La Chiesa non si rassegna
Introduzione
Non è infrequente trovarsi di fronte allo stupore di non pochi, anche benpensanti, i quali si domandavano e si domandano: Ma come fa la Chiesa a sostenere ancora oggi certi principi e a difendere certe posizioni morali e religiose? Si dice: I tempi cambiano; anche la Chiesa se vuole sopravvivere, deve cambiare.
A questo stupore si potrebbe rispondere facilmente con argomenti ad hominem sotto diversi profili. Dove sono oggi quelli che si adattano a tutte le situazioni per essere del proprio tempo? Di fatto il tempo li ha inghiottiti e sono passati con il tempo. La Chiesa in realtà rimane ancora, e rimane proprio perché ha una continuità e una coerenza nel tempo. Questo lo percepiscono in qualche modo proprio coloro che rimproverano alla Chiesa perché non cambia, rispolverando obiezioni lontane secoli e secoli. Le obiezioni in realtà non sono mosse al Papa o ai cristiani di quei determinati tempi, ma alla Chiesa come istituzione che continua il suo cammino nel tempo. Sotto un altro profilo si potrebbe anche dire che la Chiesa continua nel tempo perché sa adattarsi ai tempi, ma non arbitrariamente e senza criterio, ma con discernimento.
1. Fedeltà e cambiamento
In realtà, se si vuole continuare a vivere nel tempo, bisogna rimanere e, insieme, cambiare, evidentemente sotto diversi aspetti, secondo il detto di Jean Guitton: per rimanere bisogna cambiare; ma per cambiare bisogna rimanere1. E’ la legge della vita. Noi contiamo gli anni della nostra vita come quelli della storia del mondo e dell’umanità proprio perché c’è un soggetto che rimane e nello stesso tempo cresce e cambia. Solo nel rimanere sempre se stessi come soggetti della storia si può progredire nella storia sia nell’ambito della vita personale che nell’ambito della storia umana, attraverso le generazioni che si succedono le une e alle altre, e fanno progredire la storia dell’umanità proprio perché rimangono e nello stesso tempo continuano. E’ questa la forza della tradizione, della continuità e della novità: è la forza della vita. C’è un detto medievale che esprime molto bene questa realtà: quasi nani super gigantium humeris longius quam ipsi speculamur – noi siamo come dei nani sulle spalle dei giganti e pertanto siamo più alti di loro e possiamo guardare più lontano. Se la vita fosse solo e continuo cambiamento, non vi sarebbe progresso e dovremmo ricominciare sempre da capo. Saremmo sempre nell’età delle caverne! L’importante è sapere discernere che cosa conservare, per rimanere, e che cosa cambiare, per progredire, crescere e svilupparsi.
Evidentemente le cose che cambiano velocemente sono quelle che portano di più il segno dell’effimero e della transitorietà. Nascono in qualche modo già vecchie, perché sono come l’erba che spunta al mattino e dissecca la sera. Ciò che resiste nel tempo è più vicino al senso dell’eternità. La Sacra Scrittura, parlando delle parole, afferma che quelle degli uomini passano velocemente, perché non hanno alcuna consistenza; mentre quelle di Dio rimangono in eterno. Anche nel campo delle parole degli uomini vi è differente durata nel tempo: la parola dei geni che interpretano la storia dell’uomo più in profondità, rimane di più di quella delle persone fatue, le cui parole si esauriscono appena pronunciate, perché non hanno in sé alcuna consistenza.
2. La Chiesa che cammina nel tempo porta le verità eterne
Fondamentalmente questo principio appartiene anche alla Chiesa, in quanto cammina nel tempo. Anch’essa cambia. Chi non lo vede? Eppure essa rimane, al punto che si segnano le tappe della sua storia. Alla Chiesa di oggi vengono rimproverate cose di ieri; e giustamente, perché la Chiesa di ieri non è un soggetto differente da quella di oggi. Cambia perfino nella sua dottrina e nel suo insegnamento. Vi è una bellissima pagina di San Vincenzo di Lerino a proposito del progresso del dogma: “Non si potrà avere, nella Chiesa di Cristo, nessun progresso della religione? Deve anzi esserci, e il più ampio possibile… Purché però, sia fatto in modo da essere un vero progresso della fede, non un suo mutamento. Al progresso conviene che ogni verità, rimanendo se stessa, venga amplificata; al mutamento, invece, che una realtà si cambi in un’altra”. Egli spiega ulteriormente il suo pensiero rifacendosi al ritmo della vita dell’uomo: “Cè molta differenza tra il fiore dell’infanzia e la maturità dell’adulto; ma sono quegli stessi che erano adolescenti che diventano vecchi; così che purmutando la crescenza e l’apparenza di uno stesso individuo, una stessa è la sua natura, e una stessa è la sua persona”. Così, egli dice, è della fede (Vincenzo de Lerins, Commonitorio primo, 23; in BP, V, p, 64-65).
La fedeltà e la continuità appartengono in modo peculiare alla natura della Chiesa. Essa infatti ha la coscienza di essere una istituzione nel tempo, ma non è frutto della semplice volontà organizzativa degli uomini. Essa è il grande mistero di Dio tra gli uomini. Essa realizza, come afferma san Paolo, il mistero nascosto nel cuore di Dio e rivelato in figure attraverso i profeti e in pienezza in Gesù agli apostoli, cioè il progetto divino di raccogliere tutti gli uomini come l’unica grande famiglia di Dio nella fede in Cristo Gesù (cf. Lettera agli Efesini), unificata ed animata dall’azione incessante dello Spirito, tenuta unita nel suo amore e nel riconoscimento dell’unica e universale paternità di Dio per tutti gli uomini.
Nella Chiesa gli uomini sono convocati per realizzare, non una semplice vocazione umana che esaurisce la sua portata e il suo significato nel tempo, ma per una vocazione divina ed eterna, con mezzi specifici, adeguati allo scopo per il quale Dio ha voluto la Chiesa stessa. E’ stata infatti fondata da Gesù Cristo, che i credenti riconoscono non solo come un grande maestro, dalla dottrina sublime, un grande filosofo che ha saputo cogliere le profondità del senso della vita, neppure non solo come un grande santo che si presenta modello di vita per ogni uomo. Egli, per il credente, è infinitamente di più; è il Figlio eterno di Dio venuto nel tempo a riportare gli uomini alla loro autentica vocazione umana ed eterna, oltre il tempo. E’ venuto ad insegnare agli uomini come si deve vivere nel tempo per non perdersi nel tempo, ma per andare oltre il tempo. Non solo come modello di vita umana, ma con il dono di una vita nuova, la vita divina, che permette agli uomini di vivere nel tempo, ma protesi oltre il tempo e orientati verso l’eternità. Per questo Gesù, proclamandosi via, verità, vita e luce del mondo, ha comunicato la vita divina a coloro che credono nel suo nome, perché potessero vivere secondo il suo insegnamento. Da risorto egli continua a vivere nella comunità dei credenti e la sostiene nella fedeltà a Dio nel cammino della fede. Ha fatto dono del suo Spirito, per animarla LG, 4. Ha dato gli strumenti e i mezzi necessari adeguati perché questa comunità possa arrivare alla meta: i mezzi fondamentali di cui essa è dotata sono la parola divina, i sacramenti e la stessa sua presenza attraverso i ministri sacri. L’ha dotata di una dimensione istituzionale nel tempo, e costituita in modo gerarchico, perché custodisca i beni di cui è dotata. Essa realizza il suo compimento nella misura in cui aiuta l’uomo a vivere e a camminare nel tempo nella fedeltà a Dio, rivelato in Cristo Gesù e sotto la guida dello Spirito Santo.
La Chiesa è il prolungamento di Gesù nel tempo; ha la missione di ripresentare la sua vita e la sua missione, guardando a Lui e ispirandosi a Lui. Gesù venne per comunicarci il mistero di Dio in assoluta fedeltà alla sua parola: egli diceva che la sua dottrina non era sua, ma quella del Padre celeste, ed era venuto non per fare la sua volontà, ma quella di colui che lo aveva mandato; egli era condotto dallo Spirito Santo, che lo condusse a realizzare la sua missione nella fedeltà al Padre. La Chiesa, che prolunga nel tempo la persona e il messaggio di Gesù, vive nella fedeltà al suo messaggio e al suo Spirito, per guidare gli uomini oltre il tempo. Nel mistero di Gesù ogni uomo scopre la propria autentica dignità.
3. Unità del progetto di Dio Creatore e Redentore
Nel tesoro che la Chiesa è chiamata a conservare e trasmettere a tutti gli uomini sono incluse non solo le verità divine rivelate contenute nel tesoro della Sacra Scrittura, ma anche tutte le verità che riguardano l’uomo. Di fatto il Dio Creatore è anche il Dio Redentore; e non esiste una duplice verità, ma l’unica verità che ha una unica fonte che è sempre Dio stesso. Per questo la Chiesa afferma che essa ha la missione non solo di proporre la verità rivelata, ma anche la verità sull’uomo, sul senso della vita. Di fatto la stessa verità di fede non potrebbe essere proposta agli uomini se l’uomo perdesse le verità fondamentali che sono nell’ordine della creazione. La dottrina della Chiesa in questo contesto, seguendo per altro una dottrina radicata nell’antica filosofia classica, ha parlato di un progetto eterno di Dio, di un ordine che Dio ha pensato da tutta l’eternità per l’uomo, basato sul principio di fare il bene ed evitare il male (lex aeterna); progetto eterno di Dio che si è manifestato anzitutto con la creazione, che porta impresso in se stessa tale progetto (le leggi che regolano il cosmo), e in modo particolare nell’uomo, proprio perché fatto ad immagine di Dio, creato nella libertà.
4. La visione antropologica della Chiesa
Nella visione della Chiesa vi è una visione dell’uomo che non può essere assolutamente disattesa. All’origine e alla fine di tutto vi è il mistero di Dio, che solo può dare un senso alla vita dell’uomo. Il mistero di Dio che la Chiesa propone alla nostra attenzione è il mistero di Dio amore, nella sua vita intima e nella sua manifestazione agli uomini. Nella sua vita intima, Dio è trinità d’amore, tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. Nella sua manifestazione, Dio è amore perché ha dato origine al mondo per un movimento di amore assolutamente gratuito con il quale ha voluto rivelare se stesso. Al centro del mondo ha posto l’uomo, che viene creato ad immagine e somiglianza di Dio. In questo sta la grandezza dell’uomo. L’uomo ha la sua radice più profonda in Dio stesso, che ha impresso in lui una partecipazione di se stesso. Nell’essere immagine di Dio, l’uomo ha una grandezza anch’essa misteriosa, perché partecipa dello stesso mistero di Dio. Viene da Dio, trova nella comunione con Dio il senso della sua vita, a Dio è chiamato a ritornare per dare compimento al senso della sua vita, sfuggendo alla realtà effimera del tempo ed entrare nella stessa eternità, con una vita eterna, perché immortale.
Tuttavia l’uomo è immagine di Dio, non è Dio. Se egli dimenticasse di essere immagine e pretendesse di mettersi al posto di Dio, scomparirebbe nel nulla, perché l’immagine, tolto l’originale in cui egli si specchia e trova la sua consistenza, non sarebbe più nulla. Proprio perché immagine e quindi creatura di Dio, l’uomo può vivere, svilupparsi, crescere, raggiungere la sua pienezza solo se rimane nell’ambito del disegno e del progetto di Dio che egli porta impresso in se stesso; solo se egli segue le leggi del suo essere che il creatore stesso gli ha impresso. E’ la legge divina naturale della quale parla la Chiesa nella sua dottrina. Questa legge pertanto non è un limite alla libertà dell’uomo, quasi una violenza imposta alla sua volontà, ma è piuttosto la strada che Dio stesso nella sua infinta bontà gli ha iscritto nel cuore, è la via che l’uomo, liberato dalle pesanti schiavitù della vita quotidiana, gli permettono di essere libero interiormente e realizzarsi pienamente nel Signore. Trascurare questa legge da parte dell’uomo che pretende erigersi ad arbitro assoluto della sua vita significa invece entrare nella tenebra e nell’oscurità; perdere il senso della direzione della vita. La vita dell’uomo infatti senza Dio rimane senza direzione e senza orientamento; nelle tenebre e nell’oscurità. La negazione della legge naturale non è una liberazione per l’uomo; ma lo smarrimento dell’uomo. Di fatto la negazione della legge naturale, particolarmente oggi, porta di fatto all’agnosticismo, al relativismo, all’immanentismo, al nichilismo.
5. Frattura tra ragione e fede.
Tale fine ha portato con sé anche la rottura tra ragione e fede, “il dramma della nostra epoca”, come lamentava Paolo VI (Esortaz. Ap. Evangelii Nuntiandi), n. 20).
Ed ha dialogato con la cultura moderna, con l’enciclica ‘Fides et ratio’. Può essere interessante richiamare un celebre testo di Platone2: “Su tali questioni a me pare, o Socrate, come forse anche a te, che avere in questa nostra vita una idea sicura, sia o impossibile o molto difficile; ma d’altra parte non tentare ogni modo per mettere alla prova quello che se ne dice, e cessare di insistervi prima di avere esaurita ogni indagine da ogni punto di vista, questo, o Socrate, non mi par degno di uno spirito saldo e sano. Perché insomma, trattandosi di tali argomenti, non c’è che una cosa sola da fare di queste tre: o apprendere da altri dove sia la soluzione; o trovarla da sé; oppure, se questo non è possibile, accogliere quello dei ragionamenti umani che sia se non altro il migliore e il meno confutabile, e, lasciandosi trarre su codesto come sopra una zattera, attraversare così a proprio rischio, il mare della vita, salvo che uno non sia in grado di fare il tragitto più sicuramente e meno pericolosamente su più solida barca, affidandosi a una divina rivelazione”.
6. L’insegnamento della Chiesa sulla sulle naturale.
In questa prospettiva si comprende perché la Chiesa non ha mai tralasciato di parlare di una legge naturale divina. L’ha confermato recentemente con l’enciclica Veritatis Splendor. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, parlando in questi giorni ai membri della Pontificia Commissione Teologica, che sta studiando proprio il tema della legge naturale, ha avuto parole di incoraggiamento per lo studio: “Su invito della Congregazione per la dottrina della fede si sono tenuti o si stanno organizzando, da parte di diversi centri universitari e associazioni, simposi o giornate di studio al fine di individuare linee convergenti utili per un approfondimento costruttivo ed efficace della dottrina sulla legge morale naturale”. “A motivo dell’influsso di fattori di ordine culturale e ideologico, la societ civile e secolare oggi si trova in una situazione di smarrimento e di confusione: si è perduta l’evidenza originaria e fondamentale dell’essere umano e del suo agire etico e la dottrina della legge morale naturale si scontra con altre concezioni che ne sono la diretta negazione” (Cf.L’Osservatore Romano, 6 ott. 2007, p. 1). Caduta la legge naturale, domina la concezione positivistica del diritto, dove la fonte del diritto è semplicemente la volontà dell’uomo che si impone agli altri uomini. Senza Dio, l’uomo diventa schiavo della mentalità dominante.
7. La difesa della vita da parte dell’insegnamento della Chiesa
Tra i beni che la Chiesa ha difeso e continuamente, incessantemente, difende è quello della vita. Numerosi sono i suoi interventi particolarmente oggi. Il tema è stato sviluppato particolarmente per quanto riguarda la vita nascente e la vita ormai al tramonto, nell’enciclica ‘Evangelium Vitae’. Sono i momenti più significativi del senso della vita, perché i più fragili e quindi i più esposti. Il Papa parla di un cultura della vita e di una cultura della morte. Di un’eclissi di Dio che è anche l’eclissi dell’uomo. Di un positivismo giuridico che ha finito per rivendicare come diritto ciò che nella morale invece è un delitto. Prima di pronunciare il suo severo giudizio sull’aborto e sull’eutanasia, il Papa percorre il cammino della rivelazione biblica e della legge naturale sul significato della vita e sul suo destino, ed insieme indica anche le radici lontane e vicine che hanno portato a tale conclusione. E’ la visione antropologica che è in discussione. L’uomo che si chiude a Dio e nega la sua legge impressa in ogni uomo, finisce per non comprendere più la dignità dell’uomo e la sua grandezza. Ne parla, ma usando parole vuote, perché di fatto la visione antropologica sottesa è lo smarrimento e la mancanza di senso per la vita dell’uomo. Il papa si sofferma diffusamene sul senso della vita, sul senso del corpo, della libertà, del rapporto uomo e donna, della sessualità. L’uomo abbandonato a se stesso si sente perduto.
8. La difesa della vita nell’enciclica Evangelium Vitae.
Nell’enciclica Evangelium Vitae, forse perché in essa tratta del valore della vita umana, il Papa sembra fare la sintesi del suo pensiero filosofico e teologico dell’uomo, al punto che la stessa Enciclica racchiude quasi come una Summa del suo pensiero filosofico e giuridico, oltre che teologico. Nell’Enciclica sono poste a confronto due culture: quella cristiana, che è quella della vita, e quella che ad essa si oppone, che è la cultura della morte.
Fin dall’inizio il Papa esprime la sua convinzione profonda: per lui il valore della vita è prima di ogni legge umana ed è accessibile all’uomo sincero, aperto alla grazia: “Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (Cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’ umana convivenza e la stessa comunità politica” (n. 2). Il Papa Giovanni Paolo II con la sua enciclica ‘Evangelium Vitae’ intende proclamare il Vangelo della vita “che sta al cuore del messaggio di Gesù” (n. 1). E’ un lieto messaggio sulla vita, che affonda le sue radici nel mistero di Dio stesso, il Vivente. Il Papa richiama il detto di Sant’Ireneo: “La gloria di Dio è l’uomo vivente” (n. 34). Ma precisa subito quale sia il senso della vita dell’uomo, ancora con le parole di Sant’ Ireneo: “La vita dell’uomo consiste nella visione di Dio” (n. 38). Il valore della vita umana risplende in modo particolare nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione: l’ albero della croce rivela il valore della vita dell’ uomo di fronte a Dio. Perché l’uomo vivesse, Dio si è fatto uomo ed è entrato nel cammino della morte per liberare l’uomo dalla morte.
Il Papa afferma: “Il Vangelo dell’ amore di Dio per l’ uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo” (n. 2).
Si tratta anzitutto di nuove forme di aggressione alla vita con la pretesa di giustificazione:”Con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’ essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e -se possibile- ancora più iniquo suscitando ulteriori e gravi preoccupazioni: larghi strati dell’ opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’ intervento gratuito delle strutture sanitarie” (n. 4).
Anzi esiste la pretesa addirittura ad un riconoscimento legale: “Ma la nostra attenzione intende concentrarsi, in particolare, su un altro genere di attentati nuovi rispetto al passato e che sollevano problemi di singolare gravità per il fatto che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di , al punto che se ne pretende un vero e proprio riconoscimento legale da parte dello Stato e la successiva esecuzione mediante l’ intervento gratuito degli stessi operatori sanitari” (n. 11).
Per quanto riguarda poi specificamente l’eutanasia, il Papa rileva alcuni aspetti degni di grande attenzione:
1) L’ eutanasia viene rivendicata quando l’ esistenza è ritenuta priva di senso. Egli osserva: “La morte, considerata <> se interrompe improvvisamente una vita ancora aperta a un futuro ricco di possibili esperienze interessanti, diventa invece una <> quando l’ esistenza è ritenuta oramai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad un’ulteriore più acuta sofferenza” (n. 64).
2) L’ uomo pensa così di essere criterio e norma a se stesso: “Inoltre, rifiutando o dimenticando il suo fondamentale rapporto con Dio, l’ uomo pensa di essere criterio e norma a se stesso e ritiene di avere il diritto di chiedere anche alla società di garantirgli possibilità e modi di decidere della propria vita in piena autonomia. E’, in particolare, l’ uomo che vive nei Paesi sviluppati a comportarsi così: egli si sente spinto a ciò anche dai continui progressi della medicina e dalle sue tecniche sempre più avanzate” (n. 64).
3) E’ questo uno dei sintomi più allarmanti della <>: “In un tale contesto si fa sempre più forte la tentazione dell’ eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine <> alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della <>, che avanza soprattutto nella società del benessere caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate” (n. 64).
Le ragioni che si portano per la legittimazione di tutto ciò sono molteplici. In particolare:
1) La cultura moderna vuole la legittimazione di quanto compie: “Una delle caratteristiche proprie degli attuali attentati alla vita umana -come si è detto più volte- consiste nella tendenza ad esigere una loro legittimazione giuridica, quasi fossero diritti che lo Stato, almeno a certe condizioni, deve riconoscere ai cittadini e, conseguentemente, nella tendenza a pretendere la loro attuazione con l’ assistenza sicura e gratuita dei medici e degli operatori sanitari” (n. 68).
2) La legge deve esprimere l’ opinione e la volontà della maggioranza: “Si pensa, altre volte, che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini vivano secondo un grado di moralità più elevata di quello che essi stessi riconoscono e condividono. Per questo la legge dovrebbe sempre esprimere l’ opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini e riconoscere loro, almeno in certi casi estremi, anche il diritto all’ aborto e all’ eutanasia. Del resto, la proibizione e la punizione dell’ aborto e dell’ eutanasia in questi casi condurrebbero inevitabilmente -così si dice- ad un aumento delle pratiche illegali: esse, peraltro, non sarebbero soggette al necessario controllo sociale e verrebbero attuate senza la dovuta sicurezza medica. Ci si chiede, inoltre, se sostenere una legge concretamente non applicabile non significhi, alla fine, minare anche l’ autorità di ogni altra legge” (n. 68).
3) Si pretende la piena autonomia della persona circa la vita propria e di quella ancora non nata: “Nelle opinioni più radicali, infine, si giunge a sostenere che, in una società moderna e pluralistica, dovrebbe essere riconosciuta a ogni persona piena autonomia di disporre della propria vita e della vita di chi non è ancora nato: non spetterebbe, infatti, alla legge la scelta tra le diverse opinioni morali e, tanto meno, essa potrebbe pretendere di imporne una particolare a svantaggio delle altre” (n. 68).
9. Eclissi del senso di Dio e dell’ uomo: cuore del dramma odierno
Ma non è sufficiente individuare nella falsa concezione della libertà.
1) Razionalità tecnico- scientifica: Libertà senza legge: “Una volta escluso il riferimento a Dio, non sorprende che il senso di tutte le cose ne esca profondamente deformato, e la stessa natura, non più <>, sia ridotta a <> aperto a tutte le manipolazioni. A ciò sembra condurre una certa razionalità tecnico-scientifica, dominante nella cultura contemporanea, che nega l’ idea stessa di una verità del creato da riconoscere o di un disegno di Dio sulla vita da rispettare” (n. 22).
2) Divinizzazione della natura: Legge senza libertà: “E ciò non è meno vero, quando l’ angoscia per gli esiti di tale <<libertà senza=”” legge=””>> induce alcuni all’opposta istanza di una <>, come avviene, ad esempio, in ideologie che contestano la legittimità di qualunque intervento sulla natura, quasi in nome di una sua <>, che ancora una volta ne misconosce la dipendenza dal disegno del Creatore” (n. 22).
3) Il mistero dell’ uomo inscindibilmente legato al mistero di Dio: “In realtà, conclude il Papa, vivendo <>, l’ uomo smarrisce non solo il mistero di Dio, ma anche quello del mondo e il mistero del suo stesso essere” (n. 22).
11. Tentativo di una lettura ordinata delle idee e delle tendenze che sono alla base della cultura della morte.
L’ odierna cultura della morte è frutto della perdita della verità sull’ uomo. Si è persa la verità sull’ uomo al punto che non si è più in grado di fondare e giustificare lo stesso diritto ad esistere, alla vita. La perdita della verità sull’ uomo comporta anche la perdita della capacità di distinguere il bene dal male.
Si comprende pertanto perché il Papa affermi che alla radice della cultura della morte oggi esiste l’ eclissi del mistero di Dio. Questa eclissi a sua volta ne porta un’altra, quella del mistero dell’uomo. La verità dell’ uomo sta nella sua creaturalità; questa è comprensibile solo in rapporto al Creatore. La perdita della verità di Dio Creatore conduce l’ uomo in un vicolo cieco senza sbocco; non è più possibile sapere perché l’ uomo abbia una vita e quale ne sia il senso.
Con la perdita della verità sull’ uomo, si è smarrita la verità stessa, come valore assoluto e come punto di riferimento della nostra intelligenza e della nostra coscienza. Si è perso il senso dei valori assoluti, appartenenti alla umanità intera, al di là di qualsiasi credo religioso. La perdita della verità sull’ uomo ha portato pertanto al relativismo conoscitivo e morale. Se non esiste la verità, non esistono neppure valori morali assoluti, universali e immutabili. Il relativismo coglie le cose alla superficie nel loro mutare continuo, ed evolversi storico. Il relativismo è il frutto della perdita della verità sull’ uomo, è conseguenza dell’ abbandono della metafisica. La verità si può fondare solo sull’essere delle cose e in particolare dell’uomo. Là dove non si ammette l’essere ci si deve accontentare delle apparenze e dei puri fatti empirici sempre mutevoli. L’uomo che si chiude alla trascendenza, al mistero di Dio, rimane prigioniero, senza orizzonte, di una visione angusta e limitata della realtà.
In questa visione immanentista, quale senso avranno la libertà e la coscienza? Essi prenderanno il posto di Dio; saranno gli assoluti con i quali l’ uomo dispone arbitrariamente di se stesso, senza alcun altro punto di riferimento che la propria opinione, il proprio modo di vedere o di sentire. Ci troviamo di fronte alla libertà intesa come assoluto, senza riferimento alla verità. Non esiste un criterio oggettivo per discernere il bene e il male. L’ uomo si trova prigioniero del proprio soggettivismo.
All’interno di questa visione immanentista del mondo, quale senso può avere la vita dell’ uomo? Lo si può cogliere solo nell’ orizzonte che va dalla culla alla tomba. Ma una vita che nasce e vive senza altro orizzonte che quello immanentista, che si proietta semplicemente dalla culla alla tomba, quale legittimazione può avere per essere rispettata da tutti e per sempre? L’ uomo chiuso nell’orizzonte immanentista della vita farà dipendere la sua vita dalle cose che possiede; la vita dell’uomo pertanto varrà meno delle cose che possono mettere in pericolo la propria vita o che comunque possano limitare in modo rilevante la propria libertà.
Dalla visione dell’ uomo sgorga anche l’ interpretazione del diritto. Se non esiste la verità sull’uomo, non si può parlare neppure di una legge eterna e di una legge naturale, che l’ uomo porta impressa su di sé per lo stesso disegno creatore di Dio. Il diritto pertanto significherà semplicemente la norma o la legge che la stessa comunità si darà, per stabilire un minimo di convivenza, che ponga un limite alla libertà di ciascuno perché non nuoccia alla libertà degli altri. Ma chi stabilirà i criteri per l’ emanazione delle leggi? Esse saranno decise non tanto in relazione ai valori morali, ma in base alla volontà della maggioranza. Il risultato sarà che le leggi sono norme di semplice convivenza determinate dalla maggioranza, non dai valori morali intrinseci. Questo porta inevitabilmente che la maggioranza decida anche dei diritti e della coscienza della minoranza. Si afferma non la forza del diritto, ma il diritto della forza ossia di chi vale e può di più.
In questa logica si vede anche facilmente quale sia la labilità del diritto e della sua fondazione. Il Papa parla della contraddizione della società odierna, che da una parte proclama i diritti fondamentali dell’uomo e dall’altra riconosce il diritto a sopprimere il più debole, la persona non ancora nata e la persona ormai al tramonto della vita. Tale contraddizione è intrinseca alla concezione del diritto che sta alla base della cultura della morte. La cultura odierna parla del diritto come potere di fare o non fare: tale potere è concesso dalla legge. Alla sua base è posta la libertà del soggetto come valore assoluto: il soggetto pretende che alla sua libertà venga riconosciuto il diritto di compiere ciò che la sua coscienza crede lecito. L’ uomo ha il diritto alla legittimazione del suo arbitrio. Si ha anche il potere di procurare l’ aborto o di procurare l’ eutanasia in quanto la legge lo concede, lo favorisce e lo protegge. Se è dato dalla legge, dipende dal legislatore; nelle democrazie dalla maggioranza. Il rischio dello stato tiranno non è solo teorico!
In tale logica abbiamo tutte le premesse per una cultura della morte. Del resto morte e vita non dicono più gran che, dal momento che non si sa quale sia il senso della vita. Si comprende pertanto il grido del papa di fronte alla proclamazione nella società odierna del diritto a sopprimere la vita.
12. Particolare compito dei cristiani per la cultura della vita.
Per i cristiani si tratterà di ritrovare anche il patrimonio di verità e di tradizioni che vengono dalle fonti della fede e della tradizione di cultura filosofica e teologica. Si dovrà ricomporre anche l’unità tra ragione e fede, indispensabile per una nuova cultura della vita.
Origene ad un amico, che gli chiedeva di scrivere una difesa contro le false accuse di Celso contro i cristiani, rispondeva, esprimendo la sua esitazione, in quanto considerava i fatti cristiani la migliore confutazione delle calunnie: “come se non esistesse nei fatti una chiara confutazione e un argomento più forte di qualsiasi scritto, che confuti le false testimonianze e renda incredibili e vane tutte le accuse”. Anzi una confutazione scritta avrebbe potuto indebolire la testimonianza dei fatti: “La difesa che tu mi chiedi di comporre, può indebolire quella esistente nei fatti, e la potenza di Gesù si manifesta a chi non vuol chiudere gli occhi”. Egli tuttavia si decide a farlo e controbatte punto per punto gli scritti di Celso, “sebbene, egli precisa, non li consideri pericolosi per nessun fedele. Almeno mi auguro che nessuno, dopo aver ricevuto questo amore infinito nel Cristo Gesù, rimanga scosso nella sua determinazione da discorsi simili a quelli di Celso” (Origene, Contro Celso, prefazione).
Si sente nelle parole del grande scrittore la salda convinzione delle verità della propria fede, comune a tutti i credenti. Teodoreto di Ciro, nel suo trattato “Terapia dei morbi pagani”, (5, 67 sg, SC 57, 248) scriveva con compiacimento: “Platone fece lunghi discorsi per dimostrare l’ immortalità dell’anima, eppure non riuscì a persuadere neanche il suo discepolo Aristotele. Ecco invece che pescatori come Giovanni e un pubblicano come Matteo e un cuoiaio come Paolo hanno persuaso Greci, Latini, Egiziani, il mondo intero. Grazie ad essi, tanta gente è ora convinta che l’ anima è immortale, che è dotata di ragione, che ha la capacità di dominare le passioni, che se trasgredisce i comandamenti lo fa per negligenza e non per mancanza di libertà, che dopo aver peccato può nuovamente volgersi al bene, affrancarsi dal vizio e recuperare in sé l’ impronta di Dio. Questi principi li conoscono non solo i dottori della Chiesa, ma anche i calzolai, i fabbri, i tessitori e qualsiasi artigiano. Così è fra le donne: li conoscono non solo quelle che hanno studiato, ma anche le filatrici, le sarte e le domestiche. Li conosce la gente della città e anche quella della campagna. Troviamo scavatori e bovari e contadini che parlano della trinità di Dio. Tutti costoro, inoltre, praticano le virtù”. Sono queste certezze che aprono il senso della vita e donano gioia. Ancora lo stesso scrittore nella stessa opera (5, 11 sg. SC 57, 229) scrive: “Omero dice che l’ uomo è debole e tormentato, Teognide, siciliano, esclama: “Con essi è d’ accordo pienamente Euripide”. Pitagora e Platone sostengono che esiste una popolazione di anime senza corpo. Alcune di esse, cadute in qualche peccato, vengono mandate per castigo nei corpi. Perciò nel Cratilo Platone dice che il soma è sema, cioè il corpo è tomba, in quanto l’ anima deve starvi sepolta per un certo periodo. Tuttavia Platone dice poi il contrario nel terzo libro de La Repubblica: sostiene che bisogna avere cura del corpo perché sia in armonia con l’anima. Appare allora chiaro come i filosofi si contraddicano. Noi invece possiamo dimostrare quale forza abbiano gl’insegnamenti dei profeti e degli apostoli”.
Per una cultura della vita, i cristiani hanno bisogno prima di tutto di ritrovare le certezze della propria fede e, con essa, la gioia di vivere.
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