L’«UOMO-EMBRIONE»
BERSAGLIO DELLA CONTRACCEZIONE D’EMERGENZA
Angelo Serra
“Le gravidanze indesiderate sono comuni; ogni anno in tutto il mondo, circa 50 milioni sono interrotte. E’ stato calcolato che l’uso diffuso della contraccezione d’emergenza negli Stati Uniti potrebbe prevenire oltre 1 milione di aborti e 2 milioni di gravidanze non desiderate che terminano nella nascita di un bambino. Vari metodi di contraccezione d’emergenza sono disponibili”. Così iniziava, con un sottinteso senso di vittoria, un articolo, nel quale veniva presentata questa nuova via di controllo delle nascite, il suo significato e la sua importanza nella società del cosidetto «primo mondo», pubblicato nella nota rivista medica The New England Journal of Medicine il 9 ottobre 1997
La contraccezione chimica d’emergenza
Quelle espressioni si riferivano alla contraccezione chimica d’emergenza da eseguire nei casi di rapporto sessuale non protetto, definitivamente approvata negli Stati Uniti nel febbraio 1997 dalla FDA. I metodi più comuni sono due: il metodo Yuzpe estro-progestinico, in cui viene somministrata entro 72 ore dal rapporto non protetto una combinazione di contraccettivi orali (etinilestradiolo 100 mg e levonorgestrel 0,5 mg), e ripetuta 12 ore dopo; e il metodo progestinico in cui viene somministrata tra le 48-72 ore dal rapporto non protetto una dose di 0,75 mg di levonorgestrel, e ripetuta 12 ore dopo.
Il loro meccanismo d’azione non è ancora ben noto. Secondo alcuni non ci sono prove dirette che essi possano inibire o ritardare l’ovulazione, o impedire la fecondazione. E’ stata però dimostrata un’aumentata incidenza di gravidanze tubariche; ed “è verosimile – afferma Anne Glasier – che, come con lo strumento contraccettivo endouterino, questo metodo sia più adatto a prevenire gravidanze endouterine che intratubariche”. Affermazione confermata da un recentissimo più informato e dettagliato lavoro, nel quale viene esaminata la più ampia e recente letteratura in merito, che conclude: “I dati oggi sono altamente consistenti con l’ipotesi che i contraccettivi d’emergenza ormonali hanno un effetto post-fertilizzazione sull’endometrio” e “sostengono la posizione che l’uso della contraccezione d’emergenza non sempre inibisce l’ovulazione anche se usata in fase preovulatoria, e che essa può alterare sfavorevolmente la struttura endometriale, indipendentemente da quando essa viene usata nel ciclo, e con un effetto che dura per giorni”.
Un confronto della validità dei due metodi è stato eseguito da una Taskforce, che ha raccolto in 21 città di 14 nazioni, i risultati ottenuti su un campione di 1998 donne sane, con mestruazioni regolari e che non usavano contraccettivi ormonali, le quali avevano richiesto una contraccezione di emergenza dopo un rapporto non protetto: 1001 avevano ricevuto il trattamento con solo levonorgestrel, e 997 il trattamento Yuzpe; non si conobbe il risultato di 25 del primo gruppo e di 18 del secondo. I tassi di gravidanza calcolati furono rispettivamente di 1,1% nel primo gruppo (11/976) e di 3,2% (31/979) nel secondo gruppo. La proporzione delle gravidanze non giunte a termine, rispetto al numero atteso senza il trattamento, risultava del 85% nel gruppo trattato con solo levonorgestrel e del 57% nel gruppo trattato col regime Yuzpe. Sulla base di questi dati seguiva la conclusione che: “il trattamento con levonorgestrel era meglio tollerato e più efficiente di quello usualmente dato ((Yuzpe) nella contraccezione di emergenza. In ambedue i regimi, prima è dato il trattamento più sembra essere efficiente”.
La presentazione al pubblico
Prima ancora che la FDA, negli Stati Uniti, avesse approvato l’introduzione dei nuovi farmaci per la contraccezione d’emergenza, erano stati fatti enormi sforzi dal febbraio 1996 per informarne professionisti e pubblico attraverso una «24-hour telephone hot line» in inglese e spagnolo; informazione presto estesa attraverso siti Internet. Tipiche sono le affermazioni contenute in un programma educativo degli Stati Uniti diffuso dall’Office of Population Research dell’Università di Princeton.
Alla domanda: “Come agiscono i contraccettivi di emergenza?”, risponde: “A seconda del tempo del periodo mestruale nel quale esse si prendono, le pillole della contraccezione d’emergenza possono inibire o dilazionare l’ovulazione, inibire il percorso dell’ovulo e degli spermatozoi nella tuba, interferire con la fertilizzazione, o alterare l’endometrio, impedendo così l’impianto di un uovo fertilizzato”. Informazione, in realtà, troppo generica e vaga.
Alla domanda: “L’uso della contraccezione d’emergenza causa un aborto?”, risponde: “No, l’uso della contraccezione d’emergenza non causa un aborto. Infatti la contraccezione di emergenza previene la gravidanza e perciò riduce la necessità di indurre l’aborto. La scienza medica definisce l’inizio della gravidanza come l’impianto di un uovo fertilizzato nell’endometrio dell’utero di una donna. L’impianto inizia da cinque a sette giorni dopo la fertilizzazione (e si completa alcuni giorni più tardi). I contraccettivi di emergenza operano prima dell’impianto e non dopo che una donna è già gravida. Quando una donna è già gravida la contraccezione d’emergenza non agisce. La contraccezione d’emergenza è pure innocua al feto e alla madre”.
Questa risposta è, senza dubbio, suggerita da medici e studiosi interessati alla prevenzione delle nascite. La già citata A.Glasier, del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Edingburgh, conclude il suo lavoro con questa tipica sentenza, diventata ormai obsoleta: “La prevenzione della gravidanza prima dell’impianto è contraccezione e non aborto. L’intervento entro 72 ore dal rapporto non può essere considerato aborto perché l’impianto non può avvenire fino ad almeno sette giorni dall’ovulazione, e l’uovo è capace di essere fertilizzato solo per un periodo di circa 24 ore”. Anzi, D.E. Grimes insiste: “Anche se la contraccezione di emergenza operasse soltanto prevenendo l’impianto di uno zigote, non sarebbe abortivo. La gravidanza incomincia con l’impianto, non alla fertilizzazione. […] Ogni metodo di regolazione della fertilità che agisce prima dell’impianto non è un abortivo”.
Si può chiedere, a questo punto, se tutte le affermazioni sopra riportate – sia quelle fatte a livello informativo ed educativo, sia quelle fatte a livello scientifico – corrispondano a verità, o non rappresentino invece un linguaggio contraffatto per mascherare e nascondere la verità.
Linguaggio, in realtà, espressione di uno sconvolgimento mentale di scienziati e medici che, dominati da un senso di onnipotenza e divenuti preda di una tecnologia sempre più raffinata e prepotente ma senza legge, hanno perso il senso dei «valori» e della «responsabilità». Sconvolgimento giunto a mimetizzare, cioè a nascondere, la verità dell’embrione umano, riducendolo a un prodotto pseudoterapeutico vendibile, a un cumulo di cellule disorganizzato maneggiabile, a un prezioso strumento tecnologico usufruibile, pur di averlo nelle mani e poterlo trattare come l’embrione di un topino o di un animale da esperimento. Soltanto in questa visuale l’uomo-embrione poteva diventare il bersaglio della contraccezione d’emergenza. E lo è diventato!
La verità sull’embrione umano
Ma la vera scienza è ben lontana da questa opportunistica visione dell’embrione umano nei primi giorni della sua esistenza. Infatti la logica induzione dai dati offerti dalle scienze sperimentali sullo sviluppo embrionale umano conducono alla sola possibile affermazione che, a parte eventuali disturbi epistatici ed errori nel programma genetico, alla fusione dei due gameti un reale individuo umano inizia la sua propria esistenza, o ciclo vitale, durante il quale, date tutte le condizioni necessarie e sufficienti, realizzerà autonomamente tutte le potenzialità di cui lui/lei è intrinsecamente dotato. Pertanto, l’embrione vivente, a iniziare dalla fusione dei gameti, non è un mero accumulo di cellule disponibile, ma un reale individuo umano in sviluppo. Individuo che, come lo dimostra una corretta antropologia filosofica, ha la stessa dignità e gli stessi diritti fondamentali di ogni individuo umano, tra cui il diritto alla vita: dignità e diritti che sono indipendenti dall’età biologica e da qualsiasi altra condizione biologicamente o psicologicamente limitanti.
A questa conclusione era giunto anche il Comitato Warnock, voluto dal governo inglese al fine di esaminare i seri problemi della fertilizzazione in vitro e della pressante richiesta di consentire la sperimentazione sugli embrioni umani. Ecco le testuali affermazioni: “Poiché la temporizzazione dei differenti stadi dello sviluppo è critica, una volta che il processo dello sviluppo è iniziato, non c’è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro; tutti sono parte di un processo continuo, e se ciascuno non si realizza normalmente nel tempo giusto e nella sequenza esatta lo sviluppo ulteriore cessa. Perciò da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell’embrione, prima del quale l’embrione in vitro non sia da mantenere in vita”.
Si tratta, in realtà, di una auto-costruzione di un ben determinato individuo guidata, dal primo istante del suo apparire, da una legge intrinseca che stabilisce l’esecuzione di un piano secondo un programma ben definito scritto nel suo genoma. Legge e programma che stanno diventando sempre più definiti e incontestabili con il progresso delle ricerche. Proprio sulla base di nuovi dati i quali dimostrano, con piena evidenza, che già alla prima divisione dello zigote, cioè nel passaggio da una a due cellule, è definito il destino di ciascuna di esse e, in conseguenza, di tutti i tessuti del corpo, una recentissima presentazione portava il titolo: “Il tuo destino, dal primo giorno” e si concludeva con l’affermazioine: “Il piano corporeo dei mammiferi inizia ad essere posto dal momento del concepimento.[…] Ciò che è chiaro è che i biologi dello sviluppo non considerano più gli embrioni precoci di mammiferi come informi mucchi di cellule”.
Ne segue, logicamente, che impedire l’impianto di questo nuovo soggetto umano è ucciderlo nei primi giorni della sua esistenza. Il tempo del suo cammino nella tuba uterina è un prezioso tempo di uno straordinario dialogo con la madre, evidente a livello biochimico – e per questa anche a livello psicologico – per preparare il suo definitivo inserimento nell’utero. E’ proprio questo dialogo il quale dimostra che la «gravidanza» è iniziata al momento in cui l’uovo fecondato ha intrapreso il suo cammino nell’ampolla tubarica. Se questo dialogo manca non c’è «gravidanza», e il cammino fisiologico si riavvia verso un nuovo ciclo. Verità questa incontestabile che veniva formulata, da chi ne aveva chiara e non politicizzata evidenza: “Per il nuovo individuo la vita incomincia nell’ampolla della tuba uterina con l’atto della fertilizzazione”, così in un classico grande trattato di medicina; e nella notissima Chamber’s Encyclopaedia: “La gravidanza è il tempo in cui il feto si sviluppa nell’utero della madre, tra la fertilizzazione (concepimento) e il parto (nascita)”.
In conclusione, poiché la gravidanza, nel suo vero e pieno senso, inizia al concepimento, cioè alla formazione dello zigote o embrione monocellulare, impedire l’impianto in utero del nuovo soggetto umano al momento esatto quando, al sesto-settimo giorno raggiunto lo stadio di blastociste, dovrebbe in quello proseguire il suo sviluppo, significa interrompere la gravidanza stessa, cioè indurre l’aborto. E’ ovvio allora che, anche nel dubbio che in qualche singolo caso questo farmaco possa agire da contraccettivo, impedendo l’ovulazione o la fecondazione, la sola probabilità dell’aborto implica – in una corretta scelta etica – il non ricorso al farmaco.
Per un ritorno al vero amore
La tristissima realtà del rifiuto del figlio appena concepito continuerà ad estendersi, accompagnata e seguita da altri trattamenti medici e prodotti industriali atti a distruggere quanto prima possibile un nuova vita sbocciata e nel modo meno traumatico possibile. E’ uno dei tragici scenari dell’êra delle biotecnologie; êra che è stata delineata, con forte incisività, dal grande economista J. Rifkin in un recente volume «The biotech century», nel quale aveva cercato di approfondire l’analisi dell’influsso che le innovazioni scientifico-tecnologiche in corso potranno avere sulla società: “La rivoluzione – scrive – biotecnologica colpirà tutti gli aspetti della nostra vita. Il modo in cui mangiamo; il modo in cui ci fidanziamo e il modo in cui ci sposiamo; il modo in cui avremo i nostri figli; il modo in cui i nostri bambini vengono allevati ed educati; il modo in cui viviamo; il modo in cui ci impegnamo in politica; il modo in cui esprimiamo la nostra fede religiosa; il modo in cui percepiamo il mondo che ci circonda e il posto che in esso ci ritagliamo. Tutti gli aspetti della nostra realtà individuale e di quella parte di vita che dividiamo con gli altri saranno toccati e seriamente modificati nel secolo della biotecnologia”. E terminava con un richiamo onestamente forte: “La rivoluzione biotecnologica ci obbligherà a considerare molto attentamente i nostri valori più profondi e ci costringerà a porci di nuovo e seriamente la domanda fondamentale sul significato e lo scopo dell’esistenza. E questo potrebbe rappresentare il risultato più importante”.
In realtà sono proprio questi valori, che sono andati oscurandosi in una società abbagliata dalle conquiste scientifiche e tecnologiche che continueranno ad aumentare e, nello stesso tempo, piombata nell’oscurità di un pensiero dominato da un nichilismo e da un relativismo che aprono la via al più esasperato soggettivismo, il quale si oppone a qualsiasi riflessione sui valori. Nel sistema di pensiero scientifico-tecnologico, che oggi domina nella società, sono stati azzerati i valori di tre costanti fondamentali, indispensabili per una scienza, una tecnologia e una società veramente umane. Soltanto ridonando a queste costanti il loro valore si potrà ritornare alla famiglia oasi di amore.
1. La prima costante è l’«Uomo». Riconoscere e ridefinire il «vero valore» di questa costante e, di conseguenza, la dignità e i diritti dell’«Uomo» è l’esigenza fondamentale. A questa conoscenza richiamava Giovanni Paolo II, rivolgendosi nel 1994 ai partecipanti alla riunione plenaria dell’Accademia Pontificia delle Scienze: “Non bisogna lasciarsi affascinare dal mito del progresso, come se la possibilità di realizzare una ricerca o di mettere in opera una tecnica permettesse di qualificarle immediatamente di moralmente buone. La bontà morale si misura dal bene autentico che procura all’uomo considerato secondo la duplice dimensione corporale e spirituale (n.5). Quando l’uomo è in causa, i problemi superano il quadro della scienza, la quale non può rendere conto della trascendenza del soggetto, né evitare le leggi morali che derivano dalla posizione centrale e dalla dignità primordiale del soggetto nell’universo” (n. 6). Ma il valore di questa costante scienza e tecnologia non lo possono calcolare né stimare con le proprie metodologie. La dignità e i diritti di un soggetto umano non sono misurabili o valutabili dal numero delle cellule, dalla loro qualità o dalla loro integrità e funzionalità biologica. E’ necessario che lo scienziato, il tecnologo, in particolare il medico non restino chiusi nel loro sistema assiomatico riduttivo, ma si aprano alla luce del sistema «sapienziale», il quale introduce a un pensiero che viene dal profondo di noi stessi criticamente interrogato e approfondito attraverso la ragione che cerca la verità.
2. La seconda costante è la «Famiglia». La vita è trasmessa e si eredita. E’ una legge inscritta, nelle specie sessuate, nella stessa struttura biologica del maschio e della femmina. Ma, nella specie umana, la legge biologica cade sotto il controllo della mente e dello spirito, che elevano un impulso istintivo a una scelta libera, un impegno. Scelta e impegno che implicano tutte le forze spirituali di due cuori, due menti e due anime che si fondono in un unico sincero e profondo amore, il quale fiorisce nel dono della vita, il figlio.
Contro questo caposaldo fondamentale della «cultura della vita» è stata rivolta l’aggressione da parte della cultura scientista-tecnologica-nichilista. Le conseguenze sono impressionanti e rivelate da ricerche demografiche e sociologiche. Le prime denunciano una forte e crescente caduta dell’impegno: la media dei figli per donna in Italia è passata da 2,4 nel 1971 a 1,2 nel
1998. Ma ancora più preoccupanti sono le rilevazioni emerse dalle seconde, le quali denunciano l’affievolimento fino alla scomparsa della caratteristica del dono. Il grande sociologo P. Donati sottolinea: “La procreazione […] è diventata un bene di consumo relativo ad altri beni di consumo”; un “evento che ha i suoi rischi che si devono evitare e deve, quindi, essere ultracontrollato”. Di qui “la modernizzazione dei comportamenti procreativi per aver un figlio quando e come si vuole”. Il secondo, e più grave, passo di questo processo è la disintegrazione. La prima struttura della cellula-famiglia attorno a cui accade disorientamento, cedimento di legami e rottura di equilibri è il figlio. Lo esprime ancora, senza esitazioni e con chiarezza, P.Donati: “Dagli studi della coppia italiana emerge la tendenza – non poco significativa – a far virtualmente scomparire il figlio come rilevante per la coppia stessa. […] Il tema del figlio possibile diventa latente. In questa messa in latenza si può vedere il fatto che, nelle nuove generazioni, il figlio viene percepito come un elemento che trasforma la coppia in qualcos’altro. […] Ieri la coppia era pensata come famiglia. Oggi la coppia e la famiglia diventano cose sostanzialmente diverse. E il bambino, che ieri era un «prodotto naturale» della coppia, diventa l’espressione di qualcosa che la coppia non sente più di poter padroneggiare.[…] In tutto il dibattito sulla procreazione, anche di quella artificiale, nonostante l’apparenza inversa, i «grandi assenti» sono proprio i bambini”. E il mistero che, fino a una quarantina di anni fa, accompagnava la gravidanza ma lasciava alla madre e alla famiglia una serenità di fondo anche in presenza di gravi problemi, si è trasformato oggi in causa di ansia, di angoscia e spesso di rifiuto.
E’ perciò urgente ridonare alla famiglia il suo vero valore. Azione alla quale ha con forza e insistenza richiamato l’attenzione Giovanni Paolo II. Dopo aver ricordato nella Enciclica «Evangelium Vitae», che la famiglia “ha una responsabilità che scaturisce dalla sua stessa natura, quella di essere comunità di vita e di amore fondata sul matrimonio, e dalla sua missione di «custodire, rivelare e comunicare l’amore» (n.92), egli stesso nella lettera a chiusura dell’Anno Giubilare «Novo Millennio Ineunte»29 faceva un accorato appello per restituirle questo valore, cioè “la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore”. “Un’attenzione speciale – esortava – deve essere assicurata alla pastorale della famiglia, tanto più necessaria in un momento storico come il presente, che sta registrando una crisi diffusa e radicale di questa fondamentale istituzione.[…] La Chiesa non può cedere alle pressioni di una certa cultura, anche se diffusa e talvolta militante. Occorre piuttosto fare in modo che, attraverso un’educazione evangelica sempre più completa, le famiglie cristiane offrano un esempio convincente della possibilità di un matrimonio vissuto in modo pienamente conforme al disegno di Dio e alle vere esigenze della persona umana: di quella dei coniugi, e soprattutto di quella più fragile dei figli” (n. 47).
3. La terza costante è Dio. E’ sufficiente una sia pur sommaria conoscenza di antropologia culturale per affermare che il pensiero di un «Trascendente» – qualunque ne sia la forma e la natura – è stato sempre presente alla mente umana, e punto di riferimento per una norma di condotta umana. Basta pensare ai «Templi» presenti su tutta la faccia della terra. E’ una esigenza viva in ogni uomo, anche per chi lo nega, il quale fa di se stesso Dio. Si deve però riconoscere che la forza del retroterra culturale che ha portato alla negazione di Dio, non poteva non erodere questa profonda tendenza naturale al Trascendente, ed offuscarne la luce. L’espressione Nietzschiana «Dio è morto», nelle stesse chiarissime affermazioni e intenzioni del grande filosofo, osserva GD Mucci 30, “è assunta a simbolo del nichilismo e significa lo smarrimento del senso della trascendenza, l’annullamento dei valori collegati ad esso, l’irrilevanza della realtà metafisica, ossia degli ideali e valori supremi, la negazione che sia e debba essere il mondo metasensibile, concepito come essere in sé, causa e fine, a dare senso alla vita terrestre e alla vita dell’uomo”. Si comprende allora come l’azzeramento di questa costante porti, necessariamente, alla riduzione fino all’annullamento del valore delle altre due costanti. Ne segue che questa è la prima costante da ricuperare.
Ricuperare questi tre valori non è facile nella situazione culturale oggi predominante. Ben tre volte il Papa nell’Enciclica «Evangelium Vitae»31 lo sottolinea. “Ci troviamo di fronte ad una scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la «cultura della morte» e la «cultura della vita». Ci troviamo non solo «di fronte», ma necessariamente «in mezzo» a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita” (n.28). Ancora: “Di fronte alle innumerevolie gravi minacce alla vita presenti nel mondo contemporaneo, si potrebbe rimanere come sopraffatti dal senso di un’impotenza insuperabile: il bene non potrà mai avere la forza di vincere il male!” (n.29). Infine: “E’ certamente enorme la sproporzione che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti a sostegno della «cultura della morte» e quelli di cui dispongono i cultori di una «cultura della vita e dell’amore»” (n.100). Ma, con il coraggio che proviene dall’intima conoscenza di Chi rappresenta e del dovere che da Lui gli è stato
affidato, Giovanni Paolo II prosegue: “Ma noi sappiamo di poter confidare sull’aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile (cfr Mat. 19,26)” (ivi), e conclude con una pressante esortazione: “Ritroviamo, dunque, l’umiltà e il coraggio di pregare e digiunare, per ottenere che la forza che viene dall’Alto faccia crollare i muri di inganni e di menzogne che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell’amore” (ivi).
[1] A. GLASIER, Emergency postcoital contaception, The New England Journal of Medicine 1997, 337: 1058-1064, p.1058.
[2] A.A. YUZPE, R.P. SMITH, A. W. RADEMAKER, A multicenter clinical investigation employing ethinyl estradiol combined with dl-norgestrel as postcoital contraceptive agent, Fertility and Sterility 1982,37:508-513.
[3] R. RIVERA, I. YACOBSON, D. GRIMES, The mechanism of action of hormonal contraceptives and intrauterine contraceptive devices, American Journal of Obstetrics and Gynecology 1999, 181: 1263-1269.
[4] J.M. MORRIS, G. van WAGENEN: Interception: the use of postovulatory estrogens to prevent implantation, Am. J. Obstet. Gynecol, 1973,115: 101-106.
[5] A. GLASIER, cit., p.1059; P.C.HO, Emergency contraception, methods and efficacy, Current Opinion in Obstetrix and Gynecology 2000, 12:175-179.
[6] C. KAHLENBORN, J.B. STANFORD, W.L. LARIMORE, Postfertilization effect of hormonal emergency contraception, The Annals of Pharmacotherapy 2002, 36: 465-470.
[7] TASK FORCE ON POSTOVULATORY METHODS OF FERTILITY REGULATION, Randomised controlled trial of levonorgestrel versus the Yuzpe regimen of combined oral contraceptives for emergency contraception, Lancet 1998, 352: 428-433.
[8] A.J. WILCOX, C.R. WEINBERG, D.D. BAIRD, Timing of sexual intercourse in relation to ovulation. Effects on the probability of conception, survival of the pregnancy, and sex of the baby, New England Journal of Medicine 1995, 333: 1517-1521.
[9] IVI, p. 428.
[10] D.E. GRIMES, Emergency contraception – expanding opportunities for primary prevention, New England Journal of Medicine 1997, 337: 1078-1079.
[11] «Not-2-Late.com» – The emergency contraceptive Website, http://ec.princeton. edu/.
[12] A. GLASIER, Emergency postcoital contraception, cit., p.1063.
[13] D.E. GRIMES, Emergency contraception, cit., p.1078
[14] A. SERRA, L’embrione umano:« cumulo di cellule» o «individuo umano»?, La Civiltà Cattolica 2001 I, 348-362.
[15] R. LUCAS LUCAS, Antropologia e problemi bioetici, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, in particolare il cap. 5: L’embrione umano è “persona”, pp.90-118.
[16] DEPARTMENT OF HEALTH AND SOCIAL SECURITY, Report of the Committee of inquiring human fertilization and embryology, London, Her Majesty’s Stationary Office, 1984, p. 65.
[17] H. PEARSON, Your destiny from day one, Nature 2002, 418: 14-15.
[18] R. J. SCOTHORNE, Early development, in R. PASSMORE, J. S. ROBSON (eds), A companion to medical studies, Second edition, Blackwell Scientific Publications , Oxford 1976, vol.1, pp. 19.1-19.50, p. 19.1.
[19] T.N.A. JEFFCOATE, Pregnancy and childbirth, Chamber’s Encyclopaedia 1969, vol. XI, 169-171, p. 169.
[20] W.R. EWART, B.WINIKOFF, Toward safe and effective medical abortion, Science 1998, 281: 520-521; M. BALTER, For father of abortion drug, vindication at last, Science 2000, 290: 39; A. GLASIER, Contraception, past and future, Fertility, Supplement to Nature Cell Biology and Nature Medicine, October 2002, 3-6.
[21] RIFKIN J., The Biotech Century, Penguin Putnam, New York, 1998, trad.it. Il Secolo Biotech, Baldini e Castoldi, Milano 1998, p. 370.
[22] Ibidem.
[23] GD. MUCCI, L’assenza di Dio nel postmoderno, La Civiltà Cattolica 1997 II, 543-551; ID., Il nichilismo nell’enciclica «Fides et Ratio», IVI,1999 I, 359-369.
[24] GIOVANNI PAOLO II, Discorso del S. Padre ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, L’Osservatore Romano, 29 ottobre 1994.
[25]Cfr B. MARNIGA, Per una revisione critico-filosofica ed epistemologica della medicina contemporanea, Medicina e Morale, 1998, n.5, 989-1006; C. BRESCIANI, L’Humanum nelle situazioni di confine e la bioetica», Anthropotes, 1999, 5: 105-121.
[26] DONATI P., Trasformazioni socio-culturali della famiglia e comportamenti relativi alla procreazione, Medicina e Morale 1993, n. 43: 117-163.
[27] P. DONATI, cit., p. 132.
[28] GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica «Evangelium Vitae», Libreria Editrice Vaticana, 1995.
[29] GIOVANNI PAOLO II, Lettera «Novo Millennio Ineunte», Città del Vaticano, 6 gennaio 2001.
[30] GD. MUCCI, Le origini del nichilismo, La Civiltà Cattolica 1999 II: 31-44., p.3831 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica «Evangelium Vitae», cit.
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