Gianfranco Arnoletti – Presidente C.I.F.A.

(Ringrazio per l’opportunità che mi è stata offerta, di parlare e portare la mia testimonianza di genitore adottivo e di Presidente di un Ente autorizzato a svolgere le pratiche d’adozione internazionale. Questo ente si chiama CIFA – Centro Internazionale famiglie pro-adozione ed ha sede legale a Torino.
Sono imbarazzato nel confrontarmi con gli illustri relatori che mi hanno preceduto e che hanno portato la loro parola scientifica sui problemi dell’infecondità della coppia italiana oggi; cercherò di portare la voce del volontariato sociale).

Vorrei illustrarvi una solidale risposta al titolo di questo convegno: come avere un figlio senza scendere a terribili compromessi con l’etica, la scienza ed i rapporti economici che ruotano intorno allo sconforto di molte coppie che, pur desiderandolo, non riescono a procreare.
L’adozione, ed in particolare quella internazionale, mette in contatto una coppia che desidera umanamente di avere un figlio, con un bambino che già vive la sua solitudine d’abbandonato, in qualche parte del mondo.
La storia dell’istituto dell’adozione ha le sue origini nel diritto romano ma, diversamente da quanto l’uomo comune pensa, era rivolta ai maggiorenni.
Il bisogno al quale l’istituto dell’adozione era chiamato a porre rimedio era di natura economica: a chi lasciare il proprio patrimonio?
A chi lasciare il governo della famiglia allargata caratteristica del ceto ricco di quei tempi?
Solo negli anni recenti, con l’eccezione di una legge del 1942, emanata per trovare una famiglia agli orfani di guerra, la legislazione prende in esame l’adozione di un minorenne.
Nel 1967 una legge prevede la possibilità di adottare un minore e di dotare questi di tutti i diritti di un figlio, lasciando però, la possibilità di adottare con procedimento ” non legittimante” e quindi con rapporti esclusivi tra il minore e gli adottanti.
Nel 1983 con la legge 184 si disciplina l’adozione internazionale. Sino ad allora le adozioni di minori stranieri erano portate a termine ottenendo dal giudice straniero una sentenza d’adozione e chiedendo, poi, al giudice italiano (corte d’appello) di rendere valido in Italia il provvedimento, perché non contrario all’ordinamento generale dello Stato.
Nel 1993 l’Italia firma, unitamente ai maggiori Paesi del mondo (in pratica quelli che nel 1959 sottoscrissero la carta dei diritti del fanciullo dell’ONU) una convenzione che ratificherà solo nel 1998. Questa convenzione ha lo scopo di uniformare il trattamento dei minori, adottati dai Paesi benestanti, e garantire i Paesi di provenienza sulle sorti dei loro bambini andati all’estero in adozione.
Analizzando le adozioni realizzate negli ultimi anni si nota che la ” domanda ” è molto maggiore delle effettive adozioni con un rapporto di uno a due.
Con la legge 476, che recepisce la Convenzione dell’Aja, (procedura prevista dai trattati internazionali in caso di ratifica di un’adesione), entra finalmente a regime una normativa che oggi non abbiamo ancora avuto modo di consuntivare nei reali risultati.
Per una strana procedura, la legge 476 non è potuta essere applicata sino al 19 novembre 2000. Infatti, la legge prevedeva che potessero svolgere attività d’adozione internazionale solo gli enti autorizzati ed iscritti in un apposito albo che vide la luce solo nel 2000.
Rispetto al Paesi di provenienza dei minori si assiste ad un cambio significativo che passa per gli anni 80 Paesi del sud dell’America o Est asiatico agli anni 2000 Paesi dell’est europeo. Frutto del crollo del blocco sovietico e dell’emergere drammatico di situazioni minorili ai limiti della sopravvivenza.
I principi ispiratori della convenzione dell’Aja e della legge 476\\98 sono:
Lo Stato come garante dei processi d’adozione attraverso un ente centrale che potesse direttamente, od attraverso deleghe ad organizzazioni adatte, seguire tutte le fasi del processo adottivo garantendone la trasparenza e la correttezza.

L’adozione è diretta esclusivamente a minori dichiarati, dalle autorità del Paese d’origine, in stato d’abbandono.
Le persone che, per disposizioni di legge del Paese d’origine, debbano dare il loro consenso all’adozione di un minore, devono essere informate degli effetti che l’adozione avrà sui rapporti con il Paese d’origine e con la famiglia naturale. In tutte le fasi del procedimento non vi devono essere contropartite economiche o lucro da parte di chicchessia.
L’adozione è l’ultima possibilità per il minore di trovare una famiglia e di ripristinare il diritto naturale a crescere, essere amato ed accudito da un padre e da una madre, ove il destino abbia fatto mancare queste figure, ovvero queste si siano rivelate inadatte. Prima dell’adozione internazionale devono essere, dallo Stato d’origine, esperiti tutti i tentativi per mantenerlo nella famiglia naturale, ovvero presso famiglie dello stesso Paese.
L’adozione internazionale deve essere sussidiaria e residuale nell’interesse supremo del minore.
Seguendo questa logica, inoppugnabile, ne deriva che la richiesta di figli di una coppia attraverso l’adozione sia considerata (e la legge lo esprime chiaramente) una dichiarazione di disponibilità ad accogliere un minore se e quando se ne presentasse la necessità.
Il titolo del mio intervento è qui chiarito: il diritto del minore ad una famiglia e non il diritto di una famiglia ad un figlio.
Corretto e sacrosanto il desiderio e l’aspettativa, ma un figlio arriva quando e se Padreterno lo decide: questo vale anche per i figli che si adottano.
Ne consegue un comportamento morale ed etico (che il nostro legislatore, attento all’elettorato, ma disattento ai grandi temi, non ha colto) di non scelta del minore come sesso, età, etnia.
Rappresento uno degli enti autorizzati ed iscritti all’apposito albo che hanno origini culturali e sociali diversi e spenderei qualche parola per identificarli.
Ci sono i grandi enti nati sulla spinta del volontariato (il Cifa è tra questi), molti anni fa.
Ci sono le organizzazioni professionali sorte sulla scia di un’attività remunerata anche se corretta.
Ricordo solo le spinte motivazionali diverse che esistono e che devono essere tenute in conto in un mondo dove il successo e la gratificazione hanno l’odore del denaro: esistono, voi me lo insegnate, altri valori da salvaguardare. Anche qui il legislatore non ha saputo cogliere l’occasione di indicare nel volontariato l’organizzazione che meglio avrebbe saputo rispondere alle istanze dei minori abbandonati.
Le attività svolte da un ente autorizzato sono:

Formazione
– Assistenza nel procedimento
– Sostegno all’inserimento del minore nella nuova famiglia
– Attività di solidarietà (adozioni a distanza ecc.)

I compiti istituzionali degli enti autorizzati sono:

– La mediazione tra la coppia e l’autorità straniera
– Effettuare la proposta d’abbinamento
– Assistere la famiglia nel corso della procedura in Italia ed all’estero anche attraverso la formazione
– Richiedere l’autorizzazione all’ingresso in Italia del minore

I tempi di una procedura adottiva oggi sono:

– Per ottenere il decreto d’idoneità dal tribunale un anno
– Per la proposta d’abbinamento 1,5\\2 anni
– Per il soggiorno all’estero 30\\40 giorni

Concludo permettendomi di sognare:

Più nessun bambino abbandonato
Tante famiglie disponibili ad accogliere un qualsiasi minore in difficoltà

Un appello a coloro che cercano un figlio, e dopo ragionevoli interventi medici non lo trovano:
Un bambino che ha bisogno di un papà e di una mamma purtroppo già esiste, entrate a far parte di coloro che sono disponibili ad accoglierlo con la sua storia, i suoi bisogni, le sue paure e le sue aspettative.