque persona ragionevole si rifiuterebbe di mettere in atto un’attività che comporta un altissimo rischio di vite umane innocenti. Sappiamo bene con quale rigore, per esempio, si preparano i protocolli per la sperimentazione di nuovi farmaci, giustamente; sappiamo bene come (faccio ancora un altro esempio magari apparentemente lontano) come prima di dare il via al passaggio su un ponte costruito di nuovo ci sono tanti controlli, perché si vuole evitare un pericolo alla vita umana. Ora qui si sa, perché chi fa la procreazione artificiale lo sa, che metti in atto un procedimento nel quale succede ciò che lei diceva. Lo si fa ugualmente. Allora ci si chiede: ma come è possibile un tale disprezzo della vita umana? E non mi si dica che io sto facendo un discorso terroristico, non logico, perché al contrario qui si vuole la vita umana. Non si dica questo, perché nessuno accetta che per avere una vita umana, se ne sacrifichino a decine di vite umane innocenti!
d) Eccellenza, se fossero autovetture, probabilmente avrebbero già interrotto la produzione …
r) Sicuramente, sicuramente. Perché purtroppo sarebbe una cosa talmente illogica, che nessun imprenditore accetterebbe un tale metodo di produzione. Ma ecco il punto che dicevo prima, cioè si è davvero oscurato nell’ethos, nella coscienza di tante persone, questa consapevolezza della dignità della persona; e qui, guardate, mi permetto anche di fare un’osservazione che ritengo molto importante, che è la seguente: è vero, e non lo diremo mai abbastanza, che la percezione della dignità incondizionata di ogni persona umana è un atto della ragione. Cioè la ragione rettamente, usata, mi fa capire che essere persona è infinitamente di più che non essere persona, quindi che il salto dall’essere qualcosa all’essere qualcuno è un salto infinto. La ragione rettamente usata. Però è anche vero che la persona umana, l’uomo, non ha raggiunto questa consapevolezza della sua dignità di fatto (storicamente), se non alla luce del messaggio cristiano. In fondo è stato il vangelo, che ha insegnato alla ragione dell’uomo, alla ragione – ripeto – a capire qual è la dignità della persona umana. Oggi questo tutti gli storici delle idee lo ammettono. Ma allora è vero anche il contrario, a questo punto, cioè l’inverso. Venendo meno un annuncio chiaro del vangelo, inevitabilmente si oscura questa percezione, cioè la ragione umana diventa sempre più incapace di percepire questo valore, e di qui la grande responsabilità che noi cristiani abbiamo di annunciare, secondo di non fare nessun atto che in un qualche modo oscuri questa testimonianza netta, precisa, della dignità dell’uomo.
d) Come possiamo accettare la pretesa del figlio ad ogni costo in una nazione nella quale si finanzia l’eliminazione dei bambini, naturalmente concepiti, tramite l’aborto di stato? Non è questo frutto di una stessa logica?
r) Io credo di sì. E’ il frutto della stessa logica, logica che può essere descritta in questi termini, dal punto di vista antropologico, dal punto di vista etico, dal punto di vista giuridico.
Dal punto di vista antropologico: la visione della sessualità umana come una funzione da equiparare a qualsiasi altra funzione del corpo umano e che pertanto deve essere governata alla luce del benessere mio individuale, psicologicamente inteso.
Dal punto di vista etico: noi osserviamo una sempre maggiore subordinazione dell’agire umano al principio dell’utile o del piacere; cioè la grande intuizione già dei greci, che distingueva tre tipi di bontà: la bontà che è propria di ciò che piace, è bene ciò che mi piace; la bontà di ciò che mi è utile, è bene ciò che mi è utile; e la bontà di ciò che è bene in sè e per sè, allora questa grande intuizione già del pensiero greco, che il cristianesimo ha fatto totalmente, totalmente proprio, e vede oggi un progressivo subordinarsi del bene in sé al criterio dell’utile.
Dal punto di vista giuridico. Che cosa tutto questo significa? Significa che il punto fondamentale è la mia felicità individuale, per cui si dice: ho diritto. Si noti bene: la felicità individuale a cui io ho diritto. Per cui il diritto coincide sempre di più esclusivamente con i miei desideri: diritto uguale a desiderio. Ciò che io desidero è mio diritto averlo.
Teniamo conto adesso di tutta questa impostazione che vi dicevo, antropologica, etica e giuridica: allora, il figlio cos’è? O il figlio è ciò di cui io ho bisogno per la mia felicità, oppure il figlio è ciò che impedisce la mia felicità. Nel primo caso io ho diritto ad averlo, costi quello che costi, nel secondo caso io ho il diritto ad eliminarlo, costi quello che costi. Lei vede che procreazione artificiale e aborto alla fine, se guardiamo le cose in profondità, nascono dalla stessa radice culturale. Attenzione, voglio essere chiaro: è evidente che io non sto dicendo che la sig.ra Rossi che ha chiesto la procreazione artificiale è un’abortista, perché sono sicuro che per scalzare il mio discorso mi faranno dire questo, adesso. Ma io non ho detto questo. Io sto cercando di capire come mai nella stessa società, come giustamente diceva lei, si ha la nobilitazione dell’aborto, inteso come scelta di civiltà, perché questo ce lo siamo sentito dire, e ce lo sentiamo dire che uccidere un innocente è una scelta di civiltà, si ha anche il figlio ad ogni costo.
Ora io mi chiedo come è possibile questo? La mia risposta è che è possibile, anzi è logico, una volta supposta quella visione antropologica, etica e giuridica. E quindi per concludere noi abbiamo un compito grandissimo, come comunità cristiana; quello che il Santo Padre in fondo dice quando parla di una rievangelizzazione o di una nuova evangelizzazione, che non si intende ovviamente che il vangelo abbia bisogno di essere rinnovato nei suoi contenuti, perché il vangelo è sempre lo stesso, ma vuol dire, in fondo: mi trovo di fronte ad una cultura che non è più cristiana, che non è più evangelicamente ispirata, per le ragioni che dicevo prima. Quindi si pone una missione straordinaria, una sfida che viene rivolta alla comunità cristiana, siamo cioè chiamati a ripensare veramente ancora, interamente il nostro vivere, perché la grande sfida in sostanza che questa cultura ci sta dicendo è questa: noi vi dimostriamo che, con Dio o senza Dio, la vita è lo stesso, cioè è buona lo stesso. Questa è la grande sfida che oggi ci viene rivolta, mentre vediamo quale disprezzo dell’uomo.
Ora uno degli elementi secondo me fondamentali della ricostruzione dell’umano è sicuramente l’impegno a livello legislativo. Io, come pastore, come professore l’avevo capito di meno, come pastore ogni giorno di più capisco l’importanza che ha per un popolo la legge civile, il bene che può fare una sapiente legge civile e il male enorme che può fare una ingiusta legge civile. Adesso lo vedo di più nella vita del popolo cosa significa. Detto questo, riflettendo su questo problema, io mi chiedo e chiedo ai futuri legislatori, perché ormai questo impegno si sta per chiudere: vi rendete conto della portata devastante che ha dentro un ordinamento giuridico, la giustificazione giuridica della separazione fra l’esercizio della sessualità tra l’uomo e la donna in ordine a porre le condizioni del concepimento, e il concepimento stesso in forma artificiale? Ma vi rendete conto di cosa significa questo? La portata devastante? Perché se io affermo con una legge civile che l’attività sessuale e il porre le condizioni del concepimento di una nuova persona umana possono essere separate, nessuno domani potrà impedire allo stato di dire: io ho bisogno di gente, la creo in laboratorio. Cioè noi dobbiamo vedere ogni legge non solo come risposta, sia pure saggia nella misura del possibile, ad un problema attuale, ma dobbiamo vedere ogni legge anche a lungo andare, gli effetti che può avere sull’ethos di un popolo e che cosa significa questa legge dentro l’insieme dell’ordinamento civile di un popolo. E per me questa è una cosa gravissima, l’introdurre dentro un ordinamento giuridico questa separazione. Ripeto, sto parlando da un punto di vista esclusivamente di ragionevolezza di ciò che è o non è conforme al bene comune di una società. Non sto facendo un discorso di etica, né tantomeno di teologia, no; mi dico, in ordine al bene comune di un popolo, quindi del nostro popolo italiano, che cosa significa legittimare la separazione tra attività sessuale tra l’uomo e la donna, in ordine al concepimento, dal porre le condizione del concepimento di una persona? Per me significa alla fine poter anche giustificare un intervento dello stato che, in una società veramente democratica, sarebbe inaccettabile.
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