Filippo Boscia – Primario Ginecologia e Ostetricia Ospedale “Di Venere” di Bari

Ringrazio moltissimo gli organizzatori di questo convegno per avermi voluto qui, e sono ben felice di portare il mio contributo a questo convegno, le cui relazioni che ho ascoltato onorano l’importanza del convegno stesso.
“Quale risposta alla domanda di figlio?”. Nel leggere questo titolo mi ero così convinto che bisognava fare una sottolineatura, perché a seconda di come viene posta la domanda ci può essere una risposta diversa. E credo che una delle cose principali da fare è riportare la domanda in un alveo che sia il più corretto e il più giusto, perché forse mai come in questi ultimi anni la fertilità umana è stata oggetto di attenzione e discussione ai vari livelli.

Il progresso bio-medico ha posto nelle mani delle coppie la possibilità di conoscere con estrema semplicità e altrettanta precisione l’evolversi quotidiano della fertilità, permettendo nel contempo una sua regolazione sempre più responsabile, ma questa realtà in continua espansione ha consentito di scindere due valori di un unico progetto: la fertilità e la sessualità. Oggi può facilmente espletarsi una sessualità senza riproduzione, e d’altro canto può essere possibile una riproduzione senza sessualità. Questa stessa realtà in velocissima evoluzione oggi si confronta quotidianamente con una mentalità edonistica e soggettivistica per la quale la vita non è più ritenuta un valore al di sopra di tutti gli altri – e di questi un presupposto indispensabile – quanto piuttosto un semplice bene di consumo da utilizzare a proprio piacimento.
Ed ecco allora convivere da un lato una mentalità contraccettiva estremamente diffusa, e dall’altro la ricerca esasperata del figlio al di là non soltanto di elementari norme morali, ma anche al di là del semplice buon gusto. E alludo al discorso della famiglia uniparentale, dei singoli, al fatto delle famiglie di fatto, delle famiglie alternative, delle famiglie lesbiche, delle famiglie gay, che oggi richiedono la riproduzione, laddove vengono persi completamente i ruoli parentali, quindi una distruzione dirompente della famiglia, perché nel momento in cui due lesbiche possono generare, facendo ricorso all’inseminazione, e due gay possono generare facendo ricorso all’utero surrogato o ad un utero in affitto, questa è una risposta alla domanda di figlio assolutamente non legittima, assolutamente non giusta, assolutamente una domanda che travalica il buon gusto.

Senza poi parlare di altre situazioni che sono dirompenti, perché oggi nell’ambito di centri che si occupano di fertilizzazione in vitro ci sono richieste legate a quello che io dico l’ottemperanza della medicina del desiderio, cioè donne conviventi con due partner che desiderano avere gemelli di padri diversi, attraverso la fertilizzazione di due ovociti con seme di partner diversi, e a questo punto si può chiedere anche ad un centro di fertilizzazione in vitro che nascano gemelli di razze diverse in contemporanea. Si va quindi verso una possibilità di parti multirazziali, o ancora attraverso le tecniche di congelamento embrionario, che nascano gemelli post-mortem, di uno o di tutte e due i genitori, gemelli orfani di entrambi i genitori spesso ancor prima di nascere, o gemelli o soggetti che nascono da donne che non partecipano assolutamente dal punto di vista genetico alla loro costituzione, o partecipano solo al 50%, anziché al 100% com’è la riproduzione naturale. E poi il discorso della riduzione embrionale nelle gravidanze plurigemine, è stato assolutamente sottolineato questo, per cui stiamo avendo una riproduzione, una tecnologia riproduttiva, che non è più di tipo riproduttivo, ma di tipo produttivo. Abbiamo bisogno di riscoprire una riproduzione e non una produzione di figli; quindi una fertilità – a mio avviso – maltrattata.
Problema del figlio: l’embrione vale solo se desiderato. La mamma che desidera un figlio ad ogni costo sarebbe disponibile anche a citare il ginecologo se la sua gravidanza abortisce. Viceversa, la donna che non desidera il figlio denuncia il ginecologo, perché non l’ha fatta abortire. Io dico che qualsiasi oggetto ha un valore, sia che fosse desiderato, sia che non fosse desiderato. E il figlio, che è un essere umano, deve avere quantomeno lo stesso valore dell’oggetto, se non di più; ma io mi accontenterei che avesse lo stesso valore dell’oggetto, e che sia rispettato in quanto è.

Una delle sottolineature che ho posto nella mia vita professionale è questa: circa 20 anni fa, quando una mamma veniva parlava del suo figlio e mi diceva: professore, sa quanto mi costa questo figlio? E voleva dire in termini di sacrificio, di abnegazione, di solidarietà, di vicinanza. Oggi vengono pazienti che sono state affrontate con tecnologia avanzata, e dicono: professore, mi raccomando a questa gravidanza, perché sa quanto mi costa questo figlio! E io dico: ma cosa le costa? 5 milioni, 7 milioni, 12 milioni … 15 tentativi, 10 tentativi, 7 tentativi … E allora vedete come il figlio è stato in un certo senso – da questa tecnologia – un momentino mercificato.
La fertilità è stata comunque maltrattata, essendo stata considerata da un lato un pericolo per la coppia, e da un altro lato un bene assolutamente irrinunciabile. E all’interno di questo maltrattamento esiste a mio avviso una posizione che, a buon giudizio, può definirsi naturale nel senso più pieno del termine, cioè rispettosa della natura dell’uomo, rispettosa di ciò che di più profondo può scaturire dall’incontro tra due persone, cioè l’amore e la nascita di una nuova vita. La fertilità o l’infertilità umana, al di là degli aspetti più strettamente biologici e tecnologici, interroga quotidianamente i singoli e le coppie, ma interroga anche i medici, e i loro atteggiamenti e i loro comportamenti sono in realtà conformi a quello che è l’universo di valori a cui fanno riferimento? Perché noi dobbiamo fare riferimento ad un universo di valori, altrimenti non sapremo più come rispondere alla domanda di figlio, se non poniamo al centro questi valori.

Solo se inseriti in una dimensione etica, la famiglia, la fertilità, l’infertilità della coppia può diventare un reale campo di maturità e di responsabilità individuale e coniugale. E anche nella ventura di una fertilità limitata – padre Serra ci ha illustrato, e le relazioni precedenti altrettanto – questo evento della fertilità limitata potrebbe rappresentare realmente per le coppie un momento di crescita, in cui anche il rispetto per il dono della vita umana assume un suo significato più pieno e rende una piena promozione della persona umana a servizio dell’amore coniugale. E oggi dobbiamo prendere atto che il futuro della umanità dipenderà dal modo in cui l’uomo contemporaneo concepisce il senso del suo dominio razionale sulla natura. E’ un problema allo stesso tempo scientifico, culturale, sociale, giuridico, etico, oltre che religioso. Secondo il pensiero di ispirazione biblica il compito affidato all’uomo era quello di soggiogare e dominare la terra – nella Genesi 1,28 sono citati questi –, ma questo non lo autorizza a concepire tale compito come dispotico e assoluto al punto da lasciarlo libero di intraprendere una attività manipolativa della natura, che può condurre ad una irrimediabile degradazione.

La risposta quindi alla domanda. Bisogna porre delle domande dal punto di vista antropologico, e c’è sempre una domanda antropologica; la prima: chi sono, dove vado?

Quindi sotto la domanda dell’agire c’è la domanda sul soggetto, che agisce e che è chiamato a realizzarsi con i suoi atti. E la risposta a queste domande fornisce vie etiche per risolvere in modo responsabile i problemi che stanno davanti all’uomo. Non dobbiamo falsificare il nostro discorso. E quando parliamo di falsificazione parliamo di agire contro la verità. Io devo dire – e lo dico da tecnico, perché mi interesso ai problemi della riproduzione – che la Fivet, la fecondazione in vitro con embrio-transfer, senza poi parlare delle aggiunte della Icsi, ecc. come atto, indipendentemente dal fatto che risolva un problema umano, cioè indipendentemente dalla sua finalità che potrebbe anche essere buona, è falsificazione dell’amore umano, perché esso venendo modificato per renderlo adeguato all’uso che io ne voglio fare, sarebbe trasportato dalla categoria di dono tipica dell’amore tra due persone, alla categoria di possesso e di dominio propria delle cose – questo figlio l’ho prodotto, è mio, e ne faccio quello che voglio -. Perché in questo modo la vita entra nella categoria di prodotto, non adeguata ad esprimere il frutto del concepimento, ma in definitiva trasposta la persona umana stessa dalla categoria di soggetto alla categoria di oggetto-strumento, oscurando nella coscienza dei coniugi la loro verità di soggetti personali.

Alla luce di queste considerazioni noi ci siamo chiesti da sempre se ci fossero dei percorsi culturali di incontro fra scienza ed etica, in riferimento alla problematica della trasmissione della vita; cioè ci siamo posti il problema di come interpretare autenticamente il progresso dell’uomo e delle civiltà. E io credo che se sapremo rispondere a questo interrogativo opereremo, nel vero senso della parola, un progresso per l’uomo.
Dicevo ad una giornalista che mi ha intervistato: siamo qui nella sede del Lingotto, che è stata la sede che ha prodotto più macchine dall’inizio del secolo scorso in poi, che ad un certo momento con l’avvento della macchina tutti quanti abbiamo dimenticato la bicicletta; e viceversa, ora, in un mondo che è altamente tecnologico, ci si accorge dell’inquinamento, e quindi ci si accorge di una possibile lesione al mondo che esiste, e si riscopre la bicicletta. Bene, nell’ambito della medicina sta avvenendo qualcosa di questo genere: abbiamo un’alta tecnologia, e nel momento in cui abbiamo avuto questa alta tecnologia ci dimentichiamo dello studio delle cose più semplici; e lo studio delle cose più semplici rende chiarezza di quei casi che noi chiamiamo sterilità idiomatica – cioè senza causa o della quale non conosciamo ancora la causa – e purtroppo queste tecnologie stanno facendo abbandonare questo tipo di ricerche, che erano altamente meritorie, erano altamente produttive, perché stavano risolvendo parecchie problematiche. E la chiave di lettura della soluzione medica o chirurgica della sterilità, senza far ricorso alle alte tecnologie, transita attraverso questo paziente lavoro, che è anche un lavoro di riesame di quanto la medicina ha fatto finora, ed è anche di tecnologie che oggi vengono chiamate desuete, e direi criticate – guai a chi le applica o a chi non ha promosso in prima istanza l’alta tecnologia, perché è un demodé, perché è un soggetto che non ha studiato fino in fondo -.

Mi servirò di alcune diapositive per cercare di spiegare ora una certa riappropriazione di alcune tecnologie che io e il mio gruppo stiamo cercando di portare avanti alla luce di una visione etica della medicina, di una visione che non vuole by-passare il problema della malattia, ma di una medicina che vuole affrontare il discorso della sofferenza, non cancellare e togliere di mezzo la malattia, ma affrontarla, cercare di risolvere; e nel campo della fertilità questo significa ridare alla coppia la propria fertilità ora e anche nel futuro, e non viceversa, come le tecnologie avanzate di medicina di riproduzione fanno, quella di risolvere il problema in quel momento per poi vedersi una patologia magari più aggravata, ancora peggiore, nel futuro. Così come pure, nell’ambito di questo grande progetto, c’è il discorso – ne parlava e mi complimento molto con Pino Noia per quello che è il suo impegno, soprattutto per la presentazione che ha fatto dei suoi dati – quello di rieducare, di formare fin dall’adolescenza la coppia e il singolo, a prendere coscienza della propria problematica e a prevenire una serie di problemi che oggi nella nostra situazione attuale portano verso patologie, che poi rendono necessarie a cascata tutta una serie di applicazioni. Quando si parla di gravidanza in menopausa si comincia a parlare, perché la donna ha posposto una sua propria funzione riproduttiva di un particolare momento della sua vita, alla sua carriera, al suo futuro, dimenticandosi poi che viceversa aveva un ruolo da svolgere come madre: se ne ricorda in menopausa.

C’è la riparazione: la tecnologia avanzata. Ma perché dobbiamo arrivare a questo?