Em Card. Alfonso Lòpez Trujillo – Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia
Sono molto lieto di poter essere oggi tra di voi, che lavorate con tanto animo per cause fondamentali: quella della famiglia e quella della vita, che sono due poli inseparabili di una stessa realtà. Una famiglia che subisce oggi tanti colpi, nei Parlamenti, nei fori internazionali. Il Santo Padre diceva nella Lettera Apostolica “Novo millennio ineunte” che questa fondamentale istituzione che è la famiglia “sta registrando una crisi diffusa e radicale” (n. 47). Ci sono progetti che sono presentati come liberatori dell’uomo, della libertà, ma che veramente sgretolano le istituzioni naturali, offuscano e seppelliscono la verità.
La famiglia è sottoposta all’ostilità sistematica nella negazione dei suoi valori naturali; voglio solo ricordare tutto ciò che è accaduto recentemente nei Parlamenti riguardo alle unioni di fatto e riguardo soprattutto al riconoscimento delle unioni omosessuali, che vogliono aprirsi a dei nuovi diritti, invocando una reazione contro ogni discriminazione, fino ad avere la possibilità di accogliere dei figli adottivi. Su di questo argomento versa il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia “Famiglia, Matrimonio e ‘unioni di fatto’” pubblicato il 26 di luglio del 2000. Siamo di fronte a una cultura, che il Papa chiama militante, una cultura della morte e della negazione della famiglia, che passa per la paura e delle volte per il rifiuto del dono più bello e prezioso che è quello dei figli.
Ricordiamo la “Gaudium et spes”: i figli sono un dono, “il più prezioso” (GS 50). Questa espressione è stata richiesta da Paolo VI e aggiunta al testo della Costituzione Pastorale durante il Concilio Vaticano II. Infatti, i figli sono doni più preziosi per i genitori. Si dovrebbe risvegliare una capacità di stupore, di ammirazione davanti a un dono così prezioso e così meraviglioso. I genitori, la società, i popoli dovrebbero avere questa impressione, davanti alla bellezza, alla novità, a quel fatto straordinario, unico, diverso da tutti gli altri, quel saper capire e accogliere la vita nuova all’interno della famiglia, come un frutto dell’amore, proprio come un dono che ci porta a un insieme di presupposti antropologici su cui dirò solo due parole perché altri conferenzieri si sono occupati in questo argomento.
Siamo, riguardo alla famiglia e al tema dei figli, in un tempo di crisi e di contrasti, contrasti che tutti in diversi modi abbiamo visto, sentito, sperimentato. Anni fa ero in un luogo dell’Africa e c’era una riunione festosa, piena di gioia, che era come diffusa da un minareto musulmano, e ho chiesto “ che cosa accade?” Rispondono: “Portano dall’ospedale un bambino che è nato, e tutta la tribù fa festa, esprime la sua grande gioia”. Ricordo lo stesso a Gerusalemme: la nascita di un bambino è causa di gioia, una festa che esprime tutta la forza biblica di quel dono meraviglioso di Dio che viene ricordato nel Salmo 126: “..Ecco, dono del Signore sono i figli e Sua grazia il frutto del grembo”.
Come hanno cambiato, in alcune nazioni, le cose!: oggi c’è anche una certa paura della vita e c’è in Europa un preoccupante crollo demografico. Come può accadere che una realtà che suscita stupore, e la capacità anche di ringraziamento perda abbastanza la sua forza, negli ultimi tempi? Vi ricordo il libro di Louis Roussel, “La famille incerteine” (nuovamente edito nel 1999) che un po’ fu all’origine di quel logo delle Nazioni Unite dell’anno internazionale della famiglia: un cuore sotto un tetto e una freccia che si perde nell’infinito. Spiegavano che quella freccia è il futuro della famiglia: noi non sappiamo – dicono – come sarà il futuro della famiglia. Neanche sappiamo se ci sarà una famiglia, tanto è forte la crisi in alcune Nazioni. C’è una nozione distorta di famiglia; non si potrebbe parlare più di famiglia, al singolare, ma delle “famiglie”, al plurale. Non si può non far risaltare l’unico modello della famiglia fondata sul matrimonio come comunità di amore, di un uomo e di una donna, comunità “totius vitae” (della vita intera), esclusiva, fedele, aperta, nella fedeltà, alla procreazione.
Nell’incontro che si è tenuto a Malta, nell’anno internazionale della famiglia (1994), dopo l’intervento di Roussel, ho parlato io, e gli ho chiesto: “il futuro è così buio; dov’è la speranza?” E lui diceva: “Sì, siamo in un tempo duro, come in un tunnel, ma lì, al fondo vedo una luce.” “E che luce trova?” “Trovo il bambino”. E in un certo senso questo importante sociologo (che proprio non accetta l’istituzione della famiglia, per delle ragioni filosofiche, e anche perché è agnostico), vede nel futuro il risveglio di una speranza nei figli. Nell’Anno Giubilare del 2000 noi abbiamo scelto come tema, quello approvatto dal Santo Padre: “I figli, primavera della famiglia e della società”.
Ogni volta siamo più in quella linea di necessario riscatto della famiglia, perché diventi dappertutto quella istituzione forte, portatrice del futuro, delle speranze. Questo passa necessariamente per la centralità del bambino nella famiglia. Vediamo come oggi le società paghino alti costi sociali proprio nei bambini, nei bambini violenti, che non hanno un armonico sviluppo della loro personalità o costi sociali anche nella paura della paternità e maternità. Le cause di tale paura, che può diventare anche rifiuto dei figli, sono diverse. La paura nasce per le condizioni assai difficili in campo economico, forte nelle nazioni povere, ma anche nelle nazioni riche per altri aspetti, come il lavoro domestico costretto. Manca il tempo per educare i figli, così avanza l’inverno demografico.
Tutti sappiamo che l’Europa si trova in quel dramma di cui i politici cominciano a preoccuparsi di quali saranno gli effetti disastrosi per il futuro. Come il caso dell’Italia, dove ci sono più morti che culle, dove non si arriva neanche a un bambino per coppia. I popoli senza nuova vita, non possono assicurare un futuro veramente umano. E questo curiosamente quando si parla che nel mondo non ci sarebbero più posti per altri esseri umani, per “la bomba demografica”.
Il mito demografico è crollato, le Nazioni Unite riconoscono che i dati, le proiezioni sulle quali lavoravano non possono essere ulteriormente sostenute. Dobbiamo ricordare come 5 anni fa si diceva che per l’anno 2025 ci sarebbero stati 11 miliardi di uomini sul pianeta; adesso si correggono: forse non si arriverà neanche a 8.5 miliardi. Dunque in 5 anni le previsioni sono state aggiustate di 3 miliardi (non è poca cosa), ma il mito continua ancora e fa paura a molti. Per l’anno 2050 un esperto di prestigio, Dumont, fa il calcolo di 9 milliardi. Le politiche di controllo sulle nascite proseguono senza ragioni, e riempiono il mondo di paura, scientificamente il mito non ha basi. Non crolla la paura della nuova vita.
Uno dei problemi più forti delle società industrializzate è rappresentato dal lavoro femminile. Mi sia permesso di abbordare questo tema. Certo, il riconoscimento alla donna degli stessi diritti dell’uomo è giusto, il lavoro è un mezzo di redenzione, ma non lo è se la donna è costretta a quel lavoro, quando nella famiglia non c’è più tempo per il dialogo, per l’incontro con i figli, quando la donna è psichicamente sovraccarica perché deve fare doppio lavoro, fuori a e in casa. Abbiamo fatto diverse incontri, sia in America, sia in Europa, invitando gli imprenditori, i politici, i legislatori a spingere una maggiore “immaginazione creatrice” per poter rispondere a un problema che forse è il maggiore riguardo alla tematica dell’inverno demografico. Tante volte non è un problema soltanto di edonismo, di egoismo, ma le famiglie sono costrette a lavorare in una dimensione per la donna di sposa, madre lavoratrice che non ha tempo per seguire i figli.
E anche la paura del futuro è un freno alla natalità. In Europa siamo di fronte a una piramide invertita, con molti anziani, troppi appartenenti alla terza e alla quarta età. Questo pone grosse difficoltà alla nostra società, anche in termini economici. Una interessante tesi de Gary Becker, premio Nobel per l’economia (che ha condotto molti studi sulla famiglia e soprattutto sulla protezione della maternità) è che se si perdono i valori fondamentali dell’accoglienza della vita, tutta la società è a rischio. Il contrasto curioso è che se da una parte cresce la paura del figlio, dall’altra aumentano le coppie in difficoltà perché non possono avere figli, e li vogliono a tutti i costi. A questo proposito, però, ieri sera P. Angelo Serra ha già esposto questi problemi, che egli conosce così bene.
La rivoluzione tecnologica, che abbraccia tutto il campo della fecondazione assistita, è per molti versi una sconfitta, riconosciuta, almeno da alcuni scienziati. Qualche anno fa, ho incontrato il ben noto Severino Antinori, che si vanta di tanti bambini “prodotti” in provetta, annunziando anche che farà la clonazione! Non sembra molto serio per i veri scienziati! Era con il Dott. Testard, il pioniere del bebé provetta in Francia. Mi ha colpito sentirgli dire, proprio da lui che aveva lavorato tanto in quel campo: non è etico, quello della fecondazione assistita è un affare che fa vergogna. Ecco perché ha smesso di fare la Fivet! Vediamo come ogni giorno ci siano nuovi tentativi che ci portano a quel mondo. Lo statunitense Herman Muller, nel dopoguerra sosteneva che per evitare tutti i possibili problemi di procreazione di feti con handicap si dovrebbe abbandonare la procreazione naturale e passare alla inseminazione artificiale di massa, a partire da gameti sicuri. Ciò che era un’utopia, oggi diventa una realtà, in questa nuova era tecnologica, lontana dai principi, lontana dal riconoscimento della limitazione della scienza, e assai poco rispettosa della dignità della persona umana.
Si può arrivare così alla creazione di una nuova società, con un nuovo stile di vita che non avrà più un volto umano. La rivoluzione tecnologica, diceva Romano Guardini, avrà influssi sulla società in ogni campo. Come vivranno le coppie di sposi, le famiglie, se in futuro saranno i figli “prodotti”? In quel campo il problema forte, per non dimenticare la radice e il fondamento della Verità, è che ogni figlio è un dono di Dio, e ha una vocazione non soltanto per la vita terrena, ma per tutta l’eternità. L’umanità potrà rischiare di perdere il suo volto umano, il volto dell’amore, della tenerezza, se perde il senso del figlio come dono, con tutte le esigenze del dono.
Uno dei romanzi di Franz Kafka (“La metamorfosi”) ci racconta l’incubo di quell’uomo che un mattino si è svegliato scoprendo con terrore che era diventato un insetto. L’uomo si scopre come non-uomo, come disumano. Secondo Guardini, l’uomo può trovarsi oggi senza la sua essenzialità, senza il suo volto umano, l’uomo disumano; ecco il grande rischio. Rischio che inizia proprio nella famiglia, quando la famiglia si svuota dei figli, può perdere il senso stesso della vita, può cambiare tutto. L’uomo dall’inizio,dal concepimento, non è un oggetto, uno strumento, Dio chiama l’uomo alla vita, all’eternità, l’uomo vivente è la gloria di Dio (Sant’Ireneo), è l’unico essere chiamato all’esistenza da Dio per se stesso: ecco perché deve essere rispettato. Non può esser fatto oggetto di una sperimentazione disumana o della negazione dello statuto giuridico: è una persona umana dal concepimento, non una “cosa”, uno strumento.
Negli Stati Uniti la scienza afferma che se un concepito non è nato, non è persona umana. Così si può provocare l’aborto, addiritura dopo 5 o 6 mesi. Manca una visione veramente antropologica dell’uomo, di rispetto della vita, manca la consapevolezza che l’uomo è figlio di Dio, immagine di Dio. Ecco perché nelle varie legislazioni internazionali i delitti sono chiamati diritti, prevale la cultura della morte.
Gli sposi sono speciali collaboratori di Dio Creatore e non soltanto in campo biologico, come ci ricorda il Papa nelle “Lettera alle famiglie”. La famiglia è un’utero spirituale, come dice S. Tommaso d’Aquino: “Il figlio è naturalmente qualcosa del genitore. Primo perché quando è ancora nell’utero materno, non si distingue dei genitori riguardo al corpo. Dopo, quando è già uscito dall’utero, e prima di disporre dell’uso del libero arbitrio, perché è sotto la custodia dei suoi genitori come se fosse in un utero spirituale” (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II q. 10 a. 12, c). Così il figlio è amato, accolto con tenerezza, educato all’amore, alla libertà, alla verità, al dialogo. Per poterlo introdurre nella società, nell’avventura della vita, perché diventi pienamente uomo, accolto da un padre e una madre. L’accoglienza però deve dimenticare il “diritto” (che non esiste) ad avere il figlio ad ogni costo, perché quel dono è dono di Dio e va accettato col cuore: è Dio che è Padre, secondo il Suo disegno, la Sua volontà.
Se Dio è la fonte stessa della Vita, con che diritto può l’uomo non amare questo dono e diventare arbitro, eliminando una nuova vita? Si attende un figlio che sarà un peso per la società: oggi in tante legislazioni nel mondo questa è una ragione per ucciderlo, questo crimine orribile è accettato da molti.
La famiglia, non è solo costituita dai genitori, ma si apre a tutta la grande famiglia. S’invoca oggi sempre di più la figura dei nonni, i quali svolgono un ruolo di grande importanza. Offrono una buona collaborazione, proprio lì dove la donna deve lavorare di più. L’accresciuta speranza di vita permette ai nonni di giocare un ruolo importante nella famiglia.
La famiglia è un nuovo spazio, che si prepara dal concepimento a ricevere un figlio come dono, in un’atmosfera di gioia, di attesa, di dialogo. Il dialogo nel bambino comincia ancora prima della nascita. La famiglia è l’unico spazio in cui l’uomo può crescere come uomo.
Pierpaolo Donati e altri sociologi insistono su questo valore; è vero che la famiglia ha perso parecchie delle mediazioni conosciute. Prima era una comunità di lavoro,di educazione; oggi alcune cose sono passate alla società. Ma una cosa non si è persa e non si perderà mai: l’unico spazio per la formazione dell’uomo come persona, nell’amore, nella tenerezza, è la famiglia. Tutte le altre istituzioni che pretendono essere alternativa alla famiglia sono chiamate a una sconfitta. Soltanto la famiglia è capace di una “procreazione integrale”, che fa maturare fino alla sua piena dignità l’immagine di Dio. Il figlio non è una proprietà, come non poteva esserlo prima della nascita, come “un’appendice” della donna, è un figlio di Dio, una realtà che va accolta e rispettata, accompagnata in un’ottica di educazione integrale.
Oggi uno dei problemi più preoccupanti è costituito dalla grande paura di educare: gli specialisti ritengono che questa paura va di pari passo insieme alla paura della paternità e maternità. Molte scuole psicologiche hanno influito in questo senso: c’è la paura di educare perché – dicono – non si deve limitare la libertà del bambino. I libri di un noto esperto, il Prof. Tony Anatrella, sono di grande interesse al riguardo. Ecco allora, come lo chiama Dan Kiley, la “sindrome di Peter Pan”: la famiglia non vuole educare e il figlio rimane bambino, non vuole di conseguenza maturare. C’è una cospirazione pericolosa dei genitori che si astengono dal correggere, dal mostrare la strada. Questo è un grosso sbaglio: i bambini, i ragazzi, hanno necessità di essere educati e guidati dai genitori: non è possibile abdicare a questa missione sacra. Questo si dimostra nel momento dell’educazione sessuale, dell’incoraggiamento o no ad un determinato stile di vita. La formazione spirituale è tale nella misura in cui corrisponda alla donazione integrale di sé, soltanto l’uomo che si impegna in un amore generoso è capace di crescere e di far crescere. Oggi purtroppo, in una concezione assai materialista dell’educazione, questi valori sono dimenticati.
Il bambino ha il diritto di essere accolto in famiglia! In un poema spagnolo si racconta che la Madonna piangeva e piangeva di gioia, perché suo figlio Gesù le aveva detto per la prima volta: “Mamma!” Nel dialogo cresce la famiglia, la consapevolezza della maternità e della paternità, e nel contempo cresce il Tu del figlio, il suo io morale. Il dialogo è come l’inizio di una nuova vocazione a essere immagine di Gesù, icona del Padre, in quella vocazione di eternità, di incontro definitivo con Dio. Quando tutto questo manca l’uomo si impoverisce. I figli non sono amati, i loro diritti non sono riconosciuti: il figlio senza famiglia, questa è la più grande povertà che possa essistere. In un seminario tenuto a Rio de Janeiro su questo tema, ci dicevano gli specialisti che i bambini cresciuti in strada non amano la vita, non si amano, provano un profondo disprezzo per loro stessi e per gli altri, e rischiano perciò di diventare, a loro volta, dei violenti, perché non è mai stato dato loro l’amore, personale, individuale. La rinascita avviene quando quei bambini sperimentano che qualcuno li ama. Allora tutto cambia in essi, cominciano ad amare sé stessi e anche gli altri: è un comandamento di Dio: amare sé stessi e amare gli altri.
Ecco il miracolo dell’amore! Poveri quei genitori che per paura non accolgono i figli. Saranno forse molto ricchi (nell’avere), ma svuotati nell’essere, abbandonati nella vecchiaia! questa è la tragedia degli anziani, abbandonati nelle società ricche.
Circa l’adozione che è un altro punto molto attuale vale questo principio: il bene superiore del bambino. Così non si può considerare l’adozione come un mezzo per colmare un vuoto della famiglia e, ancor meno le unioni di fatto, perché nella loro instabilità non hanno molto da offrire. Questo è evidente, ancora di più per le coppie di fatto omosessuali! Allora quale accoglienza e con quale amore? Abbiamo un esempio unico: la paternità di Dio, Dio ama con amore di Padre, nessuno è capace di un amore così grande, noi siamo strumenti limitati nelle mani di Dio, Abbah, quel Padre vicino a noi, con cui è possibile un dialogo, che fa crescere nella libertà, nella consapevolezza di una vocazione all’eternità. Se Dio accoglie, chiama alla vita ogni creatura e la ama in modo unico, nessuno può dire: io lo respingo, non lo amo. Dio è tenerezza! insegna alla famiglia ad amare, ad accogliere, ad aprirsi alla primavera della vita, in un rinnovamento continuo.
Verso la fine di questo intervento vorrei ricordare un po’ la chiave di tutto: amore e responsabilità. È il titolo di un noto libro del Santo Padre. Tutto è amore! Oggi la chiave teologica è la donazione totale, la tenerezza totale. È questo che dobbiamo proclamare per l’Evangelo, la stupenda notizia della famiglia e della vita!
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