Dr. Giacomo Rocchi – Magistrato

1. Quando una legge è approvata definitivamente e promulgata, il suo contenuto è ormai cristallizzato nel testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e su questo testo si concentrano gli interpreti:

coloro che devono applicare la legge – operatori del settore, magistrati, avvocati, funzionari pubblici – nonché gli studiosi del diritto. Il criterio fondamentale di interpretazione è quindi quello oggettivo, che ha riguardo al testo e al suo significato e prescinde quasi del tutto dalle cosiddette “intenzioni del legislatore” che si possono ricavare dai lavori preparatori (proposte originarie, modifiche, emendamenti, discussione parlamentare dei singoli articoli, discussione generale ecc.). In sostanza – anche se può sembrare un’osservazione banale – una legge opera ed è efficace in forza del suo contenuto definitivo, a prescindere dalle intenzioni o dai desideri dei parlamentari che hanno contribuita ad approvarla e quindi, talvolta, anche contro queste intenzioni e questi desideri.

Il legislatore (cioè la maggioranza parlamentare che ha contribuito ad approvare la legge), ad un esame obbiettivo del testo normativo, potrà quindi risultare distratto (se non si è reso conto che, approvando un certo testo, non avrebbe ottenuto i risultati perseguiti) oppure in mala fede (se avrà proclamato un determinato principio facendo però in modo che esso non sia realmente realizzato) o ancora tecnicamente incapace (se non avrà tenuto conto degli effetti giuridici derivanti da altri rami del diritto, ad esempio i principi costituzionali che regolano il diritto penale); o, al contrario, attento, in buona fede e tecnicamente capace.

Ma l’interprete della legge lascia volentieri ad altri le valutazioni politiche o morali sull’operato del legislatore e si concentra, come si è detto, sul testo, magari – come in questo scritto – facendone emergere le contraddizioni e la sua reale efficacia.

2. Alcuni divieti dettati dalla legge 40 del 2004 risultano assolutamente efficaci:

si pensi al divieto di clonazione, punito con una severità davvero notevole e che ha sostanzialmente impedito che le ricerche rivolte alla ricerca di cellule staminali embrionali in Italia proseguissero; un divieto effettivo perché una sanzione penale così pesante rende ovviamente impensabili investimenti in questo campo; non a caso le reazioni a questo divieto da parte di ambienti della ricerca sono state violente. Le vicende relative al programma di ricerca dell’Unione Europea, tuttavia, hanno fatto comprendere che il divieto concerne la condotta di clonazione e non le ricerche sui prodotti di clonazione (cioè le cellule staminali embrionali) realizzate da altri soggetti all’estero e che non esiste nemmeno un espresso divieto di importare detti prodotti, cosicché il giudizio sull’efficacia della norma è, complessivamente, molto più incerto.

Altro divieto certamente efficace in ragione della sanzione penale irrogata riguarda le cosiddette “banche del seme“, una sorta di catalogo di gameti maschili e femminili con diverse caratteristiche genetiche, che quindi ciascun consumatore può scegliere per crearsi il bambino secondo la sua immagine, banche invece molto diffuse all’estero, soprattutto negli Stati Uniti.

Altri divieti efficaci riguardano gli incredibili esperimenti che mischiano insieme gameti umani con gameti animali o due gameti umani e che da soli, si potrebbe ritenere, dimostrano a che livello di irresponsabilità sia arrivata una certa ricerca scientifica; così anche è severamente vietata l’ectogenesi, una pratica con cui alcuni “scienziati” cercano di far crescere un embrione umano non nel corpo della donna ma in una macchina apposita ; pratica attualmente di nessun successo. Si tratta ovviamente di esperimenti realizzati a costo della vita di innumerevoli embrioni.

3. Sgombrato il campo dagli aspetti positivi e passando, allora, al tema delle contraddizioni della legge 40,

si vedrà che la norma pone sì, determinati limiti, dei “paletti”, ma in modo tale che questi paletti possano essere facilmente aggirati oppure, ad un esame più approfondito, risultino sostanzialmente inesistenti.

Ciò si ricava non solo dallo studio del testo della legge e delle linee guida , ma anche dall’analisi dei dati che riguardano il primo periodo di applicazione della legge 40. Le fonti di questi dati sono diverse: in primo luogo la Relazione del Ministero della Salute relativa all’anno 2005, che riporta i risultati di una ricerca, anche se su base volontaria, sull’attività da parte di numerosi centri delle tecniche di procreazione medicalmente assistita negli anni 2003 e 2004; in secondo luogo i dati diffusi dai singoli centri o case di cura anche via internet.

In effetti si deve ricordare che poiché, in forza della legge 40, le pratiche di procreazione medicalmente assistita sono state rese legittime, svolte sia da enti privati che da enti pubblici, uno degli effetti inevitabili è la nascita di una “pubblicità” nell’ambito di un mercato in cui vige un regime di libera concorrenza tra pubblico e privato e tra privati (anche con i centri all’estero). I centri iniziano, quindi, a diffondere i propri risultati dell’applicazione delle varie tecniche, perché hanno la necessità di far sapere ai potenziali clienti che “funzionano”, che cioè riescono a far nascere bambini alle coppie che lo desiderano.

In realtà è la stessa legge 40 a spingere verso questa forma di pubblicità: mediante il Registro nazionale istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità si dovrebbe, infatti, consentire “la trasparenza e la pubblicità delle tecniche di procreazione medicalmente assistita adottate e dei risultati conseguiti” (art. 11 comma 3): una sorta di “garante della concorrenza” in questo settore che dovrà raccogliere i dati statistici in forma anonima dai vari centri autorizzati e dovrà “diffondere le informazioni necessarie”. Attualmente (per come si evince dal sito del Registro ) la raccolta dei dati per via informatica è in corso, mentre per la divulgazione degli stessi si dovrà ancora attendere: nel sito si garantisce che successivamente i cittadini avranno “informazioni più dettagliate su ogni centro e sui risultati conseguiti. I dati, una volta analizzata in forma aggregata, infatti, saranno diffusi in accordo con i centri, attraverso il sito del Registro e saranno di libero accesso” (la mancata indicazione di una data precisa di divulgazione dei dati e il riferimento alla necessità di un “accordo” con i centri, che la legge non prevede, fa intuire che da parte di qualche operatore c’è una certa resistenza ad una trasparenza assoluta che permetta un confronto realistico da parte dei potenziali utenti).

4. Le prime contraddizioni riguardano i limiti all’accesso alle tecniche:

la legge 40 rende lecito l’uso delle tecniche solo in relazione a persone che hanno determinati requisiti, che si trovano, cioè, in una condizione tale da rendere inevitabile il ricorso alla procreazione assistita; si vedrà subito che queste limitazioni sono sostanzialmente fittizie.

Il primo requisito è la sterilità o infertilità della coppia.

Si tratta di un limite che esprime una delle scelte qualificanti del legislatore. In Italia, come nel resto del mondo, la procreazione medicalmente assistita veniva utilizzata per tre diverse finalità: la prima era di superare i problemi di infertilità della coppia; la seconda era legata alla ricerca scientifica, mirando a produrre embrioni su cui effettuare le più varie e discutibili sperimentazioni e ricerche (tra cui, come si è accennato, la produzione di cellule staminali); la terza aveva riguardo alle coppie con problemi di malattie genetiche o trasmissibili poiché, mediante la diagnosi preimpianto, cioè la selezione degli embrioni creati in vitro e l’eliminazione degli embrioni malati, si cercava di far nascere bambini che non fossero affetti dalla stessa malattia dei loro genitori.

La legge ha ammesso solo la prima come unica finalità che rende lecito il ricorso alle tecniche: “Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico” (articolo 1 comma 1): di qui il divieto di produrre embrioni per la ricerca .

Consegue a questo principio anche il divieto di ricorso alle tecniche per le coppie fertili, anche se affette da malattie di carattere genetico o trasmissibili. Ma su questo punto, sorprendentemente, si riscontra la mancanza di sanzioni: non ne sono previste né per i medici, né per la coppia, né per un centro di fertilità che applichi le tecniche di procreazione medicalmente assistita a una coppia fertile.

Non basta: nella legge non è previsto nessun soggetto terzo – medico o giudice o funzionario pubblico – incaricato di verificare se la coppia che chiede di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita sia davvero infertile. In sostanza l’infertilità della coppia è verificata e certificata dallo stesso medico specialista (ginecologo o andrologo) della struttura presso cui si eseguono le tecniche, anche se si tratta di centro privato con scopi di lucro: sarà lui a fornire la risposta definitiva, sia quanto ai problemi di infertilità, sia quanto ai trattamenti da eseguire. Le linee guida addirittura aggravano questa situazione in quanto in sostanza impongono al medico generico (di solito il medico di famiglia), a cui si rivolgerà in prima battuta la coppia, di indirizzarla a un centro di procreazione medicalmente assistita .

Il rischio derivante da tale regolamentazione è duplice.

In primo luogo non vengono adeguatamente tutelate le coppie che ritengono di avere problemi di fertilità e che verranno indirizzate ad un centro di procreazione medicalmente assistita, magari privato, che potrebbe proporre – in evidente conflitto di interessi, sia di carattere economico sia in conseguenza di una precisa scelta scientifica – una soluzione tecnica forse non necessaria per risolvere il problema. Per fare un esempio: lo specialista di un centro privato della fertilità informerà adeguatamente la coppia delle potenzialità accresciute di concepimento mediante l’uso dei metodi naturali e quindi consiglierà loro di soprassedere in una prima fase all’applicazione delle tecniche di PMA? Oppure (anche se si tratta di argomento diverso) con quale convinzione verrà prospettata dal centro alla coppia sterile, come alternativa alle tecniche, la possibilità di ricorrere alle procedure di adozione o affidamento ?

Il rischio maggiore, però, è che coppie fertili, ma consapevoli di essere portatrici di malattie di carattere genetico, si rivolgano ugualmente ai centri per la procreazione assistita, per fare ciò che era possibile prima della legge e che ora è vietato, vale a dire la selezione degli embrioni prodotti, così da procedere al trasferimento solo degli embrioni non malati, previa eliminazione di quelli malati.

Questo secondo rischio di disapplicazione di uno dei principi fondamentali della legge è aggravato dalla definizione dello stato di infertilità o sterilità della coppia da parte delle linee guida: impossibilità di concepire naturalmente dopo 12/24 mesi di rapporti sessuali non protetti : si tratta quindi, chiaramente, di uno stato autocertificato dalla coppia. Ecco che una coppia che afferma di essere infertile per ragioni inspiegabili, in accordo con un centro di fertilità potrà sottoporsi alle tecniche di PMA e cercare di fare diagnosi preimpianto.

La possibilità di aggirare il principio che le tecniche sono riservate solo alle coppie sterili è stata intuita anche dagli operatori: Carlo Flamigni, sicuramente il più autorevole esperto in Italia nel campo della procreazione medicalmente assistita, in un trattato reperibile sul suo sito internet , afferma: “A parte il fatto che non è ancora chiaro se indagini preimpiantatorie potranno essere eseguite, appare chiaro che nessuno potrà evitare che una coppia dichiari di essere sterile, essendo la sterilità idiopatica (quella da cause non identificate), autocertificata”. Si noti come la possibilità di accesso per le coppie non sterili sia direttamente correlata, nel ragionamento di Flamigni, alla possibilità di selezionare gli embrioni, eliminando quelli malati (obbiettivo che l’Autore descrive immediatamente prima come desiderio “che i loro embrioni siano esaminati per evitare di dover ricorrere a un aborto”).

Che sia ritenuto possibile per le coppie fertili che presentano problemi di carattere genetico accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in violazione del divieto di legge, pare un dato accettato anche da scienziati ritenuti autorevoli da parte cattolica: in un intervista pubblicata il 26/10/2006 sul supplemento “E’ Vita” del quotidiano Avvenire il genetista Licinio Contu, “illustre genetista cagliaritano e tra i massimi esperti in fatto di talassemia”, alla domanda se sia possibile soddisfare il desiderio di avere un figlio non malato senza ricorrere alla diagnosi preimpianto e alla selezione degli embrioni, risponde: “La risposta è si. La tecnologia ci permette oggi di individuare e isolare gli ovociti e gli spermatozoi in base alle loro caratteristiche genetiche. (…) Nei soggetti eterozigoti per un gene di malattia … ci sono due tipi di spermatozoi … e tre tipi di ovociti prefecondazione o ovociti secondari (…) La decisione di procedere alla selezione degli ovociti o degli spermatozoi dipende dal tipo di malattia che la coppia può trasmettere ai figli. (…) Il risultato sarà, in tutti i casi, un embrione sano o sano – portatore. Queste due procedure di diagnosi prefecondazione hanno margini di errore diagnostico inferiori all’1%, assicurano pertanto un’alta probabilità di avere un figlio non affetto e comportano l’eliminazione delle cellule non utilizzate per la fecondazione, ma non certo la soppressione degli embrioni”. Come si comprende questa tecnica presuppone la fecondazione in vitro degli embrioni dopo l’avvenuta selezione dei gameti .

In definitiva, mancano una sanzione per l’accesso alle coppie non sterili e un controllo su questo requisito, essendo esso autocertificabile: il divieto è inefficace, il “paletto” è facilmente aggirabile.

5. Un secondo limite per l’accesso alle tecniche è quello dell’età dei richiedenti.

Prima dell’approvazione della legge 40 una polemica ricorrente (che anche successivamente ogni tanto si rianima) riguardava il fenomeno delle cosiddette “mamme-nonne”: poiché ci sono nel mondo e anche in Italia alcuni “aspiranti stregoni” che si vantano di riuscire a fecondare donne particolarmente anziane, ci si domanda se sia giusto che venga concepito artificialmente un figlio che quando nascerà avrà dei genitori anziani e che quindi rischia di restare orfano molto presto o che comunque instaurerà con i genitori un rapporto educativo molto diverso da quello conosciuto nell’esperienza comune.

Il legislatore ha trovato come soluzione quella della ‘età potenzialmente fertile’ . Come si può definire questo concetto? Una coppia è “potenzialmente fertile” quando è sterile – cioè non riesce a concepire naturalmente figli – ma per motivi diversi dalla perdita di fertilità dell’uno o l’altro componente in conseguenza dell’età; visto come limite, il concetto dovrebbe, quindi, impedire l’accesso alle coppie i cui componenti (o uno di essi) hanno un’età così avanzata che, a prescindere da problemi di carattere diverso, avrebbero comunque perso la capacità di generare (menopausa, andropausa).

Si tratta di un limite apparente rispetto al quale la risposta non può che essere questa: se riusciamo ad ottenere spermatozoi vitali dall’uomo e ovociti fecondabili dalla donna e se riusciamo, così, a fecondare la donna, ciò significa che la coppia, a prescindere dall’età dei suoi componenti, era “potenzialmente fertile”. Le linee guida, infatti, nel paragrafo “Accesso alle tecniche” tacciono sul requisito dell’età potenzialmente fertile, mentre nell’Introduzione si dilungano sul fatto che l’età della donna “è uno dei principali limiti posti alla fertilità umana (…) Donne di età superiore ai 35 anni hanno una più elevata probabilità di avere difficoltà riproduttive in relazione ad aneuploidie determinate da non-disgiunzioni cromosomiche”. Nella stessa esposizione il limite non è, però, mai considerato insuperabile se non fino al “completo esaurimento della funzionalità ovarica”. Si spiega, infatti, che “la gonade femminile … è costituita da un numero finito di unità follicolari, e quindi di cellule uovo, che rappresenta un patrimonio predeterminato suscettibile di irreversibile depauperamento”. Dall’età della piena funzionalità ovarica a quella del suo completo esaurimento vi è un periodo in cui “vi è una riduzione della potenzialità riproduttiva della donna che può rappresentare l’unico elemento determinante la sub-fertilità”. Ecco che si coglie pienamente la portata del concetto, già evidenziato in una precedente nota, di “sub-fertilità”: permettere di ritenere la donna sempre in età potenzialmente fertile, fino all’esaurimento completo della riserva ovarica, e quindi di legittimare qualsiasi tentativo di fecondazione artificiale, a prescindere dall’età dei componenti della coppia.

Non è un caso che, anche in questo caso, nessuna sanzione è prevista per il medico che applichi le tecniche a una coppia non potenzialmente fertile: d’altro canto sarebbe difficile precisare un’accusa di violazione del limite, visto che si tratta di un limite del tutto vago e generico . L’assenza di sanzioni viene rilevata e criticata da numerosi commentatori della legge.

Si può ritenere – come alcuni autori fanno – che si tratti di mera dimenticanza di un legislatore distratto. Quello che è certo è che le statistiche sull’applicazione delle tecniche dimostrano che questa elasticità della legge circa il limite dell’età favorisce l’accesso alle tecniche di procreazione assistita ad un settore di potenziali utenti molto “interessante” per le case di cura private, quello cioè delle donne in età abbastanza avanzata rispetto ad una possibile gravidanza, soprattutto le ultraquarantenni. Le stesse linee guida rilevano un dato notorio: “nella nostra società motivazioni molteplici di ordine sociale, economico e culturale portano molte donne a rinviare oltre la terza decade di vita la ricerca di un concepimento. Dagli ultimi dati relativi alla natalità in Europa, infatti, emerge che l’età media in cui la donna italiana partorisce il primo figlio è 30 anni, dato aumentato rispetto al precedente rilievo del 1990 dove risultava essere di 29 anni”.

I dati statistici cui si è fatto riferimento prima risultano su questo argomento molto significativi, in quanto uno dei principali criteri di classificazione delle pratiche e dei risultati ottenuti dai vari centri è quello dell’età della donna che si è sottoposta alle pratiche di procreazione medicalmente assistita.

Il centro privato che presenta con maggiore ampiezza e in dettaglio i risultati conseguiti, recependo in pieno lo spirito della legge 40, è certamente il Tecnobios Procreazione di Bologna, diretto dal dott. Andrea Borini , che ha pubblicato i risultati di cicli di procreazione medicalmente assistita effettuati nel 2004 e nel 2005, riassunti in 12 tabelle relative al tipo di tecniche e all’età della donna, con un’introduzione dal tono ottimistico: “siamo in grado di mettere nero su bianco il risultato del nostro lavoro ed questo risultato è positivo, probabilmente al di là delle nostre previsioni più ottimistiche, non possiamo essere anche un po’ orgogliosi”.

Ebbene, saltano agli occhi i risultati della tecnica ICSI nell’anno 2005 nella classe di età della donna superiore a 43 anni : 33 cicli (non sono numeri altissimi ma sono significativi), 27 pick-up ovocitari, (per “cicli” si intendono le stimolazioni ormonali nei confronti della donna, per “pick-up ovocitari” il prelievo degli ovociti, che avviene quasi sempre dopo la stimolazione, salvo i casi in cui è inutile), 22 transfer, cioè trasferimento di embrioni nel corpo della donna, 2 gravidanze, 2 aborti spontanei! In sostanza sono state coinvolte almeno 10 – 15 donne (ipotizzando che ciascuna si sia sottoposta a più cicli), si è tentato di creare fino a 81 embrioni (ipotizzando il rispetto della legge e il tentativo di fecondazione di tre ovociti per ogni pick up eseguito ), se ne sono trasferiti in utero un numero presumibile da 40 a 60 (poiché i transfer sono 22 e ipotizzando che per ogni transfer siano stati trasferiti due o tre embrioni); di essi solo 2 hanno attecchito, dando origine alla gravidanza, mentre tutti gli altri sono morti nelle ore successive al trasferimento; entrambi gli embrioni per i quali era iniziata la gravidanza sono stati abortiti spontaneamente.

Non sembra azzardata una valutazione drastica: si è trattata di mera sperimentazione, condotta a spese della vita di molte decine di embrioni ma anche nei confronti delle donne che si sono sottoposte ai trattamenti (fra l’altro anche nell’anno 2004 i risultati della stessa tecnica erano stati più che deludenti : 32 cicli, 28 pick up ovocitari, 22 transfer – da 40 a 60 embrioni trasferiti -, una sola gravidanza instaurata e giunta a buon fine). Non si può non chiedersi quali aspettative avessero queste donne e se fossero pienamente consapevoli delle probabilità di successo.

Estendendo l’esame a tutte le tecniche di fecondazione extracorporea (FIVET, ICSI, TESA) e alle ultime due classi di età (41-42 anni e >=43 anni) , i dati non appaiono certamente molto più incoraggianti: 249 cicli, 206 pick up ovocitari, 171 transfer (quindi con un numero presumibile di embrioni trasferiti variante da 342 ad un massimo teorico di 513), 17 gravidanze con complessivi 21 embrioni attecchiti (sono indicate distintamente le gravidanze singole, gemellari e trigemine), 6 aborti spontanei (pari verosimilmente a 8 feti abortiti, tenuto conto delle gravidanze gemellari e trigemine), 13 bambini “in braccio”. Ipotizzando in 400 il numero di embrioni trasferiti in utero (e quindi sicuramente vivi) i bambini nati sono il 3,25%; la percentuale diminuisce ulteriormente se si tiene conto del numero (sconosciuto, come si è visto) degli embrioni morti in vitro e quindi non trasferiti.

Il numero di cicli relativo a queste classi di età è pari al 17,54% del totale (249 cicli su 1.419); sale al 34,67% del totale (492 cicli su 1.419) se si tiene conto anche della classe di età delle donne di 39 e 40 anni: in sostanza un ciclo di procreazione assistita extracorporea su tre riguarda, in quel centro, donne da 39 anni in su.

Anche i risultati ottenuti con il metodo dello scongelamento degli ovociti, per il quale il Centro riferisce di avere applicato un nuovo protocollo di congelamento e scongelamento nella seconda metà del 2005, sono a dir poco disastrosi quanto alla fascia di età della donna da 41 anni in su : 65 cicli, 63 transfer, 2 gravidanze singole (il 3,2% dei transfer) di cui una delle due esitata in aborto spontaneo; quindi un bambino “in braccio” rispetto a 120 – 180 embrioni trasferiti.

I dati di altri centri confermano queste percentuali.

Il Centro ArcSter di Mestre diretto dal dr. F. Rizzo riporta i seguenti dati (riferiti a tutte le metodiche) relativi all’anno 2005 per la classe di età della donna superiore a 44 anni: 24 cicli, 20 prelievi ovocitari, 19 trasferimenti, nessuna gravidanza; estendendo lo sguardo anche alla classe di età da 40 a 44 anni, e quindi analizzando il dato complessivo delle donne con più di 39 anni, i dati sono i seguenti: 65 cicli, 57 prelievi ovocitari, 56 trasferimenti, 11 gravidanze (senza specificazione se si tratta di gravidanze singole, gemellari o trigemine; il dato degli aborti spontanei è indicato con riferimento al numero complessivo delle gravidanze). In questo centro i cicli sulle donne di età superiore a 39 anni sono il 43,62% del totale (65 su 149).

Futura Diagnostica Medica di Firenze, diretta, quanto alla procreazione medicalmente assistita, dalla d.ssa Carolina Becattini , riporta i seguenti dati delle tecniche di fecondazione in vitro (con o senza ICSI) relativi ai cicli “post-legge” (anni 2004 – 2005) e alla classe di età della donna da 40 anni in su: 68 cicli, 63 trasferimenti (non viene riportato il numero dei pick up ovocitari), 12 gravidanze (pari al 19% dei trasferimenti) di cui 11 singole e una gemellare, 4 aborti (pari al 33,3% delle gravidanze): quindi 7 o 8 bambini “in braccio”.

L’Associazione Hera di Catania riporta, quanto al periodo marzo – dicembre 2004 (successivo, quindi, all’entrata in vigore della legge 40), i seguenti dati relativi alla classe di età delle donne da 40 anni in su: con la tecnica FIVET n. 47 donne con trasferimenti effettuati e 9 “test positivi” (che non sempre si trasformano in gravidanze cliniche), pari al 19,2%; con la tecnica ICSI n. 32 donne con trasferimento effettuato e 3 test positivi, pari al 9,4%. Non vengono resi noti i dati relativi alle gravidanze cliniche e agli aborti spontanei, ma, come si è visto per gli altri centri, il numero dei “bambini in braccio” è stato sicuramente inferiore a quello dei test positivi (cosicché non si può escludere, quanto alla tecnica ICSI, che anche in questo centro nessun embrione o feto sia giunto alla nascita).

La relazione del Ministro della Salute al Parlamento relativa all’anno 2005, invece, non riporta dati suddivisi per classi di età delle donne.

In definitiva la evanescenza del limite relativo all’età della coppia e la mancanza di qualsiasi sanzione permettono ai vari centri di sottoporre alle pratiche di PMA anche coppie nelle quali la donna ha più di 40 anni, con percentuali di successo bassissime, grande numero di embrioni morti e grave sofferenza di molte delle coppie che si avvicinano con speranza alle strutture.

6. Un ulteriore requisito per l’accesso alle tecniche è quello soggettivo del matrimonio o della convivenza (articolo 5).

In conseguenza di una precisa scelta politica del legislatore (adottata dopo intense discussioni dal Parlamento), si è voluto impedire il ricorso alle tecniche a single, a coppie omosessuali, a coppie in cui il marito è morto e il cui seme è stato congelato: in sostanza la norma vuole far sì che il bambino creato con la procreazione assistita nasca all’interno di una famiglia tradizionalmente intesa. Così come il bambino che viene adottato – come dice la riforma del 2001 sulla legge sull’adozione – ha diritto a una famiglia, anche gli embrioni creati artificialmente devono avere lo stesso diritto a una famiglia.

Più in particolare, la legge pretende che il bambino nasca all’interno di una coppia costituita da uomo e donna, che siano effettivamente i suoi genitori biologici – con il conseguente divieto di fecondazione eterologa – e deve essere ospitato nel corso della gravidanza dal corpo della madre, con il divieto di surrogazione di maternità (quella pratica diffusa nei paesi anglosassoni in cui un embrione viene impiantato nel corpo di una donna che non è la madre su incarico di una coppia e dopo la nascita il bambino viene restituito alla coppia).

La legge sull’adozione prevede, però, requisiti rigorosi e severi controlli per realizzare il diritto ad una famiglia del bambino in stato di abbandono: prevede l’obbligo che i richiedenti siano coniugati da tre anni (o comunque coniugati e precedentemente conviventi da tre anni); la convivenza non deve essere mai stata interrotta; devono sussistere requisiti economici e “umani”, che vengono verificati con un’istruttoria che termina con il giudizio di idoneità del Tribunale per i Minorenni. Il bambino adottato andrà così a vivere in una famiglia e, pur restando il rischio che anche una coppia di adottanti possa dividersi, esso sarà tendenzialmente basso, perché si tratta di una coppia già solida e di cui è stata vagliata anche la serietà delle motivazioni.

La legge 40, invece, si limita a stabilire che alla fecondazione assistita possono accedere le coppie sposate o conviventi.

Quanto alle coppie di conviventi, il riconoscimento del diritto di accesso alla procreazione medicalmente assistita sembra anch’essa frutto di una scelta politica, nel senso che il legislatore ha ritenuto non discriminante come requisito quello dell’essere la coppia coniugata: in quanto scelta politica, ognuno può avere la sua opinione su di essa.

Ma il forte rischio è che, per il tramite della convivenza, si apra a soggetti o coppie cui si voleva impedire il ricorso alle tecniche, la possibilità di accedervi ugualmente.

Quando due persone sono conviventi? Dal momento in cui convivono – cioè vivono insieme, sotto lo stesso tetto – ma nulla la legge stabilisce circa un periodo minimo di convivenza precedente alla richiesta di accedere alla PMA .

Inoltre, come dicono esplicitamente le linee-guida, lo stato di convivenza deve essere autocertificato : il centro per la fertilità che abbia un dubbio sulla effettività della convivenza non ha nessun potere di indagine. D’altro canto, se non c’è nessun requisito di tempo pregresso, è molto difficile – nonostante esista una sanzione penale per le false dichiarazioni – affermare che i due soggetti che hanno autocertificato la loro convivenza hanno detto il falso: basterebbe, al limite, una modifica anagrafica dichiarata una settimana prima della richiesta di procreazione medicalmente assistita e nessuno potrà contestare l’effettiva convivenza; oppure, per maggiore sicurezza, le due persone potrebbero davvero andare a convivere effettivamente nella stessa casa per qualche giorno, senza che ovviamente nessuno possa sindacare quale tipo di convivenza si è instaurata.

Anche il prof. Flamigni, nel trattato sopra ricordato, afferma tranquillamente quanto si è appena argomentato: “Nello stesso modo, essendo autocertificata anche la convivenza, non vedo come le donne sole potranno essere tenute fuori dai laboratori, se solo avranno la furbizia di trovare un partner occasionale che accetti di essere loro ‘complice‘”. Si tratta, secondo Flamigni, di una delle “passerelle” presenti nella legge .

In sostanza, contro la volontà espressa dal legislatore, si renderà possibile, con qualche “furbizia”, l’accesso alle tecniche alle donne sole e alle coppie omosessuali, mediante l’utilizzo di conviventi “occasionali” che, al momento giusto, svaniranno: un altro paletto che viene meno.

7. Un ultimo divieto concernente l’accesso è quello della fecondazione eterologa .

Si tratta, senza dubbio, anche per l’eco che le discussioni parlamentari su questo argomento hanno avuto, di un punto qualificante della legge e verosimilmente la scelta del Parlamento ha riscosso il consenso di una grande maggioranza di cittadini. Analizziamo, allora, la regolamentazione di questo divieto.

In primo luogo si sancisce la non punibilità per la coppia che procede alla fecondazione eterologa contro il divieto di legge; anzi: per tutti i comportamenti vietati la coppia viene esplicitamente sollevata da qualsiasi sanzione : e qui ci si deve interrogare sul motivo per cui soggetti che intendono assumere un ruolo di responsabilità, quello di genitore, sia nei confronti del figlio che della società, vengano ritenuti liberi di violare la legge; a questo interrogativo segue inevitabilmente quello relativo alla loro capacità di educare i figli e nonché amare considerazioni sulla capacità (dis)educativa dello Stato nei confronti dei suoi cittadini, in pratica sollecitati a violare la legge. In realtà, a parere di chi scrive, la scelta della legge per una totale impunità nei confronti degli aspiranti genitori fa intuire che la sterilità di coppia è stata considerata una condizione umanamente insopportabile ed è stata quindi trattata come se la coppia agisse in una sorta di stato di necessità: cosicché la pretesa di generare artificialmente i figli viene riconosciuto come diritto assoluto.

Ma questa condizione di non punibilità, combinata con le norme concernenti lo stato giuridico del nato, produce un effetto paradossale: il bambino che nascerà sarà infatti riconosciuto allo stato civile come figlio della coppia che ha effettuato la dichiarazione di volontà , mentre è previsto che il coniuge o il convivente che ha prestato il consenso alla fecondazione eterologa non possa disconoscere la propria paternità ed è impedita al donatore di gameti qualsiasi azione nei confronti del proprio figlio biologico . In pratica la coppia non solo non viene punita per aver proceduto ad una fecondazione eterologa, ma ottiene proprio il risultato a cui mirava: un figlio “proprio”, senza alcun rischio che lo stato del bambino venga messo in discussione.

Si stabilisce un divieto e si premia coloro che violano questo divieto.

Restano però le sanzioni amministrative per il medico e le case di cura, rischiose perché potrebbero portare alla sospensione e alla revoca dell’autorizzazione regionale e alla sospensione dall’esercizio della professione sanitaria .

Nelle linee-guida si rinviene, però, un’altra “passerella” (secondo la definizione di Flamigni): il seme maschile può essere raccolto anche al di fuori del centro e in questi casi l’uomo che porta al centro la provetta con il seme deve autocertificare che si tratta del suo seme . In questo modo il medico e il centro non rischiano nulla, perché hanno la dichiarazione che si tratta del seme dell’uomo. Né è pensabile che sorgano indagini sulla verità dell’autocertificazione perché la legge prevede che queste ricerche non vengano fatte, proprio a tutela dello stato del bambino che nascerà.

La conclusione è che si può procedere tranquillamente a fecondazione eterologa nei centri di procreazione assistita senza nessun rischio, né per la coppia né per i centri stessi.

8. Brevissimi cenni sulla debolezza di altre due regole.

Quanto alla necessità di un consenso informato da parte della coppia che chiede di accedere alle tecniche (articoli 4 commi 2 e 6 della legge), la regola risponde ad un’esigenza reale di tutela della coppia che, prima di decidere se e in che misura sottoporsi a pratiche così delicate e invasive, dovrebbe avere ben chiaro il quadro delle opzioni disponibili e delle procedure: ma, come la pratica medica ampiamente conosce, l’esistenza di un fac-simile di un modulo di ben cinque pagine pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in calce al quale i richiedenti devono apporre la propria sottoscrizione, fa comprendere che la questione viene lasciata (quasi) interamente alla correttezza del medico, che deciderà in piena autonomia se e in quale misura informare davvero la coppia (ad esempio sui rischi alla salute della donna derivanti dalla stimolazione ormonale cui la stessa spesso verrà sottoposta).

Il principio di gradualità nell’applicazione delle tecniche è stabilito dall’articolo 4 e impone di “evitare il ricorso ad interventi aventi un grado di invasività tecnico e psicologico più gravoso per i destinatari, ispirandosi il principio della minore invasività”: il legislatore è infatti ben consapevole che alcune tecniche sono particolarmente “pesanti” sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista psicologico. In parole povere, per esemplificare, se il problema di infertilità può essere risolto mediante l’inseminazione artificiale (che è la tecnica meno invasiva), si dovrebbe evitare di procedere a tecniche di fecondazione extracorporea (FIVET, ICSI).

Rispetto a questo principio assolutamente condivisibile è stata palese la resistenza della categoria medica, in quanto la sua applicazione presuppone una valutazione della bontà delle scelte del medico: e così le linee guida, mentre, descrivendo le singole tecniche, richiamano “il principio … di utilizzare in prima istanza le opzioni terapeutiche più semplici, meno invasive e meno onerose”, nel paragrafo dedicato alla “Gradualità delle tecniche” rendono il principio inefficace: “Spetta al medico, secondo scienza e coscienza, definire la gradualità delle tecniche tenendo conto dell’età della donna, delle problematiche specifiche e dei rischi inerenti le singole tecniche sia per la donna che per il concepito, del tempo di ricerca della gravidanza e della specifica patologia diagnosticata nella coppia nel rispetto dei principi etici della coppia stessa ed in osservanza al dettato della legge”.

In sostanza si stabilisce che il giudice del rispetto del principio di gradualità è il medico stesso, cioè colui che dovrebbe rispettare la regola.

Ovviamente non si discute sulla necessità di riconoscere una discrezionalità del medico, tenuto conto della complessità e della delicatezza delle tecniche: ma è indubbio che, in questo modo, si è voluto eliminare un criterio per giudicare della correttezza delle decisioni adottate (criterio utile soprattutto – come si può facilmente intuire – nei casi in cui la procedura non avesse avuto successo, soprattutto se la donna avesse riportato lesioni o traumi).

Non è azzardato concludere che, su questo punto, ha prevalso una logica di tutela corporativa.

9. Si deve affrontare, a questo punto, il tema della tutela dell’embrione.

Non si può dimenticare che, all’articolo 1 comma 1, la legge 40 “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”: quindi riconosce il concepito come soggetto e lo riconosce titolare di diritti. Si tratta di una norma che ha fatto gridare allo scandalo tantissimi commentatori e politici e che, nonostante il severo giudizio sull’efficacia della legge anche sotto questo profilo, costituisce, a parere di chi scrive, un punto fermo che difficilmente sarà cancellato, perché nessuno aveva definito il concepito soggetto di diritto .

Destinata alla difesa della vita è la regola del numero massimo di embrioni producibili: “Le tecniche di produzione degli embrioni … non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” (articolo 14 comma 2).

Si tratta di un limite che incide sul modo di operare di coloro che applicano le tecniche di PMA: tendenzialmente l’operatore produceva il maggior numero possibile di embrioni, li selezionava mediante diagnosi preimpianto e decideva quali e quanti trasferirli, quali congelare, quali utilizzare per la sperimentazione, quali distruggere: tutto ciò non dovrebbe essere più possibile.

La domanda che ci si deve porre, ponendosi nell’ottica della tutela del diritto alla vita di tutti i concepiti, è la seguente: questa norma riduce il numero degli embrioni morti durante l’esecuzione delle tecniche?

Essa vuole senza dubbio fornire una possibilità di sopravvivenza a tutti gli embrioni prodotti (si ricordi che un embrione in vitro muore nell’arco di pochi giorni se non viene trasferito nell’utero della madre, a meno che non venga crioconservato) e vuole impedire che qualcuno di essi sia destinato alle pratiche uccisive degli sperimentatori o ad una condizione indefinita di vita congelata. Ma questa constatazione non rende superflua la domanda sul numero degli embrioni morti: perché – come già si è potuto notare con riferimento ai dati bassissimi di successo delle tecniche eseguite su donne di età abbastanza avanzata – è pacifico che le tecniche di procreazione medicalmente assistita comportino inevitabilmente la morte di numerosi embrioni in tre fasi della procedura: nella fase di coltivazione in vitro, nella fase immediatamente successiva al trasferimento in utero, a causa del mancato attecchimento e quindi della non instaurazione di una gravidanza, e infine nella fase della gravidanza, risultando i dati degli aborti spontanei superiori a quelli delle gravidanze instaurate naturalmente.

Gli operatori espongono a chiare lettere la percentuale degli insuccessi, più o meno alta a seconda delle tecniche utilizzate, delle patologie e, come si è già accennato, soprattutto dell’età della donna che vi si sottopone: ma la maggior parte degli insuccessi comporta, come si è detto, la morte di embrioni : la soluzione indicata (insieme al perfezionamento delle tecniche) è allora quella della ripetizione dei cicli.

L’alto numero di tentativi fa parte delle procedure ordinarie dei centri, come espresso dagli stessi ai potenziali clienti. Ad esempio il già citato Tecnobios, nell’introdurre i dati statistici sui risultati, ricorda che “i trattamenti possono essere ripetuti, con la possibilità di raggiungere una percentuale di gravidanza cumulativa, ossia derivante dalla somma di singoli trattamenti, sensibilmente più elevata”; la presentazione di Futura Diagnostica Medica, espone: “anche con la FIVET, qualora non si verifichi la gravidanza al primo tentativo, verranno valutate le singole fasi del trattamento e proposte le eventuali modifiche, ma generalmente la mancata gravidanza non è da ricondurre ad una risposta non ottimale alle varie fasi della procedura quanto piuttosto al mancato attecchimento degli embrioni (per motivi non ancora ben conosciuti). In questi casi verrà consigliato di ripetere il trattamento senza sostanziali modifiche confidando in una maggiore fortuna”.

Ovviamente la ripetizione dei tentativi può avvenire non solo all’interno dello stesso centro, ma in più centri diversi, poiché, come si è già accennato, la concorrenza tra i vari centri, pubblici e privati, in Italia e all’estero, è piena e libera. In sostanza la vicenda può proseguire a lungo, fino a quando la coppia riesce a sopportare lo stress sia fisico che soprattutto psicologico (ed è probabile che la resistenza allo stress sia aumentata dalla forza del desiderio di genitorialità che spinge i suoi componenti).

Un dato è particolarmente significativo: il servizio sanitario nazionale prevede il rimborso alle cliniche convenzionate di tre cicli: in sostanza il Ministero della Salute dà per presupposta la necessità della ripetizione dei tentativi; dà, cioè, per scontato che fino a nove embrioni possano morire legalmente mediante l’applicazione delle procedure previste dalla legge 40 e quindi è disposto a finanziare i tre tentativi (il rimborso consegue alla considerazione della infertilità di coppia come patologia e alla qualificazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita come cura di una patologia: inquadramento certamente discutibile, anche se non in questa sede).

In definitiva il numero degli embrioni morti in conseguenza dell’applicazione delle tecniche non diminuisce, o almeno non diminuisce grandemente rispetto all’epoca precedente.

Al contrario di quanto avveniva in precedenza, però, questo numero si può ora calcolare con la lettura dei dati raccolti a livello centrale. Quando sarà pienamente a regime il Registro Nazionale creato presso l’Istituto Superiore di Sanità questo numero dovrebbe essere calcolato con esattezza poiché i centri dovranno trasmettere i dati numerici (anonimi) relativi alle diverse fasi delle procedure: cicli iniziati e abbandonati, prelievi, transfer di embrioni e totale degli embrioni trasferiti, gravidanze instaurate e indicazione dell’essere le stesse singole, gemellari o trigemine, numero dei bambini nati ecc.

Ma già dalla relazione del Ministero della Salute al Parlamento relativa all’anno 2005 il dato può essere desunto, sia pure con una certa approssimazione: la relazione, infatti, ha riportato gli esiti di una ricerca condotta volontariamente nel 2004 da 129 centri che hanno operato con tecniche di II e III livello (quindi con tecniche di fecondazione extracorporea).

I dati principali sono i seguenti:

– pazienti trattati con tecniche a fresco (quindi senza considerare il dato dei trattamenti con embrioni scongelati e con ovociti scongelati): 18.178;

– numero di prelievi ovocitari: 20.233 (cui si devono aggiungere 3.060 cicli iniziati con lo scongelamento, di embrioni o di ovociti, quindi senza necessità di prelievo ovocitario: il numero complessivo dei cicli ammonta pertanto a 23.293);

– numero di trasferimenti embrionari: 21.201 (nel 61,9% dei casi il trasferimento è conseguito all’utilizzo della tecnica ICSI che, secondo la relazione, fornisce maggiori garanzie che l’ovocita fecondato maturi in embrione). Non è reso noto il dato concernente il numero degli embrioni trasferiti;

numero di gravidanze: 5.073

percentuale di aborti spontanei accertata: 21,7% (la percentuale riguarda le gravidanze che sono state monitorate fino al loro termine)

parti accertati: 3.141

bambini di cui è stata accertata la nascita: 3.705 (alcuni parti sono stati, infatti, gemellari o trigemini).

Sulla base di questi dati accertati si possono ricavare delle proiezioni, ovviamente discutibili.

Quanto al numero di embrioni trasferiti si può adottare un numero medio che tenga conto del limite massimo di tre embrioni producibili e, quindi, trasferibili, e del fatto che non sempre si riescono a fecondare tre ovociti: ipotizzando, quindi, che nel 15% dei casi sia stato trasferito un solo embrione e che, nel restante 85% dei casi, siano stati trasferiti due o tre embrioni (e quindi adottando per quell’85% una media di 2,5), il numero presumibile degli embrioni trasferiti in utero ammonta a 48.232.

Quanto ai bambini effettivamente nati, si deve tenere conto delle gravidanze che si sono perse al follow up, cioè di quelle per le quali le cliniche hanno perso il contatto con la donna dopo che la gravidanza si è instaurata: ipotizzando la stessa percentuale di aborti spontanei riscontrata nelle gravidanze monitorate e lo stesso numero di parti gemellari e trigemini, si possono ipotizzare altri 882 bambini nati; il numero complessivo presumibile dei bambini nati ammonta pertanto a 4.587.

Il numero presumibile degli embrioni morti dopo il trasferimento può, quindi, essere calcolato in 43.645 (sottraendo al numero degli embrioni trasferiti il numero dei bambini nati).

A questo numero deve essere aggiunto quello degli embrioni morti in vitro, cioè prima del trasferimento: ipotizzando una media di 0,5 embrioni morti per ogni prelievo (o ciclo iniziato con scongelamento di embrioni o di ovociti), si ottiene la cifra di 11.646 embrioni.

La somma presumibile di embrioni morti – nel solo anno 2004 – durante le procedure in questi 129 centri ammonta, pertanto, a 55.291.

Si è detto che la ricerca è stata eseguita su base volontaria. Si deve ricordare che, attualmente, i centri di secondo e terzo livello autorizzati dalle Regioni sono 196 , cosicché il dato sopra ricordato è certamente superiore nella realtà.

Sulla base di questi dati ognuno può trarre le proprie convinzioni sul fatto che la legge 40 assicuri davvero il rispetto dei diritti di tutti (cioè di ciascuno di essi) i concepiti.

10. Un’altra regola posta a tutela dei diritti del concepito è il divieto di sperimentazione sugli embrioni, sancito solennemente dall’articolo 13 comma 1: “È vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano” .

Si vuole quindi tutelare ciascun embrione nella fase delicatissima della coltura in vitro al termine della quale vi è l’obbligo di trasferimento nel corpo della madre.

La stessa legge, però, pone subito dopo un’eccezione alla regola: “La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso“; in sostanza è permessa la sperimentazione sull’embrione umano se effettuata per curarlo. Ma questo rende inefficace qualsiasi indagine sulle pratiche di sperimentazione: se, infatti, si scoprisse che in un centro sono state eseguite delle sperimentazioni sugli embrioni in vitro, la giustificazione potrà sempre essere quella delle finalità di cura degli embrioni malati, e sarà chi fa l’indagine a dover dimostrare il contrario (dimostrazione sostanzialmente impossibile).

La sanzione penale prevista per chi sperimenta sugli embrioni è, quindi, destinata a rimanere disapplicata (salvo casi eclatanti, quale la scoperta di una medesima sperimentazione su un alto numero di embrioni).

“Lavorare” sugli embrioni, quindi, non è affatto vietato dalla legge, nonostante le linee guida dispongano che “ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro … dovrà essere di tipo osservazionale” (cioè senza toccare l’embrione) .

Si dirà: ma la legge punisce l’uccisione degli embrioni (articolo 14 comma 1: “È vietata … la soppressione degli embrioni, salvo quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 )”; ma questa norma punisce solo la soppressione volontaria, non quella colposa, cioè conseguente a negligenza, imprudenza o imperizia (trattandosi di procedure complesse le ipotesi di morte per colpa dei medici o della struttura di un embrione in vitro possono essere innumerevoli, prima fra tutte la violazione delle procedure e dei protocolli dettati in relazione a ciascuna metodica).

Ciò provocherà un ulteriore effetto: renderà molto più difficile, se non impossibile, punire anche la soppressione volontaria, perché, nel caso di morte di un embrione, gli inquirenti dovranno dimostrare che essa è stata voluta e perseguita dal medico (il quale si potrà sempre difendere invocando la colpa).

Non esiste, quindi, l’embrionicidio colposo, ma sostanzialmente non sarà punito il reato di uccisione di embrioni.

Anche l’obbligo di trasferimento nel corpo della madre di tutti gli embrioni creati è regola, come si è detto, diretta a tutelare la loro vita .

Anche per questa regola, però, viene subito stabilita l’eccezione all’obbligo di trasferimento, con conseguente autorizzazione al congelamento degli embrioni, “qualora il trasferimento nell’utero non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione” (comma 3).

Quanto si estenderà l’eccezione? Lo mostreranno i dati raccolti dal Registro Nazionale. Non si deve dimenticare che vi saranno altri casi in cui, contro il divieto della legge, gli embrioni verranno congelati, vale a dire quelli nei quali la donna rifiuterà il trasferimento, una volta informata dello stato di salute precario dell’embrione, come è suo diritto (comma 5); d’altro canto – e ovviamente – non sarà possibile un trasferimento coattivo, come sancito espressamente dalle linee guida, perché contrario alla dignità della donna stessa (un trasferimento coattivo sarebbe, comunque, del tutto inutile perché la donna potrebbe abortire volontariamente subito dopo mediante la legge 194/78).

Non sembra un caso che le linee guida, nell’indicare i requisiti strutturali richiesti per tutti i centri che effettuano fecondazione in vitro, dispongano che essi debbano dotarsi di attrezzature adeguate per la crioconservazione degli embrioni (fra l’altro surrettiziamente recependo il concetto di “termine di conservazione degli embrioni”: come è noto recentemente si è tentato di sostenere che, scaduto detto termine, poiché gli embrioni non hanno più le caratteristiche per essere impiantati – circostanza smentita da eventi recenti – essi devono essere considerati “sostanzialmente morti” e quindi possono essere utilizzati per la ricerca; l’obbiettivo dei ricercatori sono probabilmente gli embrioni congelati prima dell’entrata in vigore della legge 40, considerati “in stato di abbandono” e destinati ad essere concentrati in un’unica struttura a Milano).

11. In realtà sembra che esista un enorme “buco nero” relativo alla tutela dell’embrione,

un vuoto di informazioni e di garanzie che riguarda il lasso di tempo tra il momento in cui esso viene creato e immesso in provetta a quello in cui viene trasferito nel corpo della donna. I dati statistici già menzionati indicano alcuni eventi in successione cronologica: stimolazione, ciclo, prelievo degli ovociti, trasferimento in utero, gravidanza, parto: sono scarsissimi (almeno attualmente) i dati su quello che succede a partire dal prelievo dal corpo della donna degli ovociti: la relazione ministeriale si limita a menzionare le complicanze per la donna ai prelievi (1,3% dei prelievi).

Nella presentazione di due delle case di cura più volte menzionate si fa, invece, riferimento, in un caso, alla scelta degli ovociti da fecondare (Tecnobios: vengono scelti gli ovociti più maturi, non soltanto in metafase II, ma anche con citoplasma migliore, cumulo più espanso e corona più raggiata); nell’altro, più esplicitamente, alla percentuale di fertilizzazione, vale a dire al numero di ovociti per i quali si riscontra un successo del tentativo di fecondazione (Futura Diagnostica Medica: la percentuale di fertilizzazione è salita all’82,3%; anche in questo caso il motivo è che “il personale biologico si trova a poter scegliere tra gli ovociti raccolti dopo il prelievo ovocitario quelli di qualità migliore che avranno quindi maggiore possibilità di essere fecondati dagli spermatozoi”).

Su quello che avviene agli embrioni in provetta, nessuna notizia.

Come è noto le linee guida hanno vietato la diagnosi genetica preimpianto : ma questo divieto viene rispettato?

Si deve qui evidenziare un dato statistico anomalo molto preoccupante.

Nel presentare i risultati delle varie tecniche, i successi vengono per lo più calcolati nel rapporto tra il numero di pick-up (prelievi) ovocitari e il numero di gravidanze instaurate: un criterio ragionevole e anche facilmente comprensibile (che può essere integrato da una parte con il numero dei cicli interrotti o che comunque non hanno dato luogo al prelievo degli ovociti, dall’altra dal numero degli aborti spontanei).

Questo dato permette una comparazione tra i vari centri: ad esempio il centro Tecnobios (che, come si è detto, è quello che espone i dati in maniera più ampia e dettagliata) evidenzia che, per merito dell’impegno e delle capacità degli operatori nonché dei progressi scientifici, il dato è passato dal 19,3% del 2004 al 21,7% del 2005, con un aumento di due punti e mezzo (ogni 100 operazioni di prelievo degli ovociti dal corpo della donna sono state instaurate 21 – 22 gravidanze).

Si tratta di dato corrispondente a quello nazionale: dalla relazione del Ministro si deduce che, nel 2004, la percentuale di successi sarebbe stata del 22,9% (si ricordi che il Ministero espone dati riferiti dai centri senza averli potuti controllare).

Dai dati di Futura Diagnostica Medica si deduce invece solo il rapporto tra transfer e gravidanze, pari al 28,7%; poiché non a tutti i prelievi ovocitari consegue il trasferimento degli embrioni, il dato appare compatibile con quello nazionale e con quello di Tecnobios.

Già sorge qualche dubbio sulla congruità dei dati di Arc-Ster: nel 2004 il rapporto prelievi – gravidanze sarebbe stato del 34,56% dei casi (162 prelievi, 56 gravidanze): 13 punti percentuali in più di Tecnobios!

Che dire, allora, dei risultati di un altro centro, il Centro Genesis di Roma, il cui direttore è il prof. Claudio Manna , che espone: “I risultati del nostro lavoro, che sono stati sempre elevati, migliorano continuamente. Il modo più usato per esprimerli è la “percentuale di gravidanze cliniche (cioè quando si riscontra il battito cardiaco del feto) per prelievi ovocitari (pick up) effettuati. … Le percentuali di gravidanze vengono suddivise anche per fasce di età e variano dal 34,7% al 42,8%. Anche nelle pazienti dai 38 ai 43 anni i nostri risultati sono molto buoni: 35,7%. Negli ultimi sei mesi abbiamo apportato numerosi miglioramenti alle nostre tecniche: in tali casi, riguardanti tutte le fasce di età (anche 41 anni), la percentuale di gravidanze ottenute è del 55,5%, che riteniamo sia la nostra attuale e reale tendenza”.

La differenza rispetto agli altri dati (quello, preso ad esempio, della Tecnobios, un centro di indiscussa serietà, e quello risultato dalla ricerca del Ministero della Sanità) è assolutamente sorprendente e quindi – si tratta di metodiche scientifiche! – decisamente sospetta o inverosimile. Già il dato di partenza (fino al 42,8%) corrisponde al doppio del dato di riferimento; il dato relativo alla classe 38 – 43 anni esposto dal dr. Manna (35,7%) è oltre tre volte superiore al dato della Tecnobios relativo alle classi di età da 39 anni in su ; il dato finale, poi (il 55,5%), è addirittura 2,5 superiore al dato della Tecnobios (che, si ricordi, si vanta di avere migliorato il dato dal 19,3% al 21,7%).

Come ha fatto il centro del dr. Manna a raggiungere questo risultato? E, soprattutto: cosa è cambiato in questi ultimi sei mesi? Le spiegazioni che si ricavano dal materiale presente nel sito internet sono di tre tipi: la prima è quella di un monitoraggio attento della stimolazione, cui consegue un numero più alto di interruzioni della procedura senza procedere al prelievo degli ovociti, ritenuto inutile; la seconda è una procedura particolare di “nutrimento” degli ovociti in vitro, mediante trasferimento “di una certa quantità di citoplasma proveniente da un ovocita buono (di un’altra donna, in genere più giovane) in quello di cattiva qualità”: procedura che il dr. Manna ritiene “bioeticamente valida” in quanto non viene trasferito il materiale genetico dell’altro ovocita, ma solo le sostanze nutritive.

La terza giustificazione – che è quella che qui si intende evidenziare – si ricava dal librettino “Procreazione medicalmente assistita nella realtà” che si può scaricare dallo stesso sito. Si parte dalla descrizione della fecondazione, sia naturale che artificiale: “La fecondazione è un lungo processo che dura circa 20 ore … in 30 minuti uno spermatozoo … penetra all’interno dell’ovocita; dopo alcune ore sono ben visibili il pronucleo maschile e il pronucleo femminile che, separati nettamente e ben delimitati tra loro, contengono rispettivamente i cromosomi dell’ovocita e quelli dello spermatozoo. Questa condizione permane per circa 15 ore. Poi i due pronuclei si avvicinano, si toccano e scompaiono le membrane che li delimitano; quindi i cromosomi del pronucleo paterno e quelli del pronucleo materno si cercano e si fondono per dare vita ad un individuo unico ed inscindibile, lo zigote. E’ terminata la fecondazione. Dopo alcune ore lo zigote si divide in due cellule circondate dallo stesso involucro traslucido (zona pellucida) che apparteneva all’ovocita: si è formato l’embrione”; e ancora, in relazione alla tecnica FIVET: “successivamente gli ovociti vengono inseminati ossia vengono messi a contatto con gli spermatozoi … Con l’ingresso di uno spermatozoo nell’ovocita inizia il lungo processo di fecondazione che dopo circa 20 ore porterà alla fusione del pronucleo materno e di quello paterno: a seguito di ciò si forma lo zigote, cioè l’embrione costituito da una sola cellula”.

Ecco che l’embrione compare solo al termine del lungo processo di fecondazione: un processo che può essere ancora più lungo delle 20 ore indicate per la FIVET: con riferimento alla tecnica ICSI, infatti, si afferma che “dopo circa 36 ore (dall’inserimento dello spermatozoo nell’ovocita) si formano gli embrioni …”.

Come definisce, allora, lo stato successivo all’ingresso dello spermatozoo nella zona pellucida e precedente alla fusione dei pronuclei paterni e materni? Ovociti pronucleati. Si tratta di una riedizione della tesi secondo cui gli ootidi non possono essere considerati embrioni ai fini della legge, di cui è massimo sostenitore il prof. Flamigni e che ha dato origine anche ad una proposta di legge di modifica della legge 40, nella quale, appunto, si proponeva di non considerare gli ootidi come concepiti: la differenza è che Flamigni sostiene questa proposta pubblicamente, mentre Manna – se si è compreso bene – la applica.

E infatti, come si ricava dal trattato del dr. Manna, egli non seleziona gli ovociti (come invece, pare, fanno sia la Tecnobios e la Futura Diagnostica medica, che scelgono di fecondare gli ovociti più maturi o di qualità migliore), ma gli ovociti pronucleati: cioè ovociti al cui interno è già entrato lo spermatozoo (spontaneamente o inserito con una pipetta nella tecnica ICSI), che contengono, quindi, già un patrimonio genetico unico e nei quali si è già avviato quel processo di crescita ed evoluzione che, se non sarà interrotto, porterà alla nascita di un bambino. Ecco, infatti, come il Manna riscrive la legge 40: “La legge 40 non vieta l’uso della Diagnosi preimpianto ma l’eventuale soppressione degli embrioni malati. Non è necessario, però, ricorrere alla Diagnosi preimpianto per diagnosticare le malattie genetiche di cui possono essere portatori i componenti della coppia. Infatti le stesse informazioni si trovano nei globuli polari degli ovociti (quelli maturi e quelli pronucleati). In quei casi particolari si può fare, cioè, la Diagnosi prefecondazione prelevando il Globulo polare dell’ovocita che verrà fecondato solo se non risulta portatore dell’anomalia. Inoltre l’indagine sui globuli polari potrebbe addirittura selezionare gli ovociti migliori da fecondare. Pur applicando la legge 40, pertanto, è possibile evitare la formazione ed il trasferimento di embrioni malati nelle coppie infertili”.

Analoga riscrittura subisce il divieto di congelamento degli embrioni: “La soluzione (al divieto di congelamento degli embrioni) però, può venire dalla crioconservazione degli ovociti specialmente allo stadio di pronuclei (prima, cioè, che la fecondazione sia conclusa). L’uso degli ovociti allo stadio di pronuclei consente ottimi risultati in termini di bambini nati ed è una tecnica sicura perché ampiamente sperimentata … Sembra anzi che la crioconservazione sia più efficace con gli ovociti pronucleati che con gli embrioni. La crioconservazione degli ovociti maturi (prima che inizi, cioè, il processo di fecondazione) è, invece, di introduzione più recente perché più complessa “; “La crioconservazione degli ovociti allo stadio di pronuclei ci consente, peraltro, di sostituire in modo efficiente e sicuro quello degli embrioni … La pratica di crioconservare gli ovociti allo stadio di pronuclei darebbe, infine, la certezza di salvaguardare al 100% i risultati della procreazione medicalmente assistita e contemporaneamente il destino degli embrioni”.

Si tratta di affermazioni (e di pratica) palesemente contrarie alla volontà della legge, fatte (e applicata) senza alcuna conseguenza negativa: d’altro canto, se le sanzioni penali colpiscono la sperimentazione, il congelamento e la soppressione di embrioni e se, nella terminologia medica, con l’espressione “embrione”, si intende il concepito in una determinata fase dello sviluppo, forse il dr. Manna ha previsto esattamente che pratiche di questo genere non saranno punite …

In definitiva: la fase di coltura degli embrioni è sottratta ad ogni effettivo controllo, non solo perché un tale controllo è praticamente impossibile, ma anche in quanto le minacce di sanzione sembrano niente più che grida manzoniane.

12. In definitiva: la legge 40 funziona?

La domanda è legittima perché recentemente la diffusione di alcuni dati ha fatto esultare coloro che avevano con convinzione e vittoriosamente sostenuto l’astensione al referendum abrogativo promosso nei confronti della legge .

Ovviamente, per valutare se una legge “funziona”, occorre avere ben presenti gli obbiettivi che il Parlamento intendeva perseguire approvandola. Nel caso della legge 40 la lettura complessiva indica che il legislatore voleva sì consentire le pratiche di procreazione medicalmente assistita, ma solo in casi estremi (solo per la cura della sterilità di coppia e solo in assenza di rimedi diversi), ad un numero ristretto di persone (solo coppie maggiorenni eterosessuali, entrambi viventi, maggiorenni, non troppo anziane) e con il divieto di determinate soluzioni (il divieto di fecondazione eterologa, che di fatto dovrebbe impedire l’accesso alle tecniche a coppie in cui uno dei componenti è totalmente e irrimediabilmente sterile).

Verrebbe, quindi, da pensare: la legge 40 “funziona” se i casi di ricorso alle tecniche sono molto limitati; paradossalmente, se davvero questa legge è così rigorosa, un sintomo del suo funzionamento dovrebbe essere costituito dal cd. turismo procreativo (le coppie vanno all’estero perché non possono fare fecondazione artificiale in Italia). E invece negli articoli sopra ricordati si evidenzia proprio il dato opposto: nel riferire i dati resi noti dalla Regione Toscana, il giornalista riferisce che “l’elemento più significativo riguarda la fecondazione in vitro: dalle 803 del 2003, l’ultimo anno in cui non esisteva alcuna regolamentazione, si è passati ai 1.425 del 2004, primo anno di approvazione della legge, fino ai 1.897 del 2005. Dunque un raddoppio, e oltre, degli interventi, e nessun segno di quel crollo del ricorso alla procreazione assistita che era stato annunciato dai detrattori della legge 40 …”.

In realtà, per quello che si è fin qui argomentato, l’aumento del ricorso alla procreazione assistita non stupisce davvero: nessun limite efficace all’accesso, garanzia di impunità, “passerelle”, assoluta libertà degli operatori e, perché no, garanzia del finanziamento pubblico.

Su quest’ultimo punto i dati della Regione Toscana dimostrano che la legge “funziona” molto bene: nel 2005 quella Regione ha erogato per le pratiche FIVET e ICSI euro 3.463.314, di cui più o meno euro 700.000 a centri privati.

Ci sono in realtà ben altri modi per far funzionare una legge. Un esempio lo fornisce la legge 20/7/2004 n. 189 contenente “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali …”: legge approvata pochi mesi dopo la legge 40. La legge punisce severamente le condotte crudeli verso gli animali fino a giungere a punire con la reclusione da tre a diciotto mesi chiunque, per crudeltà e senza necessità, cagiona la morte di un animale (art. 544 bis c.p.).

Una recentissima sentenza della Cassazione apre lo squarcio su una vicenda a dir poco grottesca: un uomo, denunciato con l’accusa di maltrattamento di animali all’inizio del 2004 poiché accompagnava a passeggiare un cane meticcio malato, poi morto, per il sospetto che quelle passeggiate potessero aver cagionato, o affrettato la morte, alla fine del 2006 non aveva ancora visto finire la sua vicenda processuale (che probabilmente è ancora in corso): infatti, dopo una prima archiviazione da parte del G.I.P. su richiesta del P.M., la sezione locale dell’Associazione Nazionale per la Protezione degli Animali (A.N.P.A.) aveva chiesto la riapertura delle indagini (si ricordi: il cane era già morto da tempo); il P.M., ritenendo che non ve ne fosse necessità, aveva nuovamente chiesto l’archiviazione, poi disposta dal G.I.P. (11/1/2005); l’A.N.P.A., allora, aveva proposto ricorso per cassazione contro il decreto del G.I.P. deducendo di non essere stata avvisata della richiesta di archiviazione; davanti alla Corte di Cassazione a Roma, l’indagato (che evidentemente iniziava a preoccuparsi …) aveva nominato un avvocato (con le spese conseguenti). La Cassazione, con la sentenza ricordata, ha dato ragione al ricorso dell’A.N.P.A. e ha restituito gli atti al P.M. che, evidentemente, a questo punto dovrà (dopo tre anni …) fare qualche indagine.

A parte la valutazione dell’intera vicenda, interessante è notare che la Cassazione fonda la sua decisione sul fatto che la legge 189 attribuisce un ruolo particolare agli enti di tutela degli animali (che dovrebbero essere iscritti in un elenco ministeriale non ancora approvato), cosicché questi enti possono agire nel processo come se fossero persona offesa.

Ecco un modo, come si vede (fin troppo) efficace, per garantire davvero la tutela degli animali maltrattati o uccisi; ma il legislatore che ha regolato la procreazione medicalmente assistita non ha avuto la fantasia di tutelare nello stesso modo (o in altri) gli embrioni in vitro …

Note

1) Articolo 12 comma 7: “Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da euro 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresì, con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione”

2) Articolo 12 comma 6: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni … è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”

3) Articolo 13 comma 3: “Sono comunque vietati: … c)interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi, sia a fini procreativi che di ricerca; d) la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzioni di ibridi o di chimere”. La pena per le violazioni è da due a nove anni di reclusione e da 50.000 a 225.000 euro di multa.

4) Le linee guida sono state approvate con Decreto del Ministro della Salute 21/7/2004 (Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16/8/2004).

5) htpp://www.iss.it/rpma/

6) Articolo 13 comma 3: “Sono comunque vietati … a) la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione o comunque a fini diversi da quello previsto dalla presente legge”. La violazione è punita con la reclusione da due a nove anni e con la multa da 50.000 a 225.000 euro.

7) Linee guida: “Certificazione di infertilità”: “Certificazione dello stato di infertilità: può essere effettuata da ogni medico abilitato all’esercizio della professione. Certificazione dello stato di infertilità per l’accesso alle tecniche di riproduzione assistita: viene effettuata dagli specialisti del centro (per le patologie femminili il ginecologo; per le patologie maschili l’andrologo o l’urologo con competenze andrologiche), una volta assicurati i criteri diagnostici e di gradualità terapeutica”.

8) Articolo 6 comma 1: “Alla coppia deve essere prospettata la possibilità di ricorrere a procedure di adozione o di affidamento … come alternativa alla procreazione medicalmente assistita”

9) Linee Guida, Introduzione: “Viene definita sterilità (infertilità) l’assenza di concepimento, oltre ai casi di patologia riconosciuta, dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali non protetti. Tutte le coppie che non ottengono gravidanza nei termini sopra definiti costituiscono la popolazione delle coppie infertili”. Fra l’altro, a rendere ancora più labile il limite, le linee guida includono tra le coppie infertili anche “le coppie subfertili, per ragioni biologiche o per ripetuta abortività spontanea”: si tratta, in questo caso, di una chiara violazione della legge.

10) Carlo Flamigni, Fecondazione assistita e momento del concepimento, estratto da “La procreazione medicalmente assistita”, a cura di Alfonso Celotto, Nicolò Zanon, 11 – 22, Franco Angeli, Milano, 2004. Il sito è il seguente: htpp://www.carloflamigni.it/

11) “Figli sani? Selezionando gameti e non embrioni”, di Antonello Mura, intervista con Licinio Contu, genetista, Avvenire, 26/10/2006, supplemento “E’ vita”, pagina 3

12) Ciò che rende ancora più sorprendente l’intervista e che dimostra quanto poco siano tenuti in conto dagli operatori i divieti posti dalla legge 40 è osservare che la tecnica sopra descritta, oltre a prevedere la procreazione medicalmente assistita per le coppie fertili, viola anche il divieto di selezione dei gameti a scopo eugenetico ovvero allo scopo di predeterminare le caratteristiche genetiche dell’embrione: articolo 13, comma 3 lettera b): “Sono comunque vietati … ogni forma di selezione a scopo eugenetico … dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione … siano diretti a … predeterminarne (riferito all’embrione) caratteristiche genetiche”. Le violazioni sono punite con la reclusione da due a nove anni di reclusione e con la multa da euro 50.000 a euro 225.000. La legge, in effetti, giustamente equipara, vietandole entrambe, la selezione degli embrioni e la selezione dei gameti su base genetica, ritenendo entrambe le pratiche frutto della medesima mentalità e inevitabilmente orientate verso la discriminazione delle persone su base eugenetica: se il dr. Contu, infatti, dà per scontato che la tecnica proposta venga utilizzata per una malattia grave come la talassemia, di cui è specialista, è chiaro che essa è applicabile a qualunque tipo di malattia genetica o presunta o ritenuta tale secondo la convinzione di chi opera.

13) Secondo l’opinione di chi scrive

14) Articolo 5: “… possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”

15) La legge sull’adozione dei minori ha adottato, al contrario, un limite massimo aritmetico di distanza tra l’età degli adottanti e l’età dell’adottato, limite ritenuto illegittimo dalla Corte Costituzionale ma solo nell’ottica dell’interesse del minore adottato.

16) Il sito internet è il seguente: http://www.tecnobiosprocreazione.it . Il consulente scientifico è il già menzionato prof. Carlo Flamigni.

17) Tabella 9

18) Non è noto il dato degli embrioni creati ma solo di quelli trasferiti in utero dopo la coltivazione in vitro; non si può, quindi, ricavare il dato degli embrioni morti in vitro, prima del tentativo di trasferimento: è un tema che si affronterà nel prosieguo.

19) Tabella 7

20) Tabella 5, dati aggregati da chi scrive.

21) Tabella 12

22) Il sito internet è il seguente: http://www.arcster.it

23) Il sito internet è il seguente: http://www.futuradiagnosticamedica.it

24) Il sito internet è il seguente: http://www.hera.it

25) Niente stabilisce, d’altro canto, anche in relazione ad un periodo minimo decorso dalla data del matrimonio; come si è visto la legge sull’adozione indica un termine minimo di tre anni.

26) Articolo 12 comma 3 della legge: “Per l’accertamento dei requisiti di cui al comma 2 (tra i quali il rapporto di coniugio o di convivenza) il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti”. Linee guida, paragrafo relativo alle Indicazioni procedurali: “I requisiti previsti dal comma 3 dell’art. 12 vengono accertati dal medico che raccoglie l’autocertificazione dello stato di matrimonio o di convivenza della coppia”.

27) “L’opinione che mi sono fatto di questa legge è che chiunque l’abbia suggerita e scritta si è trovato in una situazione piuttosto complessa: ha dovuto … tenere sempre conto delle regole scritte nel catechismo cattolico, ha dovuto contemporaneamente fare in modo che ciò non apparisse troppo evidente, è anche stato costretto a tenere d’occhio la buona pratica clinica, le leggi vigenti in Europa e, perché no, la nostra Costituzione. Compito … al quale il legislatore ha ritenuto di poter provvedere costruendo, all’interno delle norme giuridiche, una serie di “passerelle” … utili (forse) per evitare certe amarezze, certe incongruenze e certe crudeltà che i cittadini (forse) non avrebbero apprezzato”.

28) Articolo 4 comma 3: “E’ vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo”.

29) Articolo 12 comma 8: “Non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1 (fecondazione eterologa), 2 (utilizzo di gamete di compagno deceduto, coppie di minorenni, coppie omosessuali, singles), 4 (tecniche applicate senza l’espressione solenne del consenso) e 5 (tecniche applicate in strutture non autorizzate o clandestine)”

30) Articolo 8: “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”

31) Articolo 9 comma 1 e 3

32) Come previsto espressamente dall’art. 12 commi 9 e 10 della legge.

33) La previsione è contenuta nella descrizione delle procedure di inseminazione artificiale, ma si applica a tutte le metodiche: “per i campioni seminali prodotti fuori dal centro i dati identificativi devono essere apposti sul contenitore dal soggetto interessato il quale deve fornire autocertificazione della consegna del proprio campione di liquido seminale controfirmata dall’operatore che accetta il campione”.

34) Non gli attribuisce soggettività giuridica, ma prende atto che si tratta di essere vivente della specie umana, che quindi non può che essere considerato soggetto.

35) La legge 194 del 1978 sull’aborto affermava che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio”. A prescindere dal paradosso insito nel fatto che la stessa legge permette l’aborto volontario – e quindi l’uccisione di innumerevoli feti – praticamente senza limiti, almeno nei primi novanta giorni di gravidanza (paradosso che, come si vedrà, accomuna quella legge alla legge 40 che qui si commenta), l’affermazione era più sfumata, poiché si parlava solo di “tutela” e non di “diritti” ed inoltre si faceva riferimento generico all’ “inizio della vita umana” e non, come la legge 40, al momento esatto del concepimento.

36) Con l’eccezione dei casi di interruzione del ciclo di stimolazione ormonale prima del prelievo degli ovociti e di mancata fertilizzazione in vitro degli ovociti prelevati.

37) Tabella 3.2.4., pag. 45 della Relazione

38) Tabella 3.26., pagina 48 della Relazione

39) Dato reperito nel sito internet del Registro Nazionale già ricordato

40) Le violazioni sono punite con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro nonché, per il medico, con la sospensione da uno a tre anni dall’esercizio professionale (articolo 13 commi 4 e 5).

41) Si deve precisare che, attualmente (per quello che è dato sapere), gli operatori di procreazione medicalmente assistita non conoscono, o non utilizzano, cure per gli embrioni malati; quando la diagnosi – osservazionale o meno – evidenzia un difetto l’embrione viene, nella pratica, scartato (cioè soppresso) e non curato. La previsione della legge che qui si commenta è quindi soprattutto rivolta al futuro, quando – e se – verranno sviluppate forme di cura, soprattutto di carattere genetico, nei confronti degli embrioni.

42) Le violazioni sono punite con la reclusione fino a tre anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro nonché con la sospensione fino ad un anno dall’esercizio professionale per il medico (articolo 14 commi 6 e 7)

43) Come si è visto l’articolo 14 comma 2 stabilisce l’obbligo di un “unico e contemporaneo impianto” di tutti gli embrioni prodotti; nel caso eccezionale di congelamento degli embrioni per motivi di salute della madre, il trasferimento (previo scongelamento) deve essere effettuato “non appena possibile” (articolo 14 comma 3).

44) Linee Guida, paragrafo sulle Misure a tutela dell’embrione: “È proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica”.

45) Il sito internet è il seguente: http://claudiomanna.it

46) Desumibili dalla tabella 5: 417 pick up e 47 gravidanze; dati aggregati da chi scrive

47) Il trattato sopra ricordato alla nota 10 ha, infatti, per oggetto proprio il “momento del concepimento”, considerato e descritto come fenomeno “complesso e dinamico” che “si verifica in un tempo relativamente lungo”.

48) Si tratta della tecnica applicata dal Centro Tecnobios e su cui sono note le ricerche della d.ssa Eleonora Porcu.

49) Avvenire, 23 settembre 2006, “La legge 40 funziona. Raddoppiati i risultati”, di Marina Corradi; Toscana Oggi, 24 settembre 2006, La legge 40 “funziona”:fecondazioni raddoppiate, di Simone Pitossi.

50) Forniti dalla Direzione Generale diritto alla salute e politiche di solidarietà: settore sistema informativo socio sanitario.

51) Cass. Sez. III pen., n. 34095 del 12/5/2006, imp. Novello