Mario Palmaro* 

«Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere alterum non laedere, suum cuique tribuere.»1 

Chiunque visiti la città di Milano può imbattersi in questa scritta latina. Il nostro viaggiatore non troverà questa massima sulla facciata del Duomo, o di una grande chiesa ambrosiana, o nell’atrio di qualche edificio cattolico. Ma potrà leggerla a caratteri cubitali sulla facciata del Palazzo di Giustizia, il più laico e pubblico edificio della città. Ogni volta che un magistrato o un avvocato, che un pubblico ministero o un imputato, che un giornalista o un semplice curioso varca la soglia di quel tribunale – dove si amministra, con alterne fortune, la giustizia degli uomini – egli è costretto a rivedere quella scritta, e a passarle letteralmente sotto, a “sottomettersi” fisicamente al peso di quelle impegnative parole. A rendere omaggio, si direbbe, a ciò che esse rappresentano. 

 

§ 1. La sfida della legge naturale

Quella scritta non è tratta da alcun articolo del codice civile o penale, non compare nello Statuto Albertino né nella Costituzione della Repubblica. Quella scritta è la manifestazione tangibile di quel fenomeno antichissimo e umanissimo che chiamiamo “diritto naturale”. E’ una frase attribuita al giurista latino Eneo Domizio Ulpiano, nato a Tiro, e vissuto a Roma a cavallo tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo. Egli raccoglie e razionalizza una sapienza “naturaliter cristiana” che aveva ispirato secoli di giurisprudenza latina, facendo del diritto romano il faro indiscusso di ogni ordinamento successivo nel corso della storia.

Ma a dispetto di questa plastica evidenza, nella post modernità la dottrina del diritto naturale suscita reazioni aspre e provoca domande stringenti.

Si può ancora parlare oggi di “legge naturale” senza essere subito tacciati di nostalgie incomprensibili e velleitarie per antiche dottrine filosofiche condannate dalla storia? E di più: si può ancora sfrontatamente sottoporre una legge che sia in vigore nell’ordinamento giuridico di uno Stato alla “prova” di conformità con il diritto naturale? Sembrano, queste, missioni francamente impossibili. Al punto che, non a caso, molti giuristi contemporanei, anche di estrazione giusnaturalistica, preferiscono evitare questa sfida, e utilizzare concetti più maneggevoli. Come la categoria dei “diritti dell’uomo”, magari cristallizzati nella formulazione delle carte internazionali elaborate nella seconda parte del ‘900.

Ma, per quanto ardua sia l’operazione, qui invece si proverà a ritornare all’antico. E a spiegare perché la legge naturale è ancora viva e vegeta. E perché essa –  e solo essa – ci preserva dall’incapacità di riconoscere una legge gravemente ingiusta, scambiandola magari per una “buona legge”, o una “legge imperfetta”, o una “legge ancora da applicare totalmente”. 

 

§ 2. Debolezza e forza del diritto naturale

Il confronto serrato tra una norma di diritto positivo e la categoria metagiuridica del diritto naturale mette subito in luce una difficoltà oggettiva, che sembra mettere ulteriormente in crisi la legge naturale.

Infatti, è del tutto evidente che i due concetti sono diversi per natura e caratteristiche.

Ci è ben noto che “Contra factum non valet argomentum”, contro i fatti non c’è argomentazione che tenga. Dunque, a prima vista l’impressione è che la norma positiva – rinvenibile in codici e raccolte, o cliccando su Internet, o sfogliando le cronache politiche riportate dai quotidiani freschi di stampa – esca dal “duello” padrona della situazione, vincitrice, come un pugile che mette al tappetto il suo sfidante. La sua “avversaria”, la legge naturale, appare avvolta da una nuvola impalpabile che la rende inafferrabile, prigioniera di una dimensione astratta, iperuranica, che la relega nel mondo irraggiungibile della metafisica, dimenticato o addirittura reietto dalla filosofia post moderna.

Aggiungiamo a tutto ciò che il diritto naturale ha attraversato una crisi senza precedenti, proprio per l’avanzata inesorabile del diritto codificato. E conludiamo dicendo che basterebbe sottoporre la questione all’uomo della strada, al prototipo del pensiero unico dominante, per sentirsi rispondere che la 194 c’è e si tocca, mentre il diritto naturale “nessuno l’ha mai visto”.

Insomma: sembrerebbe un duello dall’esito scontato.

Ma, se si osserva meglio lo scenario, le cose appaiono sotto una luce diversa. Anzi, capovolta: ciò che è causa della debolezza del diritto naturale ne costituisce allo stesso tempo la forza. Proveremo a spiegare i motivi di questa autentica eucatastrofe.

La ragione dell’uomo non si accontenta di constatare l’esistenza di un fenomeno. In altre parole: la nostra intelligenza deve inchinarsi alla forza della realtà, deve procedere a partire dalla realtà.

E qui la realtà ci dice alcune cose incontrovertibili: la legge 194 esiste ed è stata promulgata nel 1978; la procedura di emanazione di questa legge è formalmente ineccepibile; la 194 è stata confermata con un referendum svoltosi nel 1981; la 194 è una legge che gode di un consenso nell’opinione pubblica piuttosto diffuso; e così via.

Ma, una volta acquisito il dato di realtà – la legge sull’aborto c’è, si vede e produce i suoi nefandi risultati – ecco che la ragione non rimane paralizzata di fronte a questo scenario, e al contrario si interroga sul senso, sul significato proprio di quella realtà che si vede e che si tocca. Anche la decapitazione di migliaia di persone operata dai giacobini rivoluzionari nella Parigi di fine Settecento è una realtà incontrovertibile. Ma la ragione non considera la constatazione di questo fatto la sua “ultima stazione”. Non c’è stato nulla di più concreto, tangibile e ben organizzato di un lager nazista per l’eliminazione degli handicappati, degli ebrei e degli oppositori al regime. Ma la nostra intelligenze di uomini – diremmo più appropriatamente: il nostro spirito, la nostra anima – non si acquieta di fronte alla semplice constatazione di questo fatto, con la pacifica tranquillità con cui l’entomologo classifica gli insetti che ha catturato in un pomeriggio di ricerca.

In altre parole: la ragione esige che la realtà sia giudicata.

Ora, per fornire un giudizio, occorre un criterio. Per dire che una donna è bella, occorre possedere il criterio della bellezza. Per dire che una sentenza è giusta, occorre possedere il senso della giustizia. Per dire che una legge è buona o cattiva, è giusta o ingiusta, occorre possedere il senso della legge naturale.

Se oggi così spesso si è persa la capacità di giudicare le leggi come “giuste” o “ingiuste”, è perché si è perso il criterio di giudizio delle leggi. Si è persa il senso della “Legge naturale”. O, in certi casi, si preferisce far finta di non possederlo, utilizzando criteri di giudizio alternativi: il male minore; il maggior bene possibile; il punto di mediazione o di equilibrio; la “miglior legge al mondo fra quelle nel suo genere”; il prodotto dell’incontro di culture e fedi diverse, e così via. In un trionfo di “relativismo debole” che è già una resa incondizionata della ragione alla follia del nichilismo contemporaneo. 

 

§ 3. La necessità del diritto naturale

Non è davvero un caso che Benedetto XVI abbia richiamato in più occasioni la necessità di ritornare alla legge naturale. Lo ha fatto con particolare energia in occasione di un Simposio rivolto alla Commisione Teologia Internazionale, il 5 ottobre del 2007. Ecco le considerazioni più significative tratte da quel discorso:

Necessità di promuovere lo studio della legge naturale. “Come probabilmente è noto, su invito della Congregazione per la Dottrina della Fede si sono tenuti o si stanno organizzando, da parte di diversi centri universitari e associazioni, simposi o giornate di studio al fine di individuare linee e convergenze utili per un approfondimento costruttivo ed efficace della dottrina sulla legge morale naturale. Tale invito ha trovato finora accoglienza positiva e notevole eco”.
Non-confessionalità del tema della legge naturale “E’ quindi con grande interesse che si attende il contributo della Commissione Teologica Internazionale, mirato soprattutto a giustificare e illustrare i fondamenti di un’etica universale, appartenente al grande patrimonio della sapienza umana, che in qualche modo costituisce una partecipazione della creatura razionale alla legge eterna di Dio. Non si tratta quindi di un tema di tipo esclusivamente o prevalentemente confessionale, anche se la dottrina sulla legge morale naturale viene illuminata e sviluppata in pienezza alla luce della Rivelazione cristiana e del compimento dell’uomo nel mistero di Cristo”.
Norme “prime ed essenziali” “Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume bene il contenuto centrale della dottrina sulla legge naturale, rilevando che essa “indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale. Ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a se stesso. Nei suoi precetti principali essa è esposta nel Decalogo”.
Precisazione del concetto di natura “Questa legge è chiamata naturale non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana” (n. 1955)”.
Ragionevolezza della verità evangelica “Con questa dottrina (…) si comprende che il contenuto etico della fede cristiana non costituisce un’imposizione dettata dall’esterno alla coscienza dell’uomo, ma una norma che ha il suo fondamento nella stessa natura umana”;
La Legge naturale come terreno per il dialogo “Partendo dalla legge naturale di per sé accessibile ad ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà e, più in generale, con la società civile e secolare”.
Smarrimento, crisi della Legge naturale “Ma proprio a motivo dell’influsso di fattori di ordine culturale e ideologico, la società civile e secolare oggi si trova in una situazione di smarrimento e di confusione: si è perduta l’evidenza originaria dei fondamenti dell’essere umano e del suo agire etico e la dottrina della legge morale naturale si scontra con altre concezioni che ne sono la diretta negazione.
Concretezza del tema della legge naturale : la democrazia relativista “Tutto ciò ha enormi e gravi conseguenze nell’ordine civile e sociale. Presso non pochi pensatori sembra oggi dominare una concezione positivista del diritto. Secondo costoro, l’umanità, o la società, o di fatto la maggioranza dei cittadini, diventa la fonte ultima della legge civile. Il problema che si pone non è quindi la ricerca del bene, ma quella del potere, o piuttosto dell’equilibrio dei poteri. Alla radice di questa tendenza vi è il relativismo etico, in cui alcuni vedono addirittura una delle condizioni principali della democrazia, perché il relativismo garantirebbe la tolleranza e il rispetto reciproco delle persone”.
Crisi del principio di maggioranza come fonte del diritto “Ma se fosse così, la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto. La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità”.
Le leggi ingiuste distruggono l’ordine sociale “Quando sono in gioco le esigenze fondamentali della dignità della persona umana, della sua vita, dell’istituzione familiare, dell’equità dell’ordinamento sociale, cioè i diritti fondamentali dell’uomo, nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile”.
La legge naturale come strumento di legittima difesa per l’uomo “La legge naturale diventa così la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte. Nessuno può sottrarsi a questo richiamo. Se per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo e il relativismo etico giungessero a cancellare i principi fondamentali della legge morale naturale, lo stesso ordinamento democratico sarebbe ferito radicalmente nelle sue fondamenta”.
La chiamata alla mobilitazione “Contro questo oscuramento, che è crisi della civiltà umana, prima ancora che cristiana, occorre mobilitare tutte le coscienze degli uomini di buona volontà, laici o anche appartenenti a religioni diverse dal Cristianesimo, perché insieme e in modo fattivo si impegnino a creare, nella cultura e nella società civile e politica, le condizioni necessarie per una piena consapevolezza del valore inalienabile della legge morale naturale. Dal rispetto di essa infatti dipende l’avanzamento dei singoli e della società sulla strada dell’autentico progresso in conformità con la retta ragione, che è partecipazione alla Ragione eterna di Dio”.
Converrà riflette seriamente su alcuni passaggi di quel fondamentale messaggio. Che insiste in particolare su di un punto: la riflessione sulla legge naturale è di natura innanzitutto razionale. Non esiste alcuna preclusione alla possibilità di riconoscere i contenuti del diritto naturale per coloro che non sono cattolici. Anche se il rifiuto radicale e ostinato di riconoscere l’esistenza di un Dio, di un creatore che è anche legislatore per l’umanità, è alla radice del relativismo etico e giuridico della società in cui viviamo. Queste parole sono fondamentali, e sono anche un richiamo a un mondo cattolico – prima che ai “lontani” – che ha smarrito in ampie fette delle sue realtà di spicco l’idea stessa della legge naturale. Di più: senza il diritto naturale il famoso “dialogo” con il mondo diviene impossibile. L’unica grammatica comune a tutti gli uomini è la legge naturale. Senza di essa, il confronto pacifico diventa impossibile. Siamo condannati all’incomunicabilità, mentre la civiltà precipita poco alla volta nella barbarie legalizzata. “La storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare”. Joseph Ratzinger non ha paura di scandalizzare il mondo contemporaneo. La sua analisi è una sintesi impietosa, una diagnosi lucida della nostra situazione attuale: la notte dell’antropologia – cioè: non sappiamo più chi sia l’uomo – genera una crisi spaventosa sul piano civile e sociale; la democrazia diventa la mera registrazione formale del principio relativista, in base al quale non esiste alcuna verità. Le leggi vengono scritte a colpi di maggioranza, senza alcun riguardo al principio di realtà e di verità. La legge è legge, a prescindere dalla sua “giustizia”. La democrazia sostanziale si sgretola. Il processo è già iniziato, e occorre mobilitare le coscienze degli uomini di buona volontà per contrastarlo. L’emergenza è forse peggiore di quella rappresentata dai totalitarismi del Novecento. 

§ 4. Il diritto naturale e la dottrina della legge ingiusta

Il rapporto fra le leggi positive e la legge naturale è disciplinato da principi ferrei e immutabili2. Principi che non cambiano a seconda della sensibilità dell’epoca, delle strategie politiche o clericali, o della “ragion di Stato”.

Ecco una breve sintesi di alcuni di questi principi:

La norma giuridica non può annullare l’obbligatorietà della norma giuridica naturale che prescrive oppure proibisce un certo modo di agire. Se lo fa, la norma positiva va contro il “giusto naturale” ed è perciò violenza. La norma ingiusta – ad esempio la legge 194 sull’aborto procurato – infatti non è espressione del legittimo diritto del potere costituito, ma è prepotenza del potere. E’ – a chiamarla con il suo nome – violenza istituzionale. E siccome non è espressione di un diritto del potere, è priva dell’essenza stessa della giuridicità: non si impone in quanto è “diritto” (ovverosia un dovere di giustizia) ma solo a motivo della forza. E questo non è mai diritto, ma violenza.
La legge ingiusta ha le stesse caratteristiche empiriche e fenomenologiche di qualunque legge. Ha i requisiti formali di qualsiasi legge. Ma è priva dell’essenza stessa della giuridicità: non è legge in senso sostanziale. Quindi non genera alcun obbligo in capo al suddito. Più che una legge è un’apparenza di legge; ne possiede la forma ma non l’essenza. Questo significa forse che la legge ingiusta non abbia effetti giuridici? Al contrario: essa produce effetti, ma capovolti rispetto a quelli della legge giusta. Dà infatti origine al diritto alla “disobbedienza civile”; il diritto alla resistenza passiva ed attiva; e, quando ciò sia opportuno e necessario, il diritto alla ribellione.

§ 5. L’aborto procurato, il pensiero dominante e il diritto naturale

A partire dalla fine degli anni Sessanta, nei Paesi Occidentali è divampata un po’ ovunque la campagna ideologica – culturale e politica – per la legalizzazione dell’aborto procurato. A quarant’anni da quella stagione, oggi si deve constatare che quella sciagurata iniziativa ha ottenuto risultati straordinari non solo sul piano giuridico, ma soprattutto dal punto di vista culturale. Se da un lato, infatti, la quasi totalità dei Paesi Occidentali è oggi dotata di leggi che consentono con ampiezza la pratica dell’aborto, ciò che più impressiona l’osservatore accorto e consapevole è lo scenario politico e culturale che accompagna questo dato normativo: le voci apertamente contrarie alla legalizzazione si sono progressivamente affievolite, al punto di ridursi autonomamente – e non per censura – al totale silenzio.

Emblematici due casi della storia italiana recente. Nel giugno del 2005 si svolgono alcuni referendum promossi per abrogare parti significative della Legge 40 del 2004 che ha regolamentato (e quindi legalizzato) la fecondazione artificiale. La Chiesa cattolica e i movimenti pro life sposano la strategia dell’astensione, e riescono così a far fallire la consultazione. La sera stessa in cui sono resi noti i risultati, il Telegiornale della Rete 1 Rai intervista il Presidente della Conferenza episcopale, il Cardinale Camillo Ruini. Il quale, a un certo punto, rispondendo a una precisa domanda dichiara testualmente: “Noi la legge 194 sull’aborto non vogliamo cambiarla”. Un’interpretazione benevola potrebbe propendere per un infortunio lessicale, nel quale “vogliamo” sia da intendersi per “possiamo”. Ma la successiva evoluzione del dibattito sull’aborto in Italia suggerisce un’ermeneutica più letterale di quel “vogliamo”. Nell’autunno del 2007, infatti, in vista del trentennale della legge 194, nel mondo cattolico e prolife iniziano a levarsi alte le voci di intellettuali che difendono apertamente la legge 194, sostenendo che è una buona legge e che bisogna battersi non già per la sua modifica restrittiva (essendo impossibile la sua abrogazione), quanto piuttosto per una sua piena applicazione.

Fanno da corollario a queste stupefacenti posizioni le tesi per cui la 194 non sarebbe una legge abortista, non sarebbe una legge eugenetica, non sarebbe nata per legalizzare l’aborto, ma per combatterlo. Insomma: il campionario delle tesi sostenute dagli abortisti di ogni ordine e grado in tutto il mondo, da sempre.

Esito inevitabile di questo suicidio collettivo della cultura pro life italiana, il dibattito surreale che i partiti hanno inscenato in vista delle elezioni politiche dell’aprile 2008: tutte le forze in campo – dalla destra alla sinistra – si sono dichiarate concordi nel difendere la legge in vigore. Nessun politico si è dichiarato contrario alla legge 194, anche magari solo in parte. Il leader del partito post-democristiano Udc, Pierferdinando Casini, che durante una trasmissione radiofonica poteva dichiarare: “Al mondo cattolico non serve proporre di riformare la legge sull’aborto. La 194 e’ il massimo momento di equilibrio possibile. Pero’, va applicata in tutte le sue parti“3. Sulla stessa lunghezza d’onda tutti gli esponenti politici di partiti tradizionalmente contrari alla legalizzazione dell’aborto. L’evento più originale di quella campagna elettorale – la nascita di una lista “pro Life” voluta dal giornalista Giuliano Ferrara – nascondeva una “sorpresa” piuttosto clamorosa: affermare una contrarietà all’aborto che sposa però l’idea della “bontà” di una legge che lo regolamenti, come la 194.

In sintesi, la politica ha sposato proprio una capriola concettuale, che giudica l’aborto un omicidio, ma che ritiene giusto legalizzarlo.

Evidentemente, siamo lontani anni luce dalla legge naturale e dal rispetto del principio di non contraddizione. 

§ 5.1 Falsi giudizi sulla legge 194

Alla luce di quanto abbiamo detto, si coglie una prima evidenza: ci sono una serie di giudizi sulla legge 194 che sono dei “non giudizi”, cioè che sono o affermazioni di banalissima descrizione della realtà, o che sono soltanto dei “giudizi apparenti”. Ecco di seguito qualche esempio:

la legge 194 è una legge dello Stato
la legge 194 esiste, e non possiamo farci niente
oggi non ci sono le condizioni per abrogare la legge 194
Come si vede – e potremmo continuare – non è infrequente assistere al campionario di queste ovvietà, che non ha nulla a che vedere con un giudizio di valore sulla legge 194, se non per via implicita e indiretta.

Sarebbe come dire: “l’acqua è bagnata”; oppure: “la terra è rotonda”. Il giudizio in questi casi coincide con la semplice constatazione di un dato di realtà. Dunque, in materia  politico-giuridica, sarebbe come dire: “la pena di morte esiste in molti stati degli USA e non c’è possibilità di abrogarla”; oppure: “non ci sono le condizioni politiche e culturali per abolire la lapidazione delle donne adultere in alcuni Paesi islamici”.

Di più: in un contesto in cui la ragione chiede un giudizio di verità sulla condotta abortiva e sulla sua legalizzazione, dire “non posso abrogare la legge 194” (che presto diventa “non voglio abrogare”…) è come formulare domande bislacche e illogiche del tipo: “di che sapore è il trapezio?”; oppure: “di che colore è la Nona sinfonia di Beethoven?”

Il giudizio autentico pretende invece che si risponda a un altro tipo di domanda: “Questa legge che ho davanti è conforme alla legge naturale?”

§ 5.2 Il capovolgimento della realtà

Purtroppo, la cultura contemporanea è vittima di un capovolgimento di prospettiva: la realtà è la legge posta dal parlamento; e non la condotta che la legge deve regolamentare. Ciò accade in seguito a una serie di passaggi, che possiamo ricostruire grosso modo nei termini seguenti:

La forma prevale sulla sostanza, la procedura sul contenuto;
Se il legislatore definisce la liceità di una condotta delittuosa, la condotta cessa di essere delittuosa;
Allo scopo, si eviterà di guardare in faccia la realtà di questo delitto; si procederà a quella che i giuristi nazisti chiamavano “rimozione concettuale del fatto”;
Così, scompare la descrizione dell’atto, il riconoscimento delle sue conseguenze, la valutazione dell’intenzione dell’autore;
Il giudizio  morale e “di diritto” diventa impossibile;
Poco alla volta, anche coloro che in origine contestavano la legge ingiusta, abbandonano la speranza di giudicarla secondo verità, e accettano di spostare il piano del giudizio sul terreno del “pragmatismo politico”;
Viene assunto un metro di giudizio “proporzionalistico”: non esistono più leggi ingiuste e leggi giuste, ma solo leggi “migliori” o “peggiori” rispetto ad un altro termine di paragone tratto dal diritto positivo. Come dire: “le leggi razziali italiane erano migliori delle leggi razziali della Germania nazista”;
Ed è così che una legge ingiusta diventa prima una legge “migliore” o “meno peggio” di un altra; e poi, viene addirittura promossa al rango di “buona legge”;
In tal modo, taluni si illudono di essere “realisti”; ma non si rendono conto di essersi tragicamente allontanati dalla realtà del fatto che la legge nasconde, occulta e avvolge nel mantello della legalità formale
Ecco che qui scopriamo la verità: la legge naturale è la realtà, è il vero, è l’umano; la legge positiva la capovolge ogni volta che si allontana dal diritto naturale.

§ 5.3 Il fatto dell’aborto procurato

Il primo obiettivo della strategia abortista è distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dal “fatto” dell’aborto. Bisogna imbastire una discussione articolata che parli della donna, della salute, dell’autodeterminazione, del lavoro femminile, delle malformazioni e così via. Alla fine, le persone nemmeno si ricorderanno di che cos’è l’aborto, in che cosa consiste, e avranno davanti ai loro occhi soltanto una donna che vuole evitare una gravidanza indesiderata, e che merita aiuto e comprensione. Sarà allora utile ristabilire la realtà fattuale dell’aborto:

l’aborto procurato comprende tutti gli atti volontari contro l’essere umano dal concepimento alla nascita
l’aborto procurato consiste sempre nell’eliminazione intenzionale di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza
la vittima è totalmente e letteralmente innocente
la vittima è totalmente affidata alla protezione e alle cure della madre.

§ 5.4 Il giudizio etico-giuridico sul fatto dell’aborto procurato

Se il fatto-aborto è ciò che abbiamo appena detto, e non si vede come si potrebbe negarlo, ecco profilarsi un giudizio razionale piuttosto semplice:

questa condotta viola il principio generale di diritto naturale in base al quale non è mai lecito uccidere l’innocente
dunque l’atto abortivo si oppone irrimediabilmente al fondamento stesso della giustizia
la vittima dell’aborto è titolare di un vero e proprio diritto alla vita, che con l’aborto viene irrimediabilmente calpestato
nel mondo giuridico, un diritto così rilevante deve essere tutelato, e tutelato con la sanzione penale
la natura e l’entità di tale sanzione è opinabile e legata al contesto culturale e storico
non è razionalmente accettabile qualsiasi tentativo di escludere il concepito dal novero dei detentori del diritto alla vita, poiché la storia del diritto non ha mai contemplato che qualcuno potesse stabilire quali requisiti un uomo deve avere per godere dei suoi diritti fondamentali (R. Spaemann, 1987)
le condizioni del concepito (salute) e le condizioni della madre (salute; gravidanza imprevista o indesiderata; povertà) sono rilevanti, ma non modificano la natura omicida dell’atto abortivo
gli effetti negativi che l’aborto produce sempre sulla madre devono essere tenuti in considerazione sul piano giuridico, anche se non devono costituire di per sé una causa esimente
le circostanze che si accompagnano a questo atto devono essere tenute in considerazione, ma non rendono mai lecito ciò che è intrinsecamente ingiusto
il giudizio permissivo dell’opinione pubblica non modifica la natura omicida dell’atto abortivo
la frequenza (reale o presunta) della pratica abortiva in una società influenza legittimamente le scelte del legislatore, ma non è di per sé mai sufficiente a modificare il giudizio sulla condotta abortiva e sulla sua legalizzazione.

§ 6. La legge 194 e il diritto naturale

Alla luce di quanto sopra, si può ricavare un autentico, razionale, equilibrato giudizio sulla legge 194: 

la legge 194/1978 è una legge intrinsecamente ingiusta, perchè rende lecito un delitto contro la vita innocente la legge 194 promuove e diffonde l’idea della normalità e della moralità dell’atto abortivo; dunque, incentiva la commissione del delitto di aborto non si tratta nemmeno di una legge imperfetta (categoria che secondo alcuni – Livio Melina, 1996 – andrebbe abbandonata per la sua equivocità), ma di una legge ingiusta perché difforme dalla legge naturale per questa ragione la legge 194 non è nemmeno una vera legge civile, moralmente obbligante (Evangelium vitae, n. 72) questo giudizio proietta su tutta la nostra riflessione un vero e proprio colpo di scena: la legge 194 non esiste come legge.
Ciò non significa che sia possibile ignorarne l’esistenza, o far finta che essa non esista. Ma ciò implica che debba essere incessantemente denunciata come “legge ingiusta”, e dunque, come atto formale che cessa di essere una vera legge vincolante in coscienza.
Questa verità è la più importante, e deve essere affermata senza esitazione sul piano culturale, senza preoccupazioni di opportunità politica.

Ad abundantiam, si può e si deve aggiungere che la legge contiene una serie impressionante di ulteriori elementi di contrarietà alla legge naturale:

  • discriminazione del concepito in ragione dell’età
  • discriminazione del figlio in ragione della condizione di salute
  • esclusione della figura del padre
  • finanziamento pubblico dell’aborto
  • esclusione sistematica degli obiettori dalle attività dissuasive
  • aborto eugenetico
  • applicazione lacunosa e permissiva dei pochi elementi restrittivi contenuti nella legge.

    La sottolineatura critica di questi gravi aspetti della 194 non deve mai essere disgiunta dalla preventiva denuncia della inaccettabilità della legge nel suo insieme: la 194 è irrimediabilmente e insanabilmente una legge da buttare. La modifica di alcuni aspetti iniqui che la caratterizzano è certamente auspicabile, ma non trasformerebbe certo il giudizio complessivo su questa legge. 

§ 7. Che cosa pensare, che cosa dire, che cosa fare di fronte alle leggi abortiste

Di fronte al tema dell’aborto procurato, possiamo dunque riassumere alcune considerazioni conclusive, che possono guidare rettamente la nostra azione concreta:

l’ortoprassi nasce dall’ortodossia: il primo passo è sapere e pensare che l’aborto non dovrebbe mai essere legalizzato, e che le leggi che lo consentono sono ingiuste
questa verità non può essere affogata nel segreto della coscienza, ma esige di essere testimoniata con coraggio, anche se con la dovuta carità che è sempre richiesta all’uomo.
Chiunque afferma di essere contrario all’aborto, ma favorevole alla legge 194, esprime una contraddizione logica insanabile, che lo colloca dentro l’orizzonte dell’abortismo;
chiunque tace la verità sulla iniquità intrinseca della legge 194 si assume una grave responsabilità di fronte alla pratica abortiva, perché la denuncia pubblica della verità su questo crimine è potenzialmente in grado di dissuadere una singola donna dal suo insano proposito.
Non bisogna stancarsi di elaborare azioni concrete che esprimano coerentemente il giudizio di verità sull’aborto: le leggi vigenti in materia sono probabilmente destinate a restare in vigore ancora per molti anni; ma soltanto battendosi ogni giorno, subito, contro di esse, si può sperare di ottenere domani il ripristino della giustizia per i concepiti di uomo.

* Filosofo del diritto, Università Europea di Roma – Università Pontificia Regina Apostolorum – Presidente nazionale Associazione Verità e Vita 

Bibliografia essenziale 

  • Benedetto XVI, Il Vangelo della famiglia e della vita, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2007
  • Javier Hervada, Introduzione critica al diritto naturale, Giuffrè Editore, Milano 1990
  • Ramon Lucas Lucas – Elio Sgreccia, Commento interdisciplinare alla Evangelium Vitae, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1996
  • Evangelium vitae e diritto, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1997
  • Maria Pia Baccari, La difesa del concepito nel diritto romano, Giappichelli, Torino 2006
  • Reginaldo Pizzorni, La Filosofia del diritto secondo San Tommaso d’Aquino, EDS, Bologna 1997.
  • Mario Palmaro, Ma questo è un uomo, San Paolo 2004
  • Mario Palmaro, Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, Milano 2008