Istituto di Filosofia e sociologia del diritto dell’Università degli Studi di Milano

 Mario Palmaro – Perfezionato in Bioetica

“C’è chi riesce a mentire con assoluta sincerità”. L’aforisma paradossale di Andrè Gide ben si addice al dibattito sulla fecondazione artificiale che si sta svolgendo in Italia. Del resto, non solo in questa materia regna sovrana la confusione tipica della società post-moderna e post-industriale; una confusione alimentata anche dal tragicomico fenomeno della “polisemia etica”, in base alla quale una stessa parola viene usata per indicare concetti, contenuti e concezioni morali diametralmente opposte. Un esempio curioso, tanto per capirci: “Credo molto nella famiglia. Infatti mi sono sposato tre volte e le mie mogli godono tutte di ottima salute”. La frase sembra un’aforisma provocatorio, ma è in realtà il segno di come oggi si possa affermare tranquillamente la propria adesione ad un valore (la famiglia), alludendo nello stesso tempo a un concetto di famiglia completamente “sfigurata”, capovolta (nella fattispecie: l’amore è a tempo determinato; l’indissolubilità è una burletta; il divorzio reiterato è una prova della propria “fiducia” nell’istituto matrimoniale). Con il risultato paradossale che, spesso, persone che affermano di condividere “valori comuni” e “piattaforme di principio”, stanno in realtà sostenendo posizioni inconciliabili. E’ per queste ragioni – ma non solo per queste, come si avrà modo di spiegare più oltre – che il tema della fecondazione artificiale richiede un non facile lavoro di ripulitura delle parole e dei concetti, per restituire al giudizio critico delle persone i fatti, nella loro cruda ed essenziale eloquenza.

Procreazione assistita o fecondazione artificiale?

Cominciamo dunque dalle parole che davvero, ma soprattutto nel campo della bioetica, sono pietre. Pietre con cui nascondere verità ingombranti; o schiacciare argomenti fastidiosi; o distrarre l’attenzione del nocciolo della questione. Capita di leggere dunque assai spesso la definizione di “procreazione assistita” riferita alle svariate tecniche di generazione extracorporea. E’ una prima, non casuale, falsificazione dei fatti: nel concepimento in vitro, i tecnici addetti alle manipolazioni non “assistono” affatto, non aiutano nè stanno a guardare i genitori; ma essi stessi diventano i protagonisti dell’atto. C’è, evidentemente, un’abile operazione basata sull’antilingua: il termine “fecondazione artificiale” rivela la derivazione di questa pratica dalla prassi veterinaria su mucche e maiali; inoltre, esso è ammantato da una sinistra freddezza – che evoca provette, alambicchi e microscopi – che deve essere rimossa rispolverando un termine che il materialismo tipico del Novecento aveva relegato tra i vocaboli osceni: “procreare”. Parola che rivela l’esistenza di un Creatore, e che suggerisce lo straordinario e mistrioso ruolo di “pro-creatore”, collaboratore di Dio, assegnato all’uomo attraverso l’atto del generare. Se l’uomo “pro-crea”, significa che la vita non gli appartiene in modo esclusivo, non ne è il padrone; che i figli non sono una sua proprietà; e che non può “produrre” figli in serie, perchè un atto creativo non fa pezzi in serie, ma unici. Si badi bene che la Fivet costituisce il ribaltamento programmatico di questa prospettiva. E proprio per questo, gli esperti del marketing del figlio a ogni costo e gli stregoni della provetta hanno scelto di parlare di “procreazione assistita”, per non turbare la sensibilità dei “consumatori potenziali” (le coppie sterili) e normalizzare ciò che non ha nulla di normale. Sia chiaro: sebbene disumana nel mezzo, la Fivet è “umana” nel suo esito, anche fallimentare.

In una prospettiva di fede, ogni embrione concepito, sia esso frutto di una manipolazione di laboratorio, o di un tradizionalissimo atto coniugale, o di un’odiosa violenza carnale, o di un “errore” di due amanti; ogni embrione concepito è, sempre, frutto di un amore grandissimo. L’amore di un Dio che è Padre. Discorso fondamentale, ma che rischia di spostare pericolosamente l’intera questione sul terreno scivoloso della “confessionalità”. Allora, tradurremo questa verità in parole laicissime:

ogni embrione, comunque concepito, è indiscutibilmente un individuo appartenente alla specie homo sapiens. E come tale meritevole di tutela assoluta, in base all’assioma secondo cui tutti gli uomini sono fra loro uguali quanto attiene a dignità e diritti. Ecco perchè il giurista e il politico veramente laico non può ignorare l’embrione umano.

Quale legge per la Fivet?

Dunque, la Fivet è una forma di riproduzione utilizzata dai veterinari per selezionare certe razze negli allevamenti di bovini e suini, applicata con successo all’uomo la prima volta all’uomo nel 1978, in Inghilterra. Essa non è una terapia, perchè non cura nè guarisce la donna (o l’uomo) dalle proprie patologie. Risponde al desiderio di una coppia – ma anche di un single – di avere figli, attuando complesse procedure dotate di una bassa percentuale di riuscita. D’accordo. Ma, in tutto ciò, che cosa ha a che fare il diritto? E’ giusto che un Parlamento legiferi in questa materia? E se sì, in che modo? In realtà, simili quesiti sono riassumibili nella domanda: a che cosa serve il diritto?
Dovremmo qui allargare troppo il nostro discorso: ci basti prendere atto, osservando la realtà, che il diritto è un po’ come l’aria che respiriamo. Esso si trova ovunque e noi interagiamo con esso continuamente: se saliamo su un autobus e timbriamo il biglietto, o entriamo in un supermercato e riempiamo il nostro carrello, stiamo stipulando dei contratti. Dunque, il diritto è necessario. Ma per fare che cosa? Distinguerei le seguenti opzioni fondamentali:

a) ratificare l’esistente.

Il legislatore si limita a “fotografare” la prassi affermatasi nella realtà, senza esprimere alcun giudizio di valore se non apparente. Nella fattispecie: la Fivet si pratica già, regolamentiamola per evitare gli abusi. Tra l’altro, non è chiaro con quale criterio distinguere gli “abusi” dagli atti accettabili.

b) ratificare l’opinione dei più.

Il legislatore interpella l’opinione maggioritaria, interpretata alla luce di indagini demoscopiche, inchieste giornalistiche o televisive, pareri di “autorevoli esperti” (con preferenza per i premi Nobel), sociologi, referendum. Come Ponzio Pilato, il legislatore si lava le mani e si rimette al senso comune (magari modificato e costruito ad arte da qualche lobby minoritaria abile nel manipolare l’informazione), senza preoccuparsi tropo di confrontarlo con il buon senso. Nella fattispescie: la gente vuole la Fivet, e noi gliela diamo.

c) difendere i più deboli e rendere presenti i soggetti in gioco.

Il legislatore si rende conto che la peculiarità del diritto è impedire le prevaricazioni di chi è più forte. Il diritto sostituisce la legge della forza con la forza della legge. Alla luce di questa interpretazione, la realtà dei fatti non è in grado di fornire alcun indicazione su come legiferare: anzi, la legge per sua natura si rende necessaria per superare la legge della jungla con divieti e sanzioni. Nemmeno l’opinione dei più è vincolante, perchè i più potrebbero essere i più forti, alleati per eliminare i più deboli. Nella fattispecie: dal momento che la fivet configura l’uso strumentale di soggetti deboli (gli embrioni) da parte di soggetti forti (il medico, il tecnico, il filosofo, la coppia, il gay desideroso di avere figli, il teologo possibilista), la legge dovrà proibirla. Poichè l’embrione non si vede a occhio nudo, non si sente, non vota, non paga le tasse, non guarda la pubblicità in Tv, non frequenta centri commerciali; non compie cioè tutti quegli atti che oggi fanno ricordare all’uomo di essere vivo e appartenente alla categoria dei cittadini; ebbene, l’atto del legislatore con cui viene riconosciuto come soggetto di dititit fondamentali – tra cui innanzitutto la vita – ha il ruolo simbolico-educativo di renderlo presente, di farcelo vedere, di dargli voce. Un ruolo straordinariamente importante.

La situazione normativa in Italia

A) Il 27 gennaio del 1998 è stata presentata alla Camera la proposta Bolognesi – dal nome della parlamentare dei Democratici di Sinistra relatrice del Testo – il cui impatto sulla disciplina della Fivet può essere così riassunto:

  1. legalizza ogni forma di fecondazione artificiale, omologa ed eterologa
  2. non attribuisce all’embrione alcun diritto
  3. ne ammette la crioconservazione e, indirettamente, la sperimentazione
  4. vieta le pratiche più estreme:
  • la donazione di gameti post mortem
  • il c.d. “utero in affitto”
  • la clonazione

B) Il 26 maggio del 1999 la Camera approva, grazie al voto dei partiti di minoranza e di una parte della maggioranza di governo, un testo diverso, che assume la denominazione di Proposta Cè, dal nome del leghista che ne è il nuovo relatore. In sintesi, essa:

  1. legalizza la Fivet omologa (anche per le coppie di fatto) e vieta quella eterologa
  2. riconosce in linea di principio i diritti del nasciutro
  3. vieta la crioconservazione
  4. limita a tre il numero di embrioni impiantabili per ciclo
  5. prevede l’adottabilità degli embrioni soprannumerari
  6. vieta l’aborto selettivo
  7. vieta tutte le pratiche estreme

C) Il 21 gennaio 1999 veniva presentato alla Camera il testo n. 5579 per iniziativa degli onorevoli Martinat (An), Rizzo, Mazzocchi e Bono, curiosamente costituito da un solo articolo: “E’ vietata ogni forma di riproduzione umana extracorporea”. Peccato che fino ad ora in Parlamento questo testo di legge non sia mai stato discusso, e che sia pressochè sconosciuto ai più.
Questi “modelli” normativi costituiscono un eccellente esempio delle tre principali opzioni che il legislatore si trova di fronte rispetto a qualsiasi questione posta dalla bioetica: a) non legiferare affatto (che è la situazione attuale italiana); b) legiferare accontentandosi di stabilire alcune regole, che possono essere ispirate a criteri “lassisti” (proposta Bolognesi) oppure “restrittivi” (proposta Cè), ma che assicura in ogni caso la “benedizione laica” dello Stato alla prassi, che diventa appunto “legge dello Stato”; scrivere una legge giusta, come nel caso della proposta Martinat.
Ma per quale ragione sostengo che l’unica legge giusta in materia di Fivet è quella che dichiari illecita ogni forma di fecondazione in vitro, eterologa quanto omologa? Vediamo, per rispondere a questa decisiva domanda, quali sono i principali problemi di rilevanza giuridica posti dalla Fivet.

Questioni giuridiche poste dalla fecondazione in provetta

Sarà bene chiarire in via preliminare che le pratiche di riproduzione in vitro presentano due ordini di questioni: di natura etico-antropologica e di natura giuridica. I primi sono, in un certo senso, i più gravi, perchè comportano uno stravolgimento radicale ed esistenziale delle modalità con cui l’uomo ha, da sempre, generato i propri figli. L’ostilità irremovibile della Chiesa cattolica di fronte a ognuna di queste tecniche ha fondamenti proprio nella morale naturale e nel rispetto della corretta identità dell’uomo. E’ contro la natura della persona umana usare strumenti e metodiche che sostituiscono ed escludono l’abbraccio coniugale come presupposto necessario per generare una nuova vita. Ma, pur restando queste ragioni le “cause prime” dell’inaccettabilità morale della Fivet, esse non sarebbero sufficienti per giustificare un divieto da parte dell’autorità civile, in base al principio per cui lo Stato laico proibisce e sanziona soltanto quegli atti che comportino la violazione di un diritto altrui, o di un diritto proprio che sia essenzialmente indisponibile (come ad esempio la vita e la libertà). Questa precisazione è necessaria per chiarire che la illiceità della Fivet che qui si invoca non è fondata su ragioni confessionali – l’ha detto il Papa, è scritto nell’enciclica, il Vangelo lo proibisce… – ma ha solide basi giuridiche, per le ragioni che vedremo esposte in estrema sintesi.

1. il consenso informato:

I codici deontologici moderni e le relative disposizioni di legge impongono che ogni paziente sia correttamente informato dei rischi cui va incontro sottoponendosi a qualsiasi intervento medico. Nella ffatispecie, la donna (e in generale la coppia) dovrebbe essere informata: sui danni potenziali cui va incontro chiunque si sottoponga a iperstimolazione ovarica; sulle reali percentuali di “successo” della tecnica (assai mediocri); sull’altissimo numero di embrioni umani condannati a morte certa; sul pericolo di trovarsi di fronte a gravidanze plurigemellari e conseguenti “proposte” di aborti selettivi. Tutto questo non viene detto alla coppia, che spesso si sottopone alla Fivet senza comprendere la reale portata della propria scelta.

2. la produzione di embrioni:

la Fivet ha come suo necessario presupposto una “produzione” (il termine è già rivelatore di una inquietante cosificazione dell’essere umano) di embrioni sovrabbondante. Rispetto a questo gruppo di embrioni fratelli prodotti in provetta dal tecnico di laboratorio, si prospettano queste alternative:
a. impianto tutti gli embrioni: Ma in tal caso so già in partenza che gli embrioni messi a dimora non attecchiscono nella misura del 93-95%. Secondo altri studi, le percentuali sarebbero meno pesanti, ma sempre al di sopra del 70-75%. Significa che per avere da 3 a 5 “bambini in braccio” sono disposto sacrificarne da 80 a 90. Un impressionante cinismo che risulta del tutto inconciliabile con le laicissime raccomandazioni del Comitato nazionale per la bioetica (CNB) che nel 1996 stabili che l’embrione umano deve essere trattato come una persona. Quale battello carico di passeggeri verrebbe messo legalmente in viaggio sapendo che soltanto il 5% potrebbe arrivare vivo alla meta? Di più: nel caso in cui gli embrioni attecchiscono tutti (da 3 a 7-9) la donna viene messa di fronte alla prospettiva di abortirne volontariamente una parte. Si induce artificiosamente una situazione di grave pericolo – potremmo dire “criminogena” – che in condizioni normali non si profilerebbe mai, o quasi.

Si noti bene che questo quadro drammatico si verifica in ogni centro in cui si pratichi la Fivet, sia essa omologa o eterologa. Anche per ospedali come il San Raffaele di Milano, dove – a detta del comitato etico interno – si pratica Fivet omologa con impianto di tutti gli embrioni, valgono tutte le osservazioni appena descritte.
b. non impianto tutti gli embrioni: in tal caso dovrò procedere alla crioconservazione dei soprannumerari. I quali potranno poi essere usati a scopo sperimentale; come “serbatoio” di organi da prelievo; o semplicemente distrutti.

3. i casi limite:

Sono quelli di cui la stampa e la Tv parlano maggiormente, perchè destano – per ora – un certo scalpore: Fivet per le coppie di fatto, per donne sole, per omosessuali, post mortem, clonazione. Atti molto gravi, ma perfettamente coerenti con la logica che sta dietro alla Fivet. Tentare di impedirli o vietarli, tenendo per buona la Fivet in alcuni suoi aspetti – ad esempio l’omologa – è una pia illusione senza speranza di successo. Inoltre, queste pratiche estreme ledono più che altro i diritti del bambino già nato, perchè toccano lo status della famiglia e il rapporto genitori-figli. Ma il vero problema di ogni Fivet è che uccide bambini non ancora nati.

4. Il ruolo del “donatore” nell’eterologa:

Dovrà essere anonimo? E se i figli un giorno vorranno conoscere il loro padre genetico? E se la coppia desidera che il figlio abbia certe carattaristiche somatiche, perchè non vuole che l’ambito sociale si accorga che il bambino non assomiglia palesemente ai genitori? Pensiamo a una coppia di sicilianimori da generazioni che dovesse avere un figlio in provetta con i capelli biondi e gli occhi azzurri.

5. Eugenetica intrinseca:

Questo discorso si ricollega all’aspetta più aberrante della Fivet, che è la sua intrinseca opzione eugenetica: una volta che l’essere umano è fuori dal corpo della donna, il tecnico lo valuta come se si trattasse di un manufatto uscito da una catena di montaggio. Si rigirerà fra le mani l’embrione come io posso rigirarmi tra le mani questa penna, per vedere se è di mio gradimento. La vita come prodotto: è mostruoso. Se è perfetto – bello, integro, perfettamente funzionante – allora lo tengo, cioè lo impianto. Sennò lo butto via, cioè lo uccido. Quale tecnico di laboratorio si esporrebe al rischio di vedersi rimproverare dai genitori – quasi maniacalmente desiderosi del figlio a tutti ii costi – per avergli dato un bambino handicappato? Sarebbero guai anche sul piano civilistico, con richieste esorbitanti di risarcimento danni.

6. Esseri umani senza diritti:

Questo è il fatto giuridicamente più grave: l’embrione, una volta che si trovi fuori dalla sua unica sede naturale – il grembo materno – è totalmente privo di qualsivoglia diritto. Si potrà affermare, forse, che ha il “diritto alla vita”, ammesso che una maggioranza parlamentare voglia mettere tutto ciò nero su bianco. Ma anche in tal caso, sarà un semplice flatus vocis, per la semplice ragione che a questo diritto non corrisponde alcun dovere da parte di chicchessia di dare corpo e sostanza a quel diritto. Infatti, non si potrà mai essere codificata una norma in tal senso, cioè che imponga, obblighi una donna a impiantarsi embrioni – suoi o peggio di altri. Rispetto al tema dell’aborto, la situazione è completamente diversa: la legge può benissimo – lo faceva in Italia fino al 1975 – vietare alla donna di sopprimere il figlio che già porta in sé si poteva violare questo divieto, commettendo un reato, ma il meccanismo diritto alla vita-dovere di non uccidere è perfettamente rispettato e funzionante. Una volta che invece si accetti di porre vite umane fuori dalla donna, le si condanna a uno stato di inferiorità essenziale e invincibile. Si crea una categoria di soggetti – de facto et de jure – privi di diritto alla vita. Siano essi frutto di una fivet omologa o eterologa.

7. La tesi del “dolo eventuale”:

è lecita una pratica che concede a ogni embrione solo il 5% di possibilità di sopravvivenza? Alla luce della dottrina penalistica del “dolo eventuale” si potrebbe sostenere che l’atto clinico di usare della Fivet essenso ben consapevoli, e anzi facendo affidamento sul fatto, che la gran parte degli embrioni-fratelli moriranno, costituisca un’azione illecita sanzionabile, una volta che l’ordinamento ne specifichi i limiti e la fattispecie criminosa. Se un balordo, in possesso della capacità di intendere e di volere, lancia dei sassi da un cavalcavia, provocando la morte di chi vi transita, sarà punibile per omicidio volontario, anche qualora riesca a dimostrare che non intendeva necessariamente uccidere. Per quale motivo? Perchè, in base al dolo eventuale, è sufficiente che le conseguenze di un atto siano certe o altamente probabili per risponderne al pari di un’azione premeditatamente dolosa.
8. Esiste un diritto al figlio? SI tenga anche conto del fatto che nel nostro ordinamento non esiste in alcun luogo normativo un diritto al figlio. Illuminante è la normativa sull’adozione, in cui la legge vuole innanzitutto dare una famiglia a un bambino, e non – viceversa – un bambino a una famiglia. Nella Fivet accade esattamente questa seconda operazione, in spregio alla più elementare tutela del nascituro.

Conclusioni giuridiche sulla procreazione umana

Ogni bambino dovrebbe vedersi riconoscere tre diritti fondamentali: il diritto alla vita, il diritto alla famiglia, il diritto alla sua identità genetica e affettiva.
Le tecniche di fecondazione artificiale negano questi diritti perchè:

a) non rispettano l’embrione prodotto in vitro – sia nel caso di Fivet omologa che eterologa – esponendolo sempre e comunque a un’altissima probabilità di morte. In subordine queste tecniche lo “cosificano” congelandolo, o distruggendolo, o usandolo come cavia da laboratorio,

b) non assicurano al bambino una famiglia normale, fatta di un padre e di una madre, quando sono aperte ai single o alle coppie omosessuali;

c) non rispettano l’identità genetica del bambino nel caso della Fivet eterologa.

 

Riassumendo, la Fivet dovrebbe essere sempre vietata da un ordinamento democratico per le seguenti ragioni:

  1. La Fivet uccide, sempre, a causa dell’altissima abortività procurata, non qualificabile qui come spontanea.
  2. La Fivet provoca la morte degli embrioni soprannumerari (congelati, distrutti, usati come cavie).
  3. La Fivet discrimina. Jerome Lejeune diceva: “Io vorrei vedere in faccia quell’operatore procreatico che si assume il rischio di far nascere un handicappato”.
    Eugenetica ma non solo
  4. La Fivet sperimenta sulla pelle degli uomini: in questo campo, ogni progresso necessita di embrioni da immolare.
  5. La Fivet viola il parere del CnB italiano del 1996 sull’embrione, che esorta a “trattarlo come persona”
  6. La Fivet provoca un ribaltamento nel concetto di paternità e maternità
  7. La Fivet è un rischio per la donna
  8. La fivet è un businnes miliardario, dietro al quale si muovono interessi economici vergognosi.
  9. La Fivet è una potenziale causa di aborti volontari, portando in taluni casi alla riduzione embrionale
  10. La Fivet esprorpia esseri umani dei loro diritti fondamentali: fuori dal corpo della donna l’embrione cessa di avere il diritto alla vita.
  11. La Fivet non è faccenda che si addica a un medico, mai.

Il dibattito in corso: sintomi di uno stato confusionale

Purtroppo, rispetto a quanto appena illustrato, è da registrare un preoccupante stato confusionale che accompagna gli organi di informazione, e che rischia di alimentare confusione anche tra la gente. Confusione che tocca, purtroppo, perfino quei giornali tradizionalmente schierati su posizioni di tutela della vita umana in ogni sua fase. Posso citare alcuni esempi emblematici, tratti a spot da una purtroppo ampia selezione di svarioni piuttosto gravi. L’Avvenire del 9 giugno 2000, apriva l’intera pagina 2 con un titolo – come si sarebbe detto una volta – a nove colonne:

L’eterologa “nemica” della scienza. L’eterologa, dunque, nemica. E l’omologa, allora? Forse “amica della scienza”? Forse “buona e benedetta”. Spesso le parole non dette si trasformano nei messaggi più efficaci.

Sempre Avvenire, il 14 febbraio 1999:

“La Chiesa oggi non tuona contro i figli della provetta, ma mette in guardia chi li programma senza genitori e senza radici”.

Insomma: sembra di capire che la provetta ci può anche stare, purché “dentro” una famiglia regolare. “in tema di fecondazione artificiale – scrive Avvenire dell’11 febbraio 1998 – la posizione della Chiesa prevede l’ammissibilit degli interventi solo nel caso di fecondazione omologa, cioè con donatore di seme all’interno della coppia. Questa possibilità invece risulta preclusa nel caso di fecondazione eterologa”. Insomma, un modo un po’ curioso di rileggere la Donum vitae: un lettore fa notare la svista, e il direttore nella rubrica delle lettere fa pubblica ammenda. Ma non finisce qui: Avvenire del 20 ottobre 1999, intervista a Domenico di Virgilio, presidente dei Medici cattolici italiani: Domanda: “Quali sono i punti irrinunciabili per una legge sulla fecondazione artificiale?” Risposta: “Occorre vietare la fecondazione artificiale eterologa. Dare riconoscimento legale alla fecondazione omologa utilizzando gameti solo della coppia richiedente, che deve essere di sesso diverso, unita in matrimonio e convivente”. Ancora una volta, in modo più esplicito, arriva la “benedizione” cattolica alla Fivet omologa. AL punto che già il 23 dicembre 1998, su il Giornale, Silvio Berlusconi poteva dire:

“Io sto con il Papa: fecondazione artificiale solo per le coppie sposate”.

Pover’uomo: il suo slancio sembra sincero, non sa che al Papa la Fivet, anche in “salsa omologa” non sta bene. Berlsuconi avrà chiesto consiglio, e soprattutto, avrà letto l’Avvenire, maturando quest’idea così distorta. Sorge spontanea una domanda: da dove nasce questa incredibile confusione per cui la Fivet omologa sarebbe perfettamente legittima, e quella eterologa no? Indubbiamente ha avuto un ruolo decisivo in tal senso alcuni politici e intellettuali cattolici che, fatta salva la loro perfetta buona fede, hanno promosso un’iniziativa parlamentare per legalizzare la Fivet omologa, vietando l’eterologa. Azione che disattende in maniera clamorosa il divieto di farsi promotori di leggi che conculchino i diritti fondamentali dell’uomo; mentre lecito sarebbe votare leggi intrinsecamente ingiuste, proposte da altri, ma che migliorino una legge peggiore già esistente (n. 73 della Evangelium vitae”). Azione che, soprattutto, porta a identificare la liceità della omologa – voluta da alcuni come “male minore” – come posizione dei cattolici. Ecco spiegato il drammatico equivoco, che trova una esemplare traduzione nelle parole del Manifesto appello sulla Fivet lanciato dalla Fondazione Nuovo Millennio, dagli Operatori Sanitari cristiani e dal Forum delle associazioni familiari, apparso il 17 marzo 1998 su Avvenire:

“Noi crediamo che una buona legge, preoccupata principalmente del bene dei figli, debba impedire qualsiasi spreco di embrioni umani e consentire la procreazione artificiale solo nella forma omologa e all’interno di una coppia di coniugi”. Ecco spiegata, dunque, l’origine dello stato confusionale: una legge che permette l’uccisione di migliaia di embrioni, vinee definita “buona” soltanto perchè ciò è consentito “all’interno della coppia di coniugi”.

Un vero pasticcio, che fa venire in mente le gustose parole ammonitrici di Laurence J. Peter:

“Se non sai dove vuoi andare, finirai sicuramente nel posto sbagliato”.

Il giurista illuminato dai criteri di giustizia e di retta ragione sa quale è l’unica meta accettabile sul piano della verità e del bene comune: impedire l’uccisione sistematica di embrioni, sia essa omologa o eterologa. E proclamare instancabilmente questa verità, anche se non dovesse avere i numeri e il consenso per vincere.

Scriveva Elio Sgreccia, pioniere degli studi bioetici in italia, nel gennaio del 1997:

“Una volta imboccata la strada della procreazione in provetta, il resto è più o meno inevitabile. Bisogna stare attenti quando si sale sul treno, e domadarsi verso quale direzione ci si muove: una volta che il treno è partito non è possibile che si fermi dove vuole il passeggero”.

E sempre Sgreccia, l’8 giugno del 1999, ha scritto:

“Il male minore si può subire, non scegliere”.

Chi ha orecchie d’intendere, intenda.