L’embrione umano: «oggetto» o «persona»?
In questo periodo storico delle scienze biomediche e delle biotecnologie, l’embrione umano nei primissimi giorni dello sviluppo – quale ciascuno di noi è stato – è diventato un essere «contestato» e, purtroppo, «abusato». I dati, l’analisi e le riflessioni che seguiranno vorrebbero essere un contributo alla verifica della consistenza o inconsistenza del seguente dilemma: c’è o non c’è un periodo, sia pur breve, all’inizio dello sviluppo di un essere umano nel quale esso possa o debba essere considerato un «oggetto» e non un «soggetto umano» o, più precisamente ancora, una «persona»? Si metteranno in rilievo: prima di tutto, alcuni aspetti storici essenziali per comprendere il fulcro ed il significato di tale dilemma; poi, gli aspetti scientifici fondamentali per valutarne la portata; e, infine, la frattura etica che ne è seguita, ancora scomposta, e che si dovrebbe fare il possibile di ricomporre per il vero bene dell’umanità.
I passi della storia
Il 25 luglio 1978, dopo sette anni circa di «tentativi e fallimenti»1 – come si esprimeva lo stesso padre tecnico dell’evento – nasceva la prima bambina concepita in vitro2. Sette anni, preceduti da altri cinque di un intenso lavoro di ricerca che aveva portato R. G. Edwards3 e i suoi collaboratori ad avere nelle mani, nel 1971, la prime due blastocisti umane, cioè un insieme organizzato di circa 64-128 cellule apparentemente normali: l’embrione di circa 15 giorni. Da allora, il concepimento umano in vitro, nonostante una permanente atmosfera di forte tensione etica, si impose alla cultura come una conquista non solo scientificamente ma anche socialmente importante, ed è diventato ormai un dato di fatto nella storia della riproduzione umana. I gravi insuccessi della Fecondazione in Vitro (FIV), però, avevano costretto lo stesso R. G. Edwards a proporre nel 1982 il passaggio alla ricerca sugli embrioni umani: “Insisto sulla necessità di studiare la crescita in vitro per migliorare l’alleviamento della infertilità e delle malattie ereditarie e per approfondire altri problemi scientifici e clinici”4. La proposta, venne autorevolmente appoggiata da un Comitato del Medical Research Council5, e sostenuta da un Editoriale della nota rivista scientifica Nature6 nel quale si suggeriva che fosse concesso l’uso di embrioni per la ricerca, ma entro limiti di tempo rigorosamente stabiliti. La decisione definitiva venne dal Comitato Warnock, che era stato nominato dal Governo per esaminare tutto il problema della fecondazione in vitro e dell’embrione umano, e al capitolo XI concludeva: “Nonostante la nostra divisione su questo punto, la maggioranza di noi raccomanda che la legislazione dovrebbe disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del quattordicesimo giorno dalla fecondazione”7. Norma, che veniva definitivamente approvata dalle due Camere inglesi, con due terzi dei voti favorevoli, e definitivamente riconosciuta dalla legge pubblicata nel novembre 1990 con la firma della regina. Secondo questa legge, la ricerca poteva essere condotta su qualsiasi embrione umano risultante dalla fecondazione in vitro, qualunque fosse la sua provenienza; però soltanto sino al 14.mo giorno dalla fecondazione. Era stata così aperta la via alla ricerca sperimentale, legalmente protetta, sugli embrioni umani, diffusa ormai in tutto il mondo.
Il 6 novembre 1998 segnò un nuovo passo. Un gruppo di ricercatori della Wisconsin University a Madison negli Stati Uniti, sostenuti da fondi privati offerti dalla Geron Corp. of Menlo Park in California, pubblicavano un lavoro8 in cui si dimostrava la possibilità di ottenere dalle cellule della «Massa Cellulare Interna» (ICM) di embrioni umani, prelevate al quinto giorno circa dalla fecondazione, cellule pluripotenti non ancora differenziate, dette cellule staminali embrionali (ES). In realtà, come lo dimostravano ricerche precedenti eseguite in massima parte sul topo, esse avrebbero potuto dare origine, in seguito a differenziazione spontanea o indotta, a cellule dei più diversi tipi di tessuto. Sembrava di aver trovato, finalmente, una fonte inesauribile di cellule da cui derivare altre cellule – nervose, muscolari, epiteliali, ematiche ecc.- che, impiantate in organi malati con le dovute attenzioni per evitarne il rigetto, ne avrebbero consentito la riparazione, ridonando così la salute a soggetti affetti da gravi patologie, quali il Parkinson, l’Alzheimer, il diabete. A una considerazione esclusivamente scientifica e tecnologica, sembrava aprirsi una grande speranza per la medicina. Sotto le forti pressioni di scienziati, medici e pubblico, in Inghilterra il governo Blair nel 1999 nominava un Comitato per esaminare se avrebbero dovuto essere permesse nuove aree di ricerca su embrioni umani capaci di condurre a più ampie conoscenze su, ed eventualmente nuovi trattamenti di, tessuti o organi malati o danneggiati, e di malattie mitocondriali. Il 4 agosto 2000 era reso noto il testo definitivo del Documento preparato9. Vi si proponeva sostanzialmente il «sì» per due nuovi procedimenti, che estendevano l’uso di embrioni umani precoci a due nuovi campi di ricerca, precisamente: la produzione di cellule staminali embrionali e la cosiddetta clonazione terapeutica. Il 19 dicembre 2000 la House of Commons, con 366 voti a favore contro 174, e il 22 gennaio 2001 la House of Lords approvavano il testo governativo che autorizzava sia la derivazione delle cellule staminali da embrioni umani sia la clonazione terapeutica10. Era, così, legalmente approvato, in Inghilterra, un ulteriore passo nell’aggressione all’embrione umano: ridotto a prezioso strumento tecnologico sotto l’egida di una «buona azione» medica.
Il pre-embrione
Tuttavia, rimaneva sempre viva una fondamentale domanda dell’editoriale11 di Nature del 1982, cioè, “se embrioni umani viventi possono essere utilizzati per studi embriologici”. Domanda che spiega la lentezza e la differenza delle decisioni, le resistenze e i contrasti, a livello politico soprattutto, nelle nazioni dove maggiore è l’attività nel campo della «riproduzione medicalmente assistita». La risposta a questa domanda dipende, evidentemente, dallo stato etico che si attribuisce all’embrione precoce. Se gli fosse stato attribuito lo stato di individuo umano avrebbe potuto essere utilizzato per la ricerca, ma alle condizioni richieste per la sperimentazione su ogni altro individuo umano: il consenso personale; che non fosse messa in pericolo la sua vita; e che qualsiasi trattamento fosse esclusivamente a suo vantaggio. Queste condizioni avrebbero reso impossibile ogni sperimentazione sull’embrione umano. In realtà, le ricerche ritenute indispensabili non avrebbero consentito di rispettare quelle condizioni e, di conseguenza, sarebbero state violate le norme fondamentali della ricerca biomedica su esseri umani, emanate da Codici e Dichiarazioni internazionali, a partire dal Codice di Norimberga del 1947, e raccolte nelle Direttive Etiche Internazionali per la ricerca biomedica condotta su soggetti umani del 199312. Al fine, perciò, di poterla eseguire, sarebbe stato necessario negare all’embrione lo stato di «individuo umano». Lo fece l’embriologa del Comitato Warnock, A. McLaren, che nel 1986 lanciò apertamente in una lettura pubblica, e poi negli scritti, il termine di «pre-embrione». Queste sono le sue precise affermazioni: “Per i mammiferi sembra preferibile l’uso del termine «pre-embrione» o «concepito» per l’intero prodotto dell’uovo fertilizzato fino al termine dello stadio di impianto (circa 14 giorni dopo l’ovulazione nella specie umana), e di «embrione» per quella piccola parte del pre-embrione o concepito, che appare per la prima volta distinguibile allo stadio di stria primitiva, e si sviluppa poi nel feto”13. E, in una lettera a Nature, insisteva: “L’embrione non esiste durante le prime due settimane dopo la fertilizzazione”14. All’idea, predominante nel Comitato Warnock, che l’embrione nelle prime due settimane fosse da ritenere un vero soggetto umano, ma di minor valore rispetto ai benefici attesi dal suo uso per la sperimentazione e, quindi, per questa utilizzabili, veniva ora sostituito il termine equivoco e ingannevole di pre-embrione, cioè di una massa amorfa di cellule, alla quale doveva esser negato il titolo e, conseguentemente, la dignità e i diritti di ogni soggetto umano. Termine e concetto che furono accettati ciecamente non dagli embriologi, ma da quanti – soprattutto ricercatori, medici e politici – trovarono in esso l’opportunità per dichiarare eticamente buono e legittimo quanto il termine di «embrione» non avrebbe permesso.
Si era aperto, ovviamente, un contenzioso scientifico: per alcuni il pre-embrione doveva essere considerato un «cumulo di cellule» amorfo; per altri “il prefisso manca di ogni fondamento scientifico”15. Ė allora doveroso chiedersi se i dati che oggi abbiamo a disposizione, a un rigoroso esame a livello strettamente biologico, depongono per la prima o la seconda posizione, cioè se il ciclo vitale di un individuo umano inizia allo stadio di zigote o embrione unicellulare, oppure allo stadio di disco embrionale, al 14.mo giorno circa del suo sviluppo. Ė’ precisamente questo primo contenzioso – quello scientifico – che si deve risolvere, per offrire la possibilità di scelte etiche consapevoli, coerenti e responsabili nelle numerose nuove vie che si stanno aprendo alla ricerca su e con gli embrioni umani precoci.
I dati della scienza
Una rigorosa analisi delle principali tappe del processo dello sviluppo umano, durante le prime due settimane dalla fertilizzazione, permette di sciogliere il dilemma «oggetto» o «soggetto»; di definire, cioè, quando inizia il ciclo vitale di un «individuo umano». Uno sguardo sintetico ai numerosissimi dati oggi disponibili per questa analisi, offerti da estese ed approfondite ricerche da parte di seri e noti embriologi, porterà alla unica conclusione possibile.
1. Lo «zigote». Al termine del processo di fertilizzazione, il quale “consiste di parecchie tappe che si succedono in un modo obbligato»16, avviene – pare sotto azione delle fertiline a e b – la fusione di uno spermatozoo con un oocita, a cui segue entro secondi la reazione corticale che blocca l’accesso ad altri spermatozoi; e da quel momento, afferma P.M. Wassarman “inizia lo sviluppo di un nuovo individuo che presenta le caratteristiche della specie”17. Ne è primo indice una modificazione improvvisa della composizione ionica dell’uovo fertilizzato, dovuta principalmente a un aumento passeggero della concentrazione intracellulare di ioni Ca2+ sotto il controllo della oscillina18 una proteina paterna recentemente scoperta; modificazione che si diffonde in pochi secondi come un’onda, detta «onda calcio» (calcium wave), attraverso tutto l’uovo fertilizzato, segnalando la sua attivazione.
Questa nuova cellula è lo zigote, l’embrione unicellulare (one-cell embryo); una nuova cellula, diversa da quelle del padre e della madre, che inizia a operare come un nuovo sistema, cioè come una unità, un essere vivente ontologicamente uno, come ogni altra cellula in fase mitotica, ma con alcune peculiari proprietà. Due in particolare devono essere sottolineate: la prima, che ha una sua precisa identità, cioè non è un essere anonimo, ma è quel determinato soggetto umano che man mano si rivelerà durante il suo continuo sviluppo; la seconda, che è intrinsecamente orientato e determinato a un ben definito sviluppo. Identità e orientamento, che dipendono essenzialmente dal suo genoma o informazione genetica, che porta scritta nel suo DNA. In realtà questa informazione, sostanzialmente invariante, stabilisce la sua appartenenza alla specie umana e la sua identità biologica individuale, e porta un programma codificato che lo dota di enormi potenzialità morfogenetiche, cioè di capacità intrinseche che si attueranno in modo autonomo e graduale durante il processo di sviluppo rigorosamente orientato. Tra le molte attività coordinate di questa nuova cellula, durante un periodo di circa 20-25 ore, le più importanti sono: 1) la auto-organizzazione del nuovo genoma, che rappresenta il principale centro informativo per lo sviluppo del nuovo essere umano e di tutte le sue ulteriori attività; e 2) l’inizio del primo processo mitotico che porta all’embrione a due cellule (two-cell embryo).
Sulla prima attività si ferma a lungo S. F. Gilbert19, un classico della embriologia. Specifica: “Esiste un dialogo complesso tra l’ovocita e lo spermatozoo. L’ovocita attiva il metabolismo dello spermatozoo che è essenziale per la fertilizzazione, e lo spermatozoo reciproca attivando il metabolismo dell’ovocita necessario per l’inizio dello sviluppo”(p.185). E, dopo aver tracciato nella 30 pagine seguenti le innumerevoli straordinarie attività che si succedono, in perfetta armonia, in circa 24 ore nello zigote, può concludere: “Verso la fine del primo ciclo cellulare, dunque, il citoplasma si è risistemato, i pronuclei si sono incontrati, il DNA si sta replicando e nuove proteine sono tradotte. E’ pronto il piano per lo sviluppo di un organismo multicellulare”(p. 216). E’ proprio ciò che fa il nuovo soggetto allo stadio unicellulare: un lavoro intenso di auto-organizzazione del nuovo sistema per iniziare nella direzione giusta tutto il suo successivo sviluppo.
Sulla seconda attività, importanti contributi20 hanno messo in chiara e incontrastabile evidenza che “i due assi dell\a blastociste [trofoblastico ed embrioblastico] sono già specificati nell’embrione monocellulare”21, tanto che una sintetica presentazione di questi nuovi dati pubblicata su Nature nel numero del 4 luglio 200222 portava il titolo: “Il tuo destino, dal giorno uno”, seguito immediatamente dal sottotitolo: “Il piano corporeo dei mammiferi inizia ad essere posto dal momento del concepimento” (p.14), e concludeva: “Ciò che è chiaro è che i biologi dello sviluppo non ammettono più che gli embrioni precoci di mammifero siano cumuli di cellule” (p.15).
Si pone, allora, la domanda cruciale: questa cellula, lo «zigote», rappresenta, dunque, il punto esatto nel tempo e nello spazio dove inizia il suo proprio ciclo vitale ogni individuo umano? Per rispondere a questa domanda è indispensabile ricordare alcuni altri aspetti del processo epigenetico che prosegue da questa cellula.
2. Dall’ «embrione a due cellule» alla «blastociste». Durante un periodo di circa 5 giorni avviene una rapida moltiplicazione cellulare sotto il controllo di un gran numero di geni implicati nei molti eventi del ciclo mitotico: dalla produzione di cicline e proteine-kinasi che regolano il ciclo stesso, alla sintesi di enzimi e altre proteine necessarie per il differenziamento della struttura e delle funzioni del crescente numero di cellule23. “L’attivazione dei geni zigotici è assolutamente essenziale per la continuazione dello sviluppo” affermavano chiaramente R.M. Schultz e D.M. Worrad24, confermando e specificando la conclusione di G.M.Kidder che «tutte le fasi della morfogenesi […] prima dell’impianto dipendono dall’espressione di geni embrionali”25. D’altra parte ciò era da attendere. I più facili studi compiuti su animali da laboratorio davano informazioni chiare in merito. Quelli sulla Drosophila avevano permesso di identificare almeno 40 geni attivi nello zigote già a circa 12 ore dalla fertilizzazione26. Di quelli sul topo, sono almeno da ricordare due dati: 1) nello zigote i geni altamente metilati dello spermatozoo sono rapidamente demetilati, e perciò resi attivi, poche ore dopo l’avvenuta fusione dei gameti prima ancora che incominci il primo round di replicazione del DNA27; e 2) di 11.483 geni attivi prima dell’impianto, 1.185 erano attivi soltanto in questo periodo; e di questi, 109 erano associati parte alla degradazione di trascritti allo stadio di una cellula, e parte mostravano aumento di attività allo stadio di blastociste28.
Tutto questo è oggi evidenziato anche nell’embriogenesi umana. Dopo gli studi di P. Braude, V. Bolton e S. Moore29, i quali avevano provato che almeno nel passaggio da 4 a 8 cellule il nuovo genoma diventa attivo nel controllo della produzione di nuove proteine, si è più
recentemente dimostrato che altri geni sono attivi già dallo stadio di zigote. Le conoscenze aumentarono quando si poterono costruire le banche di cDNA da singoli embrioni umani preimpianto30. La ben nota embriologa M. Monk iniziava così la presentazione di un ampio lavoro della sua scuola: “Nell’uomo, durante il passaggio dal controllo materno dello sviluppo a quello embrionale, che inizia immediatamente dopo la fecondazione ed è probabilmente completo allo stadio di blastociste, i trascritti materni (comuni sia all’ovocita non fecondato sia all’embrione precoce) sono eliminati e sono prodotti trascritti embrio-specifici impegnati nell’ embriogenesi precoce”31. Essi non poterono avere dati dopo le prime 24 ore dalla fusione dei gameti poiché nessuno dei 4 oociti fecondati presentava un secondo pronucleo. Ma già dallo stadio di due cellule in poi potevano dimostrare l’attività: del gene SRNPN un «imprinting gene» che codifica una piccola riboproteina nucleare; dei geni ubiquitari HPRT che codifica per l’ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi, e GAPDH che codifica per la gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi; del gene b-actina importante per la struttura del citoscheletro; del gene C-MOS, necessario per la regolazione del ciclo cellulare; del gene OCT4, un gene omeotico estremamente importante nello sviluppo come fattore di trascrizione. Altri geni preimpianto messi in evidenza dallo stesso gruppo sono il gene WNT11, da cui dipende una molecola segnalatrice impegnata nel modellamento dei somiti, – fatto che indica , secondo gli autori, che i segnali molecolari richiesti per il modellamento dei somiti sono già posti allo stadio di blastocisti – e il gene keratin-18, che codifica per una proteina la quale stabilisce i contatti tra cellula e cellula entro i desmosomi, che sono giunzioni intercellulari multimolecolari che si formano allo stadio di circa 32 cellule, quando inizia la formazione del blastocele. Con il proseguo delle ricerche sono stati trovati finora nell’embrione umano oltre 80 geni attivi nel periodo preimpianto; numero che aumenterà con il progresso delle tecnologie e dell’analisi del genoma.
I dati esposti dimostrano all’evidenza che il nuovo genoma, stabilitosi alla fertilizzazione, è la base e il supporto continuo della unità e unicità strutturale e funzionale dell’embrione, che si sviluppa lungo una traiettoria la quale mantiene una direzione costante. E’ da questo finemente calcolato e coordinato lavorio che, nel breve tempo di circa 5 giorni, durante il suo movimento lungo la tuba, lo zigote passa allo stadio di blastociste. Dallo stadio di due a otto cellule, queste rimangono legate l’una all’altra attraverso microvilli e ponti citoplasmatici intercellulari, che facilitano la trasmissione di segnali tra le cellule. Questo contatto diventa altamente adesivo allo stadio di morula di 8-32 cellule, che è caratterizzato da due processi principali: compattazione e polarizzazione. Durante la compattazione, tra il terzo e quarto ciclo cellulare, descritta da H. Vögler come “la fase di riorganizzazione delle singole cellule e della loro interazione”32, le cellule aderiscono più strettamente l’una all’altra, massimizzando le loro aree di contatto e formando tra di loro particolari e specializzati complessi giunzionali, i quali facilitano un rapido passaggio intercellulare di ioni e molecole segnale nel processo normale dello sviluppo; processo che potrebbe invece essere alterato dall’assenza anche di una sola delle proteine giunzionali della famiglia delle connessine33.
Durante il processo di polarizzazione, tra il terzo e quarto ciclo cellulare, si differenziano due tipi di cellule, quelle polari alla periferia, e quelle apolari al centro con destini diversi: le prime danno origine alla linea cellulare trofoblastica e le seconde alla linea cellulare embrioblastica. Questa eterogeneità morfologica e funzionale diventa ancora più evidente al sesto e settimo ciclo, quando la blastociste appare costituita da circa 64-128 cellule: si distinguono allora tre tipi cellulari, istologicamente differenti e con destini diversi, che costituiscono rispettivamente: il trofoblasto polare e murale, derivante dalla differenziazione della linea cellulare trofoblastica; l’ ectoderma primitivo e l’endoderma, derivanti dalla differenziazione della massa cellulare interna (ICM). Non si può non notare che, in tutto questo cammino dell’embrione dall’ ampolla tubarica all’utero, si era intessuto tra lui e la madre un reale «colloquio», intenso a livello biochimico in vista della preparazione della «finestra di impianto», ma anche con chiari riflessi psicologici per parte della madre. J.A. Hill, in una sintetica analisi su questo colloquio conclude: “Gli ormoni ovarici inducono notevoli modificazioni morfologiche, fisiologiche e biochimiche. Queste modificazioni a loro volta ne inducono altre nell’attività biosintetica che porta alla liberazione di una miriade di proteine prodotte localmente nel microambiente del tratto riproduttivo. Questi stessi fattori possono essere ulteriormente modificati da proteine secrete dall’embrione in sviluppo, in intimo contatto con l’epitelio riproduttivo, in un processo di segnalazioni a rete. La comunicazione non è a una via, ma è piuttosto un colloquio crociato (cross-talk) che avviene quando proteine materne sono secrete nel microambiente dell’ovidotto e dell’utero, facilitando così la fecondazione e lo sviluppo iniziale dell’embrione”34.
3. Dalla blastociste al disco embrionale. Avviene: l’espansione della blastociste che abbandona la zona pellucida; il suo impianto, definito “un paradosso di biologia cellulare”35, non ancora facilmente spiegabile con le attuali conoscenze; e, contemporaneamente a quanto accade nella finestra di impianto, il proseguimento ininterrotto della differenziazione, organizzazione e crescita dell’embrione. A circa l’ottavo giorno dalla fertilizzazione appare la cavità amniotica, che delimita l’area dello sviluppo, l’ectoderma primitivo assume la forma di un disco detto epiblasto, composto di cellule cilindriche che, insieme con le sottostanti cellule vescicolate dell’endoderma primitivo forma una struttura bilaminare, detta disco embrionale. Intorno al decimo giorno, l’amnios si è differenziato e si forma il chorion con i suoi villi coriali che diventa la parte fetale della placenta. Tra l’11.mo e il 13.mo giorno dalla fertilizzazione il disco embrionale raggiunge il diametro di circa 0,15-0,20 mm e, approssimativamente il 14.mo giorno nella regione caudale appare un gruppo densamente compatto di cellule, detto stria primitiva, che segna la formazione di un terzo strato di cellule, il mesoderma. Può ora iniziare la morfogenesi.
L’analisi induttiva
Queste linee essenziali dello sviluppo di uno zigote umano, fino a circa 4-8 milioni di cellule, sono la descrizione oggettiva di ciò che realmente avviene nei primi quattordici giorni dalla fecondazione sulla base dei dati a nostra disposizione. Una semplice analisi induttiva che, da un punto di vista epistemologico, è il modo scientifico di ragionare al fine di raggiungere una valida conclusione dall’analisi dei dati raccolti nell’osservazione di un certo fenomeno, permette di rilevare le tre principali proprietà che caratterizzano l’intero processo epigenetico che, secondo il grande embriologo C.H. Waddington che introdusse il termine “epigenesi”, potrebbe essere definito come “la continua emergenza di una forma da stadi precedenti”36.
La prima proprietà è la coordinazione. Lo sviluppo embrionale, dalla fusione dei gameti sino alla formazione del disco embrionale, circa 14 giorni dalla singamia, e in seguito, è un processo che manifesta una coordinata sequenza e interazione di attività molecolari e cellulari, sotto il controllo del nuovo genoma, il quale è modulato da una ininterrotta cascata di segnali trasmessi da cellula a cellula, e dall’ambiente interno e esterno alle singole cellule. Precisamente questa proprietà innegabile implica e, di più, richiede una rigorosa unità dell’essere che sta sviluppandosi. Più la ricerca avanza, più questa unità appare garantita dal nuovo genoma, dove un grandissimo numero di geni regolatori assicura il tempo esatto, il posto preciso e la specificità degli eventi morfogenetici. J.Van Blerkom, Direttore del Dipartimento di Biologia Molecolare Cellulare e dello Sviluppo all’Università del Colorado, sottolineava questa proprietà concludendo una analisi della natura del programma di sviluppo dei primi stadi degli embrioni di mammiferi: “I dati disponibili – così egli – suggeriscono che gli eventi dello sviluppo negli oociti in maturazione e nell’embrione precoce seguono un tabella diretta da un programma intrinseco. La evidente autonomia di questo programma indica che interdipendenza e coordinazione ai livelli molecolari e cellulari si esprimono in una cascata di eventi morfogenetici”37. Si tratta, insomma, di un sistema auto-evolventesi38. Tutto ciò porta alla conclusione che l’embrione umano – come ogni altro embrione -, anche nei primissimi stadi non è, come afferma N.M. Ford “un grappolo di cellule individuali distinte, ciascuna delle quali è un individuo vivente centralmente organizzato o una entità ontologica in semplice contatto con le altre”39; ma piuttosto che l’intero embrione ad ogni stadio, dalla singamia in poi, è un reale individuo dove le singole cellule sono strettamente integrate in un unico processo dinamico mediante il quale esso traduce autonomamente, momento per momento, il suo proprio spazio genetico nel suo proprio spazio organismico.
La seconda proprietà è la continuità. Sulla base dei dati presentati, è innegabile che alla fusione dei gameti inizia un nuovo ciclo di vita. Lo «zigote» è il «primordio» del nuovo organismo che è al vero inizio del suo proprio ciclo vitale. Se si considera il profilo dinamico di questo ciclo nel tempo, appare chiaramente che procede senza interruzioni. Questo fu apertamente riconosciuto dallo stesso Comitato Warnock con le seguenti espressioni: “Una volta che il processo è iniziato, non c’è nessuna parte del processo di sviluppo che sia più importante di un’altra; tutte sono parti di un processo continuo, e se ogni stadio non ha luogo normalmente, al tempo giusto e nella corretta sequenza, lo sviluppo ulteriore cessa”40. Al contrario, l’espressione fondamentale della tesi di A. McLaren afferma che: “l’embrione, che si sviluppa dalla fertilizzazione in poi [fino al disco embrionale] è una differente entità, che include e dà origine all’embrione che si sviluppa in un feto e neonato, ma non è in alcun modo coestensivo con esso”41. Questa affermazione non solo è totalmente contraria alla logica conclusione del Comitato Warnock, ma – peggio – è contradditoria in se stessa. Infatti, sulla base di una logica induzione dai dati, non c’è affatto un primo ciclo di 14 giorni di un essere vivente geneticamente umano ma anonimo, che termina allo stadio di disco embrionale, seguito da un secondo ciclo di un reale essere umano dal disco embrionale in poi. Al contrario c’è una ininterrotta e progressiva differenziazione di un ben determinato individuo umano, secondo un piano unico e rigorosamente definito che inizia dallo stadio di zigote. In realtà, il disco embrionale è una struttura cellulare che segue, in modo continuativo, ad una ininterrotta differenziazione dell’embrioblasto, che è attualmente già presente quando l’embrione come un unico tutto provvede, sotto controllo genetico, per una più rapida differenziazione dei derivati trofoblastici. Questi, infatti, sono estremamente necessari per un progresso corretto e regolare dello sviluppo ulteriore e costituiscono una stretta unità con l’embrioblasto. La proprietà della continuità, perciò, implica e stabilisce la unicità o singolarità del nuovo soggetto umano: dalla fusione dei gameti in poi, è sempre lo stesso e identico individuo umano con la sua propria identità, che si sta costruendo autonomamente, mentre passa attraverso stadi che sono qualitativamente sempre più complessi.
La terza e più importante proprietà, sebbene generalmente trascurata, è la gradualità. La forma finale «deve» essere raggiunta gradualmente. Questa è una legge ontogenetica, una costante del processo di riproduzione gamica. Essa implica ed esige una regolazione che deve essere intrinseca a ogni dato embrione e mantiene lo sviluppo permanentemente orientato dallo stadio di zigote fino alla forma finale. Precisamente a causa di questa intrinseca legge epigenetica, scritta nel genoma, e incomincia a operare dalla fusione dei gameti, ogni embrione – e perciò anche l’embrione umano – mantiene permanentemente la sua propria identità, individualità e unicità, rimanendo ininterrottamente lo stesso identico individuo durante tutto il processo dello sviluppo, nonostante la crescente complessità della sua totalità. Tuttavia, la gradualità dello sviluppo corporeo al livello biologico, non implica affatto una differenza antropologica – e quindi di dignità – tra i diversi periodi di tale processo: si tratta sempre dello stesso individuo umano che, per legge biologica, passa nel suo crescere attraverso tappe di sempre maggior complessità cellulare, ma che, in una corretta visione antropologica, conserva sempre lo stesso valore, il quale non è dato dal numero delle cellule né della loro organizzazione.
La logica conclusione
I dati offerti dalle scienze sperimentali, il cui numero, qualità e concordanza sono in continuo aumento, e la logica induzione che ne deriva conducono, dunque, alla sola possibile affermazione che – a parte disturbi epistatici ed errori nel programma genetico – alla fusione dei due gameti un reale individuo umano inizia la sua propria esistenza, o ciclo vitale, durante il quale, date tutte le condizioni necessarie e sufficienti, realizzerà autonomamente tutte le potenzialità di cui lui/lei sono intrinsecamente dotati.
L’ unica conclusione scientifica e logica è, dunque, che l’embrione umano, nei primi circa quindici giorni dalla fusione dei gameti, «non è» un mero cumulo di cellule disponibile, ma «è» già un reale individuo umano in sviluppo che si autocostruisce secondo un disegno scritto nel suo genoma e ha, perciò, la stessa dignità e gli stessi diritti di ogni persona umana.
Una riflessione
Questa conclusione appare, all’evidenza, in netto contrasto con l’attuale situazione storica, ricordata all’inizio, di un generale abuso dell’embrione umano sotto il pretesto di un progresso scientifico a favore dell’uomo stesso. Per chi riflette sulla responsabilità delle proprie azioni si impone, allora, una domanda: quale è la ragione o quali sono le ragioni addotte, o che si dovrebbero addurre, per ritenere giustificata e lecita la distruzione – senza mezzi termini, la uccisione – di tanti embrioni umani?
La risposta è data nel Rapporto Donaldson: “Alcuni affermano che l’embrione non richiede né merita alcuna particolare attenzione morale in ogni caso; il Comitato, invece, ritiene preferibile la posizione di coloro che riconoscono all’embrione uno statuto speciale in quanto potenziale essere umano, ma sostengono che il rispetto dovuto all’embrione è proporzionale al suo grado di sviluppo, e che questo rispetto, soprattutto negli stadi iniziali, può essere opportunamente controbilanciato dai benefici potenziali derivanti dalla ricerca”42. Posizione confermata dalla votazione seguita alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 7 settembre 200043 in cui si invitavano tutti gli Stati membri a “introdurre normative vincolanti che vietino tutte le forme di ricerca su qualsiasi tipo di clonazione umana… e prevedano sanzioni penali per ogni violazione” (n.4); e a fare “i massimi sforzi a livello politico, legislativo, scientifico ed economico per favorire terapie che impiegano cellule staminali derivate da soggetti adulti” (n.5). In realtà, la maggioranza assai debole a favore – 237 contro 230 e 43 astenuti – è un chiaro indice della profonda frattura nella considerazione etica di questi gravi problemi che riguardano l’uomo, la sua dignità, i suoi diritti e il suo futuro.
Coscienti di questa frattura, è evidente che sotto la pressione della cultura tecnologica oggi dominante, con l’apertura a queste nuove linee di ricerca, si sta passando allo sfruttamento dell’embrione umano, degradato a prezioso strumento tecnologico, con i pretesti del progresso della scienza, della tecnologia e della medicina in particolare. Sfruttamento tanto più vergognoso perché spesso alimentato da mire e poteri commerciali44. Lo stesso Comitato Donaldson45 con molta onestà, ha voluto riconoscere e sottolineare che “una significativa corrente di pensiero” ritiene “l’utilizzo di qualunque embrione per scopi di ricerca immorale e inaccettabile”. Questa, in realtà, è la posizione alla quale conducono la conoscenza della verità biologica dell’embrione umano, e la riflessione logica sopra il suo reale stato ontologico. Posizione, la quale non è una «imposizione» che la chiesa cattolica fa in virtù della fede che professa, contribuendo – come si cerca calunniosamente di fare credere – a impedire il progresso scientifico; ma è, al contrario – afferma espressamente la Istruzione “Donum Vitae” – un intervento “ispirato all’amore che essa deve all’uomo aiutandolo a riconoscere e rispettare i suoi diritti e i suoi doveri”46: riconoscimento dettato dalla ragione, cioè dall’uomo che riflette su se stesso e sulle sue azioni, derivandone la propria responsabilità. Responsabilità che deve accompagnare sempre l’attività dello scienziato e, a maggior ragione, del tecnologo.
Questo atteggiamento ampiamente diffuso ha la sua causa principale nella cultura predominante di oggi, che ha perso la vera immagine ed il vero senso dell’«Uomo» e, conseguentemente, il vero senso etico. La additava Giovanni Paolo II agli accademici della Pontificia Accademia delle Scienze: “Non bisogna lasciarsi affascinare dal mito del progresso, come se la possibilità di realizzare una ricerca o mettere in opera una tecnica permettesse di qualificarle immediatamente come moralmente buone. La bontà morale si misura dal bene autentico che procura all’uomo, considerato secondo la duplice dimensione corporale e spirituale”47. Non si tratta di opporre etica ad etica, ma di riconoscere all’embrione umano la sua particolare dignità, scritta nelle sue oggettiva realtà biologica e soggettiva realtà antropologica, e i conseguenti diritti, tra cui quello alla vita48; dignità e diritti che gli competono a partire dallo stadio di zigote, che l’analisi biologica49 riconosce come lo spazio e il tempo in cui inizia il ciclo vitale di ogni soggetto umano.
Commenti recenti