Giuseppe Garrone – Presidente Federvita Piemonte

La prima riflessione che si deve fare è di chiarire perchè, parlando di aborto, si debba dire voi donne e non più semplicemente ’VOI’.

La responsabilità dell’aborto è certamente molto estesa: in ogni aborto sono coinvolte decine di persone, che a vario titolo vi contribuiscono e spesso con responsabilità non inferiore a quella della donna. Addirittura molte volte la donna è vittima lei stessa di pressioni, abbandoni, solitudine, che la spingono a questo gesto umanamente irrimediabile.

Ma la donna è certamente la persona che ne vive le conseguenze più drammatiche e che pertanto ha più bisogno, ma anche che accetta più facilmente, di essere presa per mano e portata alla risurrezione. Gli altri devono comunque sapere che l’aborto è ‘un delitto abominevole’ e che se ne risponde davanti a Dio. Giovanni Paolo II nella ’Evangelium Vitae’ lo definisce:’l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita’ . Mi sembra importante a questo punto riportare integralmente l’articolo 99 dell’enciclica:

“Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un « nuovo femminismo » che, senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli « maschilisti », sappia riconoscere ed esprimere il vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento.
Riprendendo le parole del messaggio conclusivo del Concilio Vaticano II, rivolgo anch’io alle donne il pressante invito: « Riconciliate gli uomini con la vita ». Voi siete chiamate a testimoniare il senso dell’amore autentico, di quel dono di sé e di quella accoglienza dell’altro che si realizzano in modo specifico nella relazione coniugale, ma che devono essere l’anima di ogni altra relazione interpersonale. L’esperienza della maternità favorisce in voi una sensibilità acuta per l’altra persona e, nel contempo, vi conferisce un compito particolare: « La maternità contiene in sé una speciale comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna… Questo modo unico di contatto col nuovo uomo che si sta formando crea a sua volta un atteggiamento verso l’uomo — non solo verso il proprio figlio, ma verso l’uomo in genere — tale da caratterizzare profondamente tutta la personalità della donna ». La madre, infatti, accoglie e porta in sé un altro, gli dà modo di crescere dentro di sé, gli fa spazio, rispettandolo nella sua alterità. Così, la donna percepisce e insegna che le relazioni umane sono autentiche se si aprono all’accoglienza dell’altra persona, riconosciuta e amata per la dignità che le deriva dal fatto di essere persona e non da altri fattori, quali l’utilità, la forza, l’intelligenza, la bellezza, la salute. Questo è il contributo fondamentale che la Chiesa e l’umanità si attendono dalle donne. Ed è la premessa insostituibile per un’autentica svolta culturale.

Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Vi accorgerete che nulla è perduto e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino, che ora vive nel Signore. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo.”.

Ho voluto riportare tutto il brano, perché la prima parte è un inno alla donna, che troppo spesso non è valutata in tutta la sua grandezza, per sé e per il mondo.

Ma ora voglio soffermarmi sulla seconda parte.

Spesso la donna che ha abortito sente la morte dentro e pensa che sia irrimediabile. Credo che l’aborto sia l’immagine più esplicita della morte che provoca il peccato: la donna lo vive così.

L’opera di ricupero da questa morte non può essere realizzata dalla psicologia. Sovente mi è successo di sentirmi dire frasi come questa: ho speso tutto quello che avevo in psicologi e psichiatri e sto sempre peggio.

Il 3 gennaio del 1993, verso mezzanotte, mi telefonò una donna sul numero verde SOS VITA (8008-13000) singhiozzando, tanto da non riuscire a parlare. Di fronte al mio incoraggiamento: ‘guarda che nessun problema è irrisolvibile’, fece un grande sospiro e mi disse: ‘il mio problema non si può risolvere: ho abortito 13 anni fa e sono morta col mio bambino’. Sì, ‘sono morta’ …ma poi è risorta ed in una lettera che mi spedì in seguito scrisse: ’il nome che ho dato al mio bambino è Emmanuele = Dio con noi, perché mi prenda per mano e mi porti a Dio’ .

Un mese fa una donna (che chiameremo Lilli) mi ha telefonato dal meridione dopo un tentativo fallito di suicidio: si era imbottita di pastiglie e poi si era impiccata. Per fortuna è stata salvata, ma lei mi diceva: ‘purtroppo mi hanno salvata, ma io non voglio più vivere’. Aveva abortito due anni fa; in seguito aveva lasciato la famiglia con due figli ed era in lite e rabbia con tutti.
In fondo Lilli aveva ragione: la morte è umanamente senza speranza, irrimediabile e l’aborto porta la morte, non solo al bambino che viene stracciato a pezzi, ma anche alla sua mamma. Uno solo ha vinto la morte: Gesù Cristo. E non l’ha vinta solo per sé, ma per noi .

A Lilli ho spiegato che il suo bambino ‘ora vive nel Signore’ e dove è lui esiste solo l’Amore ed egli ama particolarmente la sua mamma, specialmente da quando si è pentita di averlo ucciso. Ma che egli è in attesa di avere dalla mamma un nome, infatti nella Bibbia Dio ci dice: ‘date un nome a tutte le creature’. Lilli ha subito detto: Simone. Le donne incinte hanno bisogno dell’ecografia per scoprire il sesso del proprio bambino, mentre quasi tutte le donne che hanno abortito volontariamente sono molto sicure nell’assegnare al figlio un nome maschile o femminile: evidentemente nel momento drammatico dell’aborto c’è tra mamma e figlio una comunicazione fortissima, forse un grido di ‘aiuto’!

Le ho aggiunto che d’ora in poi potrà sentire nella propria la manina protettrice di Simone: ‘quando ti senti giù chiedi aiuto a lui, che è molto vicino a Dio e ti può soccorrere’.
Quindi le ho parlato dell’Amore di Gesù Cristo, che ha dato la Sua vita per noi e che non può perdonare solo chi non si pente. Come ha detto alla prostituta dice anche a noi: ‘vai in pace e non peccare più’. Il buon pastore lascia le pecore dell’ovile per correre a cercare la pecora che è andata lontano ed il Padre del figliol prodigo lo attende, gli va incontro e lo abbraccia:
“Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro.
Allora egli disse loro questa parabola: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15, 1-10).
Il peccato di aborto è enorme, ma Dio è Onnipotente. La donna che afferma di non perdonare se stessa, dopo di aver confessato l’aborto, non ha ancora scoperto pienamente la misericordia e compreso il senso, la grandezza e la gratuità dell’Amore di Dio. ‘Felice colpa che ci ha meritato un così grande Redentore’ , beato quel peccato che ha permesso un così grande Amore: sulla croce ha portato ciascuno di noi coi nostri peccati, per poterci portare con sé nella Risurrezione.
Al termine di un colloquio di circa un’ora, tra pianti, ringraziamenti e speranze, finalmente ho concluso invitandola ad andare dal suo vescovo o dal penitenziere diocesano, per fare una confessione liberatoria. Naturalmente le ho spiegato che la Chiesa considera con una particolare attenzione il peccato di aborto e che la scomunica vuole soprattutto guidare il penitente verso un cammino di rinascita, come un nuovo battesimo, verso la Risurrezione: dare importanza a quel peccato significa offrire una strada speciale per la rinascita.
Una riflessione speciale dev’essere fatta sulla famiglia, oggetto di formidabili attacchi da tutte le parti. Le donne che abortiscono hanno quasi sempre situazioni familiari disastrate. La distruzione della famiglia nelle leggi e nella cultura è anche la distruzione della vita: è un diretto attacco all’accoglienza della vita. Ma anche lo svilimento della figura del padre , incide pesantemente sulla deriva dell’aborto.
Per noi, che lavoriamo quotidianamente per favorire l’accoglienza della vita nascente, è preziosissima la testimonianza di chi ha vissuto la drammatica esperienza del rifiuto di un figlio, perché essa ci motiva fortemente nell’impegno affinché si possano salvare tanti bambini con le loro mamme: o si salvano insieme o si perdono insieme. In un atto di vera giustizia non può mai essere lecito togliere la vita ad un essere umano, per piccolo che sia, anzi proprio perchè piccolo ed indifeso.
Ricordiamo le parole che mi scrisse nel 1992 la Beata Madre Teresa di Calcutta: “L’aborto è il più grande distruttore di pace oggi al mondo – il più grande distruttore d’amore”. Se si salva il bambino si salva anche la mamma e purtroppo se si perde il bambino, umanamente, si perde anche la mamma: ma Gesù Cristo ha vinto la morte.

Antonella e Giuseppe Garrone

Riporto ora la testimonianza di Antonella, che coraggiosamente descrive la storia sua, della sua famiglia e di Sara.

“E’ difficile raccontare in poche righe le mie due esperienze di maternità.
A 21 anni mi scontrai la prima volta con la realtà di una gravidanza inattesa da affrontare.
Scoprire di essere incinta senza averlo desiderato diventò un problema e un dramma da risolvere, poiché temevo di deludere la mia famiglia e di scontrarmi con il mio ragazzo, nel tentativo di difendere la vita di un bimbo, che poteva facilmente essere eliminato.

Mio figlio Luca, che ora ha 18 anni, è un dono preziosissimo che ha riempito di gioia la mia vita. Sono certa che il Signore donandomelo mi ha permesso di provare quanto straordinariamente grande e forte sia l’amore di una madre verso suo figlio.

Guardandolo crescere mi sono spesso chiesta con terrore che ne sarebbe stato di lui e di me, se non fosse nato, se avessi ceduto alla paura, se avessi abortito.

Sapevo che la sofferenza che avrei provato sarebbe stata pari all’amore infinito che provo per lui.

Fino a pochi anni fa ero certa di avere vinto, anche se con difficoltà, quella difficile prova contro la vita, avere accanto a me Luca allontanava da me per sempre quelle domande, il suo sorriso scacciava la paura delle risposte.
Io e il padre di Luca ci sposammo, felici di costruire la nostra famiglia nella quale speravamo di poter accogliere anche una bambina, che nei nostri sogni aveva già un nome, Sara. Il nostro matrimonio fu difficile, ci amavamo, ma molte e profonde incomprensioni ci portarono, dopo cinque anni, alla separazione, che vissi con molta sofferenza.
Amavo molto mio marito e per diversi anni mi occupai di Luca, aspettando che lui tornasse con noi.
Fu così, e otto anni fa mi accorsi di aspettare un altro bambino.

Ne fui felice, aspettandomi da lui la stessa reazione. Mi sbagliavo, ma ciò che mi rese fragile e vulnerabile fu la totale assenza di comprensione e sostegno da parte di mio marito, come anche dei familiari e amici. In quella terribile situazione ero sola e senza lavoro, le mie convinzioni negative rispetto all’aborto restarono tali, ma il mio bambino era considerato un intralcio da abbattere, un dispiacere da evitare da chi avrebbe dovuto sostenermi e salvarci.
Ero l’unica a volergli bene e a credere che la sua vita fosse preziosa e da salvare, ma mi sentivo schiacciata dalla meschinità di mio marito, dalla crudeltà degli operatori del consultorio, e dalla falsa solidarietà di chi mi accompagnò in ospedale.

Il mio secondo bambino avrebbe oggi 7 anni. Sono responsabile della sua morte, ma ci sono altre responsabilità che nulla tolgono alla mia, e che restano difficile da dimenticare.
L’aborto ha lasciato in me il segno di una grande sconfitta e di un dolore del quale ho creduto di non avere il diritto di parlare e che credevo irrimediabile e senza fine.
Durante questi anni ho provato un profondo senso di colpa, sentendomi sola con un dolore che spesso è stato insopportabile, per continuare a vivere ho amato di più Luca, convincendomi che in questo modo avrei amato anche quel bimbo, che non aveva né volto né nome, ma che non potevo dimenticare. Sapevo che il Signore mi aveva perdonato, ma la difficoltà più grande era perdonare me stessa.
Un anno fa cominciai un percorso con una psicologa e con un’assistente sociale, mia amica, che mi fu utile, ma non servì a curare lo sfregio che sentivo nel cuore.
Ero alla ricerca disperata di comprensione e di perdono, ma anche di riscatto. L’aiuto arrivò proprio da chi avevo rifiutato, mio figlio, che non aveva mai smesso di essermi vicino.
In occasione della ricorrenza della giornata per la vita 2005 trovai per caso (o Provvidenza?) l’inserto del quotidiano Avvenire. Lessi commossa il messaggio dei vescovi, nel quale riconoscevo la mia triste esperienza, poi sfogliando il giornale mi colpì un articolo che descriveva l’attività dei CAV, dei quali ignoravo l’esistenza e l’impegno, e un numero verde denominato SOS VITA, che si rivolgeva alle donne in difficoltà a causa di una gravidanza inattesa o indesiderata, ma anche alle donne che avevano vissuto la tragedia dell’aborto.

Composi il numero, rispose Giuseppe che mi ascoltò fra le lacrime raccontare la mia storia. Fu importante ascoltare la fermezza con la quale condannò il mio gesto, ma non me, ma soprattutto la certezza che aveva, della quale mi convinse, di non avere perso per sempre il mio bambino.

La mia seconda figlia si chiama Sara, ora so che il legame che ci unisce è più forte della morte.

Averla ritrovata mi ha insegnato che anche dentro un’esperienza atroce come l’aborto del proprio figlio c’è la mano e l’amore di Chi, conoscendo bene il cuore e la fragilità umana, traccia la via del perdono e della rinascita.
Credo che il sacrificio di Sara sarebbe inutile, se non fossi stata capace di dare un significato importante alla sua breve vita. Poter oggi raccontare la mia storia è uno dei tanti segni del fatto che non ha mai cessato di esistere. I miei figli mi hanno insegnato che la vita di un bambino è un dono prezioso da accogliere e rispettare in ogni circostanza, ma soprattutto che in qualsiasi situazione accanto ad una donna e al bimbo che aspetta è necessario che ci siano persone che vogliono il bene di entrambe.

Spero di poter dare il mio contributo, perché altre donne possano vedere il sorriso dei loro figli.

La vita così breve di Sara e la sua morte così non saranno state inutili

Antonella.